Acqua e Africa | Water and Africa

Africa e Mediterraneo n. 98 (1/23)

Acqua e Africa | Water and Africa

Africa e Mediterraneo n. 98 (1/23)

Foto di copertina:

Artist and activist Stoneface Bombaa standing atop a pile of trash in Nairobi wearing one of his Tree Helmets, part of his Nomadic Forest Installation. Bombaa created the installation as part of his Future Forest Ritual meant to engage his community around the issue of deforestation and regreening the community he lives in, Mathare, an informal settlement in Nairobi. © Kairos Futura

Il binomio acqua-Africa è uno dei fondamenti epistemologici del pensiero globale sul continente. L’acqua è uno dei filtri che orientano il sapere e la narrazione di chi guarda(va) all’Africa da altre sponde: dalla letteratura, alla mitologia, alla fotografia, al giornalismo, a tutte le scienze esatte, essa plasma e permea i modi in cui produciamo conoscenza sull’Africa. Acque sono protagoniste della nascita e della sopravvivenza di civiltà gloriose e imprese coloniali abominevoli, hanno trasportato e inghiottito milioni lungo le rotte della tratta, hanno creato gli ecosistemi oggi messi in pericolo dal cambiamento climatico. L’acqua ritorna come elemento identificativo del continente africano anche, e forse in modo ancora più prepotente, quando manca: i deserti – un tempo simbolo dei confini del mondo “civilizzato” – si stagliano maestosamente in tutta la loro aridità, avamposto dei leones, quell’alterità che ha giustificato prima, e accelerato poi, la colonizzazione nelle sue vecchie e attualissime forme.

In questo senso è dunque un significante che racchiude molti degli aspetti asimmetrici del rapporto del Nord con quella parte del Sud globale. L’onda respingente delle politiche di contenimento della migrazione, oggi così attuali nel nostro paese, insiste sui pericoli provocati da un’occupazione permanente delle acque del Mediterraneo da parte delle migliaia che cercano di attraversarlo. Ci viene spiegato che il futuro nel “nostro” mondo e benessere dipendono dalla nostra capacità di mettere in sicurezza quel bacino. La militarizzazione del Mare Nostrum è l’ennesima declinazione dell’appropriazione reale e metaforica di una “liquidità” africana che viene intesa come refrattaria al controllo e alla disciplina. In questo senso, l’acqua è ancora una volta strumentale a preservare la dicotomia noi-loro e sottrarre agency all’“altro”. Assume connotazioni politiche, diventa elemento dirimente dello stare o meno al mondo.

Ma parlare di acqua in relazione all’Africa è anche tracciare le trasformazioni dell’agenda politica locale e globale di fronte ai cambiamenti climatici e al loro impatto sulle popolazioni e i territori del mondo. Alcune aree del continente soffrono già di penuria di acqua potabile, una condizione che, se non adeguatamente mitigata, rischia di estendersi a territori sempre più vasti in un tempo molto ridotto, avendo conseguenze imprevedibili per la sopravvivenza locale. Secondo l’ONU, per esempio, entro il 2025 tutto il Nord Africa sarà classificato come una regione water-poor, povera d’acqua. La Conferenza mondale sull’Acqua che si è tenuta a New York a marzo di quest’anno ha sancito la necessità improrogabile che tutti i paesi del mondo si impegnino per preservare le riserve d’acqua dolce e incrementare le iniziative finalizzate a raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile numero 6 che vuole garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie. I paesi africani che hanno preso parte alla conferenza hanno sottoscritto anche la “action agenda”, il programma di iniziative volontarie per mitigare la penuria di acqua potabile attraverso lo sviluppo di sistemi alimentari alternativi che riducano il consumo di risorse idriche in agricoltura. Ma già da diversi anni molti progetti locali e internazionali hanno cominciato a operare con questi obiettivi costruendo infrastrutture di estrazione, depurazione e desalinizzazione delle acque, educando la popolazione e le nuove generazione a un uso sostenibile della risorsa idrica. Gli esempi sono innumerevoli – dagli investimenti nella desalinizzazione delle acque marine in Egitto a quelli per migliorare l’accesso all’acqua dolce in Burkina Faso all’inaugurazione di depuratori in Kenya – e tutti di- mostrano che scrivere di acqua e Africa oggi è quanto mai pressante e necessario per mettere nella giusta prospettiva le sfide del nostro mondo in trasformazione.

