19 gennaio 2010
Rosarno – Ministro Maroni, come è umano lei!
Oggi ho letto sul giornale che ieri sera il ministro dell’Interno Roberto Maroni, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa, ha affermato “A una decina di immigrati irregolari coinvolti negli scontri di Rosarno e sottoposti a violenza, sarà concesso lo status di protezione internazionale”. Mi è venuta subito nella testa la battuta di Fracchia/Villaggio “Com’è umano lei!”.
Digitando su Google la parola Rosarno per cercare notizie, esce tra i primi un titolo che colpisce per la sua durezza “Rosarno: gambizzati 2 immigrati”. E il sottotitolo “Feriti da colpi di fucile da caccia”. La cosa peggiore è il fucile da caccia: l’arma che può avere in casa una persona comune, non un delinquente o un poliziotto. E’ una notizia dell’Ansa della sera in cui è iniziato tutto: l’8 gennaio.
Voglio provare a ripercorrere le varie fasi di questo episodio, perché penso che questa pagina di storia per il terzo governo Berlusconi sarà ricordata – come il G8 di Genova per il secondo – come una delle più oscure e significative dal punto di vista dei diritti umani. Peggio dei respingimenti, perché anche qui – come a Genova – c’è stata una battaglia che era una comunicazione. Un fatto di linguaggio, nei confronti del quale il governo ha espresso la sua reazione. E tutto questo resterà. Come uno scritto.
Cosa hanno fatto gli immigrati a Rosarno?
Nel vivace e documentato blog siciliano Nuovo Soldo “Centinaia di immigrati, lavoratori agricoli della Piana di Gioia Tauro, per lo più neri, si sono rivoltati oggi pomeriggio e stasera contro chiunque si trovasse a tiro per le strade di Rosarno. Il tutto è scaturito dal ferimento di due di loro, uno rifugiato politico del Togo, provocato dall’esplosione di colpi d’arma ad aria compressa. Sono centinaia le auto distrutte, i cassonetti bruciati e le abitazioni danneggiate. (…) A maggio del 2009, proprio a Rosarno sono state arrestate tre persone con l’accusa di riduzione in schiavitù di lavoratori immigrati. Già alla fine di dicembre del 2008 erano stati esplosi colpi di arma da fuoco contro gli immigrati da giovani razzisti e/o mafiosi della zona.”
Sin dalla sera dell’8 il blog prevedeva quello che sarebbe successo in seguito “Probabilmente i fatti di oggi non rimarranno senza conseguenze, perché la ‘ndrangheta non dimentica, così come non ha dimenticato la camorra casalese di Castel Volturno, nel casertano, quando fece strage di sei immigrati africani”.
Infatti, quello che hanno fatto gli immigrati a Rosarno è stata soprattutto una protesta contro la ‘ndrangheta. Le indagini giornalistiche hanno raccontato agli Italiani le condizioni di sfruttamento di queste persone: lavoro in nero per 20 euro per 12/14 ore di lavoro al giorno, di cui 5 da dare al caporale e 3 al pulmino. All’immigrato lavoratore ne restano 12 per una giornata di 12 ore, cioè 1 euro all’ora. Una situazione conosciuta e tollerata da tanto tempo, perché inserita nel tessuto mafioso dell’economia del territorio.
La protesta degli immigrati, bisogna dirlo, è stata violenta. D’altronde che tempo e possibilità hanno degli schiavi per fare riunioni sindacali e collettivi per organizzare una manifestazione con tanto di bandiere, comunicati stampa e permesso di occupazione del suolo pubblico?
Cosa è successo dopo questa protesta?
Dopo la protesta degli immigrati, c’è stato un pogrom. Sì, si può usare questa terribile parola, con cui venivano indicate le sommosse popolari e i massacri antisemiti, avvenuti in Russia con il consenso delle autorità, e che poi è stata usata per indicare la persecuzione sanguinosa del popolo verso una minoranza. Rileggendo le cronache di Rosarno infatti mi vengono in mente le scene che ricordo meglio del romanzo di Alejandro Jodorowsky, Quando Teresa si arrabbiò con Dio, dove l’autore rivisita in chiave epica la saga della sua famiglia ebraica, che dalla Russia inizia un viaggio che la porterà in Cile, passando appunto da un pogrom all’altro.
Il coordinamento migranti Itali ha affermato “Nell’era del ‘pacchetto sicurezza’, in Italia si è aperta la caccia al migrante che alza la voce. Rosarno non è un puro frutto della criminalità: la violenza della ‘ndrangheta si è nutrita negli anni della legge Bossi-Fini e delle connivenze dello Stato. A tutto questo, il razzismo ormai diffuso ha fatto da perfetta cornice. Un razzismo istituzionale coltivato nel tempo e che oggi esplode di fronte alla crisi.”
Bisogna dire che la reazione di alcuni cittadini di Rosarno è evidentemente il segno di un tessuto sociale disgregato, dove non si è fatto nulla nel campo delle politiche di integrazione. Queste sono, sì, costose, complesse, soggette a fallimenti, ma sono l’unica via per evitare che scoppino queste guerre tra poveri.
