13 dicembre 2011

Solidarietà alla comunità senegalese

Sabato sera eravamo in centro a Firenze, al Caffè letterario delle Murate. Presentavamo il dossier di Africa e Mediterraneo sul Senegal assieme a Cheikh Tidiane Gaye, un giovane senegalese che è venuto a vivere in Italia 15 anni fa e, oltre a lavorare in banca, pubblica poesie. Come per tanti poeti italiani, la poesia è per lui un’intensa attività parallela alla vita professionale.

Abbiamo passato una serata piacevole, interessante, in un posto bellissimo. Lui ha fatto alcune letture, abbiamo parlato di poesia, di rime e metrica, di consonanze. Una tranquilla normalità.

Oggi, in centro a Firenze, alcuni cittadini senegalesi che commerciavano al mercato sono stati braccati, come selvaggina durante una caccia. In una scena terrorizzante, due di loro sono stati uccisi, tre sono gravemente feriti. L’autore di questo massacro è un folle razzista, italiano. Un poveretto, che ha nutrito la sua solitudine di assurde teorie e, dobbiamo dirlo, di una retorica violenta e xenofoba che certi politici di livello nazionale hanno usato in questi anni con troppa leggerezza, Impuniti. Così questo Gianluca Casseri ha covato propositi isterici e violenti contro l’“invasione degli immigrati”. E oggi ha pensato di realizzarli.

Adesso chi ripagherà questi due ragazzi uccisi degli anni persi? Del futuro interrotto per sempre da un odio senza ragione? Del terrore vissuto negli ultimi istanti?

Non sappiamo cosa dire. Possiamo solo esprimere tutta la nostra solidarietà alla comunità senegalese presente in Italia, 80.000 cittadini che vivono con noi.

Copiamo qui dalla rivista El-Ghibli (http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_08_33-section_1-index_pos_3.html) un brano della lettera scritta qualche tempo fa da Cheikh per i 150 dell’unità della nostra Patria, che lui non può chiamare madre, e chiama affettuosamente “zia”. Facendo un discorso davvero patriottico, alla faccia delle teorie destrorse che hanno nutrito e nutrono questi gesti folli.

Lettera alla zia che compie 150 anni

Cheikh Tidiane Gaye

Cara zia,

Vengo dal Sahara, non dal tuo grembo. Oggi vivo nella Pianura Padana, nutrito al tuo seno, la tua sabbia è così fresca e sobria che mi sono ritrovato giustamente accolto.
Se potessi oggi ribattezzarti, ti chiamerei Unità. A guardarti da lontano e a scrutarti, mi viene da cantare la tua ricca storia.
Zia, hai pettinato il mio cammino e mi vanto del tuo passato. Parlo della storia delle due Sicilie, l’impresa dei Mille, il Risorgimento e la tua Unità da cui nascono la tua umiltà e l’amore per i tuoi figli. Una nazione forte e rispettata. La forza di un popolo risiede nella sua vitalità solidale e nella sua capacità di rispondere alle grandi sfide. Questa capacità la traduce il popolo. È quindi il tempo del popolo, del grande popolo che incarna la sovranità nazionale. Sovranità uguale a democrazia. Utilizzo quest’eloquente parola, non per teorizzare o per semplice retorica, ma il popolo sovrano è, esiste e sa rispondere.
(…)
Il popolo, siamo noi. I tuoi figli, abitanti del nord, del sud, i figli partoriti dall’immigrazione e dall’emigrazione; i figli di questa terra che sposano la Costituzione, che si alzano la mattina per recitare il primo articolo stampato in grassetto nella nostra bibbia costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Il loro sudore annaffia la floridezza di questo paese.

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