05 novembre 2010
Ruby, una ragazza ‘di seconda generazione’
In questi giorni sto scrivendo un articolo su un laboratorio didattico indirizzato ai giovani detti “di seconda generazione”, cioè i figli di immigrati nati in Italia o giunti in Italia in età pre-scolare, e riflettevo sul fatto che Ruby, la ragazza marocchina per cui Berlusconi ha fatto le famose telefonate alla Questura di Milano, è una ragazza “di seconda generazione”.
I ragazzi “G2″ vivono l’appartenenza a due o più culture: quella/e della famiglia di origine e quella del paese di accoglienza. Usano due lingue, conoscono più paesi, frequentano gruppi culturali differenti.
L’attenzione degli studiosi su questa categoria (la cui definizione G2 è dibattuta, ma usiamola per comodità) cresce. Si studiano i loro problemi: il fatto di essere costretti a gestire diversi registri, di vivere a cavallo tra due mondi. «Il figlio di migranti, come tutti i bambini ma con una nitidezza maggiore che deriva dalla condizione di separazione tra l’interno della famiglia e l’esterno, si costruisce nel punto d’incrocio tra i due processi: un processo di filiazione “sono il figlio di…” e un processo di affiliazione “appartengo a questo o quel gruppo”.» (Marie Rose Moro)
Di loro si parla anche come elemento che arricchisce la nostra società «per l’apertura mentale, per la capacità di relazionarsi con codici diversi, per la voglia di partecipare a livello di società civile in misura maggiore rispetto ai coetanei italiani, per la capacità di “prendere pubblicamente la parola” in modo diverso dalle G1» (Silvia Festi).
Questa ragazza marocchina, Karima El Mahroug soprannominata Ruby Rubacuori, sembra avere pochi dubbi ed è evidente che tra i due modelli culturali e sociali con cui si è confrontata ha scelto decisamente quello del paese che l’ha accolta. Prendendone la parte peggiore, che l’ha affascinata esattamente come affascina tante sue coetanee italiane. Nelle poche interviste al padre, ambulante residente in Sicilia che riesce a malapena a guadagnare 20 euro al giorno, si coglie la fatica dell’educazione di questa figlia che ha rifiutato in toto i valori della sua famiglia per aderire a quelli predicati dalla sottocultura della televisione italiana (una sintesi incisiva e dolorosa è nel documentario di Lorella Zanardo www.ilcorpodelledonne.it). Valori ormai penetrati nelle giovani coscienze grazie a un bombardamento mediatico quotidiano: culto del corpo, trash estetico, denaro facile, visibilità in televisione, carriera veloce grazie a favori e conoscenze.
Si dice che le seconde generazioni sono la prova del fatto che l’immigrazione provoca inevitabilmente un cambiamento anche nella società di accoglienza: non si può parlare di gruppo minoritario che si modifica per adeguarsi a un gruppo maggioritario e immutabile. Volenti o nolenti, nell’incontro tutti necessariamente cambiano e si crea una nuova realtà, che prima non esisteva.
Abbiamo così giovani scrittrici di origine straniera che raccontano in italiano, con ironica intelligenza, questi processi, come Randa Ghazy con “Oggi forse non ammazzo nessuno”, Sumaya Abdel Qader con “Porto il velo, adoro i Queen”; abbiamo riviste come Yalla Italia e Mixamag; abbiamo la Rete G2 – Seconde generazioni, e tante altre iniziative che più o meno esplicitamente partono da questo nuovo, interessantissimo punto di vista.
E però, questa nuova realtà che è la società italiana dopo 20 anni di immigrazione strutturale, comporta anche il fatto che fra le varie escort/veline/cubiste/letterine ce ne possa essere una “extracomunitaria”. Non brasiliana, ma proprio figlia di un immigrato, di un marocchino venditore ambulante che è partito come tantissimi altri da una provincia marocchina di emigrazione, e ha vissuto il percorso di migrante economico. Insomma, Ruby è un segno dei tempi, in tanti sensi.
Comunque, in tutta questa folle vicenda, quello che dice le cose più ragionevoli, almeno a quanto si è letto finora sui giornali, è il padre M’Hamed.
Primo, come farebbe qualsiasi padre normale, si vergogna della faccenda. Incredibile. Secondo, non si fa fotografare con Berlusconi come il padre di Noemi e non lo si è ancora visto in talk show e reality. Terzo, ha detto che l’ultima volta che le forze dell’ordine lo hanno contattato per chiedergli per l’ennesima volta se poteva riprendersi la figlia, a marzo, non ha potuto abbandonarla, come farebbe qualsiasi padre (poi lei è subito scappata). Quarto, guarda solo la tv in lingua araba, a parte il meteo che gli serve per sapere se potrà allestire la sua bancarella sul lungomare. “Mia figlia invece era malata di televisione – ha detto ai giornalisti di Repubblica-Palermo – Guardava i programmi in italiano e quando la scoprivo rimettevo i canali arabi”.
Insomma lui ci ha provato, ma forse quello che lo ha “tradito” è stato proprio rifiutare di conoscere, per combatterla meglio, la rivale con cui doveva competere nell’educazione di sua figlia: l’invadente, potente, pervasiva maestra-televisione.
molto interessante, Sandra
Je lis aujourd’hui seulement ton article sur ruby rubacuore. (l’amélioration de l’état de tommaso m’en à laisser le loisir enfin).
Félicitations pour ta juste vision quand au pouvoir de la télé sur les jeunes de “seconde génération”.
La question réveille chez moi quelques réflexions dont je te fais part.
au sens de la parole du papa de Ruby “ma fille s’est échappée de l’éducation traditionnellement pratiquée chez nous.” réponds la conversation tenue avec un marocain de mon quartier:
“La liberté ‘es pas une bonne chose: l’école interdit la fessée, elle fait de nos enfants des bandits. J’ai été frappé lorsque j’étais enfant et c’est ce qui fait que j’ai réussi. Les lois du pays d’accueil nous vole la possibilité d’encadrer correctement nos enfants qui s’échappent vers ce qui leur paraît plus de liberté et ce que nous croyons décadent et dépravé” .
“Le même monsieur me dit que l’occident soutien des potentats archaïques au pouvoir dans les pays arabes et musulmans pour empêcher le pouvoir démocratique des musulmans de prendre sa place. 1 milliard et demi de musulmans selon lui sur la planète sont ainsi muselés. Ce qui vient de se passer en Tunisie montre que l’on ne peut pas lui donner tord.
Le dialogue interculturel n’en est pas encore tout à fait un….il évidement brouillé par la virtualisation des contacts et des informations. A plus et mieux vivre en semble on éviterait des quiproquos.
Bacci
Blaise