I contributi raccolti nel Dossier affrontano il tema dell’ac- qua da angolazioni e posizionamenti geografici diversi. I primi quattro trattano le letterature africane. Francesca Romana Paci presenta una disamina del tema dell’acqua dolce nella narrativa in inglese e francese di autori africani e autori non africani che hanno tuttavia avuto un lungo rap- porto con l’Africa. Ne deriva una panoramica estesa e approfondita in cui l’acqua emerge come un tema abbastanza ricorrente, anche se raramente in posizione rilevante, spesso evocato come metafora dell’esperienza umana e dei suoi problemi. Marco Fazzini dedica la sua attenzione al lavo- ro del sudafricano Douglas Livingstone, poeta e scienziato che ha studiato per tutta la sua vita l’inquinamento delle acque al largo di Durban. La sua opera combina in modo unico e originale lo sguardo obiettivo dello studioso e quel- lo soggettivo del poeta, dando vita a un quadro multiforme e accorato dell’ecologia marina della costa sudafricana intriso, soprattutto negli ultimi anni, di grande afflato eco- logista e preoccupazione per il futuro delle sue acque. Gli effetti alteranti dell’impronta antropica sul territorio e del cambiamento climatico ritornano nell’articolo di Jessica Falconi che guarda alla letteratura lusofona, in particolare ai romanzi degli angolani Pepetela e Luandino Vieira e del mozambicano João Borges Coelho. In queste opere l’acqua e le sue rappresentazioni materiali si fanno espressione di un pensiero critico sulle svolte storiche e i cambiamenti, spesso traumatici, che si sono susseguiti in Angola e Mozambico dall’indipendenza in poi. Dando voce alla natura, gli autori la collocano al cuore di un ambiente multiforme, complesso e non antropocentrico, dove elementi umani e non umani coesistono in un difficile equilibrio messo costantemente in pericolo dalle continuità tra colonialismo,

neocolonialismo e neoliberismo. Infine Mina M. Đurić propone una lettura dell’acqua, e più precisamente la pioggia, in Africa nella produzione letteraria degli anni ’30 del Novecento, introducendo gli scritti degli autori serbi Rastko Petrović e Jelena Dimitrijević. Đurić interpreta l’acqua come un tropo sovra-letterario in grado di riportare la wor- ld literature a una dimensione globale. Il suo articolo tratta di come la scrittura sull’acqua unisca culture diverse nella costituzione delle radici specifiche della letteratura globale di oggi. Seguono tre articoli che inquadrano l’acqua attraverso le lenti della sostenibilità e della comunità. Elena Gia- comelli e Pierluigi Musarò esaminano i rapporti tra mare, crisi climatica e migrazioni in Senegal. Le acque dell’Oceano Atlantico rappresentano un rischio e una promessa per la popolazione che, dopo aver vissuto di pesca per secoli, si trova ora a fare i conti con l’impoverimento delle acque, provocato in larga parte dallo sfruttamento delle multinazionali americane e asiatiche del pesce, e a contemplare la necessità di migrare altrove. Ma per i senegalesi, come per milioni di altri nel Sud del mondo, il viaggio è precluso, e allora la traversata illegale, a bordo di imbarcazioni insicure, diventa l’unica soluzione e sempre più spesso l’Oceano che promette libertà e benessere si trasforma in una tomba. Mattia Fumagalli descrive l’inaridimento del lago Turkana – il più grande e alcalino nelle aree desertiche del mondo e conosciuto anche come Mare di Giada – e i suoi effetti sugli equilibri delle aree circostanti, dove la scomparsa del bacino mette a rischio la convivenza pacifica tra i pastori nomadi Turkana e i Dassanech che vivono in prossimità del confine tra Kenya ed Etiopia. Gli scontri armati sono aumentati e così anche gli spostamenti di popolazione. Pur essendo oggetto di numerosi programmi di tutela e cooperazione, l’acqua da portatrice di vita sta diventando anche causa di destabilizzazione e morte. L’articolo approfondisce il rapporto uomo-ambiente in un contesto in rapido deteriora- mento, insistendo sulla resilienza delle popolazioni coinvolte. Mohamed Sacko presenta un caso studio sul degrado ambientale del fiume Niger in Guinea, un paese idrograficamente ricco ma la cui popolazione è ancora poco consapevole dei problemi legati alla distruzione ambientale e all’inquinamento umano. Sulla base di interviste, osservazioni e analisi della letteratura, l’autore propone alcune soluzioni per una gestione sostenibile di questa importante risorsa che possano conciliare le esigenze di sviluppo con i bisogni delle popolazioni che vivono lungo il suo corso, debitamente sensibilizzate sulla necessità di preservare l’ecosistema fluviale.

Gli ultimi quattro contributi sono storici. Luigi Gaffuri descrive i resoconti di viaggio dei missionari italiani in Sudan Angelo Vinco e Stanislao Carcereri, soffermandosi sugli elementi geografici e idrologici che emergono dalle loro te- stimonianze, in particolare quelle sull’evangelizzazione della popolazione. In questi documenti l’acqua svolge una funzione strategica, diventando la risorsa più preziosa tra quelle offerte dalla natura. Monica Labonia e Mamadou Lamine Sané esaminano le somiglianze dal punto di vista geografico tra i siti dei santuari musulmani denominati “Keñekeñe jáaméŋ” di Gunjur e Kafountine, introducendo un nuovo elemento analitico nello studio della confraterni- ta senegalese della Tijâniyya. Entrambi i santuari si trovano in prossimità di acque dolci, elemento che sembra aver guidato la scelta originaria del fondatore della confraternita, El Hadj Omar Tall. L’acqua dolce è anche un elemento caratteristico dei riti suggeriti ai pellegrini che intendono visitare i luoghi sacri. Emanuele Oddi esamina la storia della Great Ethiopian Renaissance Dam, una delle maggiori infrastrutture idroelettriche in Africa. Il suo articolo mette in correlazione la tradizione medievale per cui i sovrani etiopi avevano il potere di deviare il corso del Nilo Blu con gli eventi moderni legati alla Diga, concludendo che oggi il Nilo ha perso l’antico status di simbolo di pace e prosperità per tutti, alimentando tensioni internazionali e scontri interni. Ettore Morelli ricostruisce l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale attraverso gli scritti dei membri degli Afri- can Auxiliary Pioneer Corps reclutati dall’Impero Britannico per combattere nel Mediterraneo, soffermandosi sul naufragio dell’Erinpura. Questo episodio – avvenuto al largo delle coste libiche nel 1943 e che causò la morte di centinaia di ausiliari provenienti dai moderni Botswana, Lesotho ed eSwatini – ha ispirato componimenti lirici ancora poco conosciuti e studiati in Italia, il paese dove molti dei sopravvissuti hanno combattuto per la liberazione dal Nazifascismo. La sezione “Cantieri” raccoglie tre testimonianze attuali dal continente. Jama Musse Jama denuncia l’indifferenza del mondo alla siccità che, aggravata dai mutamenti climatici, attanaglia un’ampia regione del Corno d’Africa, dove è a rischio la vita di quasi due milioni di somali. La carestia scatena insicurezza alimentare e lo spopolamento dell’area, innescando effetti a catena che, pur avendo ripercussioni globali, incontrano il muro di silenzio delle istituzioni internazionali che potrebbero contribuire a mitigarli. Il collettivo artistico keniano Kairos Futura, intervistato dalla redazione, illustra il progetto “Nairobi Space Station” intra- preso presso alcuni quartieri informali di Nairobi dove la popolazione attinge acqua da fonti inquinate. Si tratta di un progetto di educazione civile alla responsabilità ecologica che si basa su una metodologia creativa e a impatto zero per sensibilizzare gli abitanti di quelle zone sui rischi associati al consumo di acqua non depurata, fornendo loro, in un secondo momento, strumenti di facile realizzazione per veri- ficare la qualità della risorsa. Paolo Agostini scrive invece delle oasi della Tunisia dove la desertificazione minaccia la sopravvivenza socioeconomica ed ecologica. Il suo articolo descrive il progetto di cooperazione internazionale “Les Oa- sis de El Ouidane” che ha dotato l’oasi di Degache, nel sud-o- vest del paese, di strumenti per effettuare la raccolta differenziata e di un sito di compostaggio. Quest’ultimo ha un impatto immediatamente positivo sul suolo che arricchisce, contrastando gli effetti della desertificazione e proteggendo il palmeto che è al cuore della vita locale.

Infine, per la sezione “Musei” Claudio Arbore presenta il progetto virtuoso del Memorial da Escravatura e do Tráfico negreiro di Cacheu, in Guinea-Bissau. Il museo nasce con l’intento di promuovere lo sviluppo locale, puntando sul patrimonio culturale della regione che è intimamente legato alla storia dell’Atlantico nero. Un progetto di economia culturale, avviato da una ONG locale e sostenuto da programmi di cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea, che crea un luogo della memoria in grado di costruire una nuova consapevolezza identitaria, soprattutto presso le numerose scolaresche che lo visitano, producendo anche un ritorno economico positivo per il territorio.

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