Questi immigrati in fondo hanno fatto quello che gli Italiani non hanno avuto il coraggio di fare: ribellarsi. Ha scritto su MicroMega don Paolo Farinella “Gli immigrati in Calabria si ribellano alla ‘ndrangheta e al sistema perverso dei caporalato (…). Invece di ringraziare questa gente, il ministro Maroni non trova di meglio che le parole d’ordine della sua cricca: ‘tolleranza 0′”.
Cosa ha fatto il ministro Maroni? A parte l’intervento delle forze dell’ordine locali, il ministro ha reagito così: ha fatto trasferire gli immigrati in centri di prima accoglienza a Crotone e Bari e ha affermato subito che queste persone sarebbero state identificate e, se trovate prive di documenti di soggiorno, espulse. Il che equivale a una legittimazione dell’azione violenta condotta dalle ronde di Rosarno e a un guadagno per quei datori di lavoro che non hanno pagato le misere paghe dovute a questi braccianti. Infatti, una volta espulsi nel loro paese di origine, nessuno di loro potrà più rivendicare la retribuzione per il lavoro svolto nelle campagne calabresi.
In più, c’è una legge che andrebbe rispettata: l’ASGI esortato il governo a fare rispettare l’art. 18 del testo Unico sull’immigrazione n. 286 secondo il quale “quando, nel corso di operazioni di polizia (…) ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”.
Come ha scritto il prof. Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo, sul sito della rete MigrEurop, “Appare a tutti evidente, meno che al ministro Maroni purtroppo, che gli immigrati cacciati via da Rosarno erano (e rimangono) vittime di una gravissima sopraffazione quotidiana garantita dal sistema economico-mafioso locale che estorceva quotidianamente tutte le loro energie lavorative per pochi euro all’ora, costringendoli a vivere in condizioni disumane. (…) Nessuno dei testimoni dei soprusi subiti a Rosarno deve essere espulso, perché ciascun immigrato allontanato costituirà una sorta di garanzia di impunità per quei datori di lavoro che continuano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in Calabria come nelle altre regioni meridionali”.
Quali sono state le reazioni?
La Chiesa ha reagito subito con una critica del cardinal Bertone; il segretario PD, dopo una settimana di silenzio assordante, si è deciso a organizzare un’iniziativa di solidarietà; Angelo Panebianco nel suo articolo del giorno dopo La fermezza e l’ipocrisia sul Corriere ha avuto il coraggio di dire – dopo aver buttato lì qualcosa sul presepe (che fa sempre effetto, e poi erano appena finite le feste natalizie… Mannaggia, San Francesco si rivolta nella tomba), e qualcos’altro sulla Jihad (cosa c’entrava?) – che dichiarare incostituzionale la legge sull’immigrazione clandestina equivale a dire che l’Italia non è uno Stato, equivale a rinunciare alla sovranità. Ecco, professore, è la sovranità. Gli immigrati di Rosarno ci hanno detto che laggiù lo Stato italiano non comanda, perché comanda l’illegalità mafiosa.
Le parole più belle, che al di là delle strumentalizzazioni della paura ci riportano alla realtà della convivenza quotidiana che si realizza in tante micro-situazioni, le ha dette il parroco di Rosarno durante l’omelia: “Vedo (…) che manca qualcuno (…) Non c’è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica”. I bambini annuiscono. I genitori, dietro, restano in silenzio. Tesi e consapevoli.
“Mancano anche Christian, Laurent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall’Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati”.
Intanto si sta organizzando lo sciopero dei migranti, con un tam tam su Facebook. “24 ore senza di noi” si intitola, sarà il 1° marzo 2010 e la stessa cosa avverrà in Francia, dove è partita l’idea.
Sono d’accordo su tutto tranne che su questo passaggio:
“La protesta degli immigrati, bisogna dirlo, è stata violenta. D’altronde che tempo e possibilità hanno degli schiavi per fare riunioni sindacali e collettivi per organizzare una manifestazione con tanto di bandiere, comunicati stampa e permesso di occupazione del suolo pubblico?”
Da un lato, viene giustificata la violenza come strumento di protesta tollerabile per via delle circostanze, ovvero la riduzione in schiavitù. Dall’altro canto però bisogna ricordare che la parola schiavitù viene qui usata con un certa forzatura, perche’, come sottolinei giustamente in un altro punto, si tratta di caporalato e non di schiavitù. Purtroppo il distinguo e’ necessario perche’ ci sono molti casi in cui si deve ancora parlare di schiavitù in senso proprio, e non e’ questo il caso. Rimane dunque aperto il problema se, di fronte allo sfruttamento estremo, sia accettabile o meno la protesta violenta. Io propendo per il no.
Non era una giustificazione. Era una contestualizzazione, una spiegazione sul fatto che lo sfruttamento e la povertà portano un latente conflitto sociale, una disgregazione dei rapporti e, quando c’è un evento scatenante, l’esplosione di un conflitto reale. Il termine schiavitù è una metafora per riassumere in una sola parola le condizioni concrete in cui vivono queste persone.
Credo, al contrario, che il termine schiavitù sia completamente adeguato per descrivere le condizioni di lavoro dei migranti di Rosarno, cosi come di quelli della Puglia, della Campania e della Calabria. Come non chiamare schiavi delle persone che guadagnano 15 euro per 14 ore di lavoro al giorno, che vivono in condizioni degradanti e disumane, sfruttati, insultati, maltrattati.
Il capolarato non esclude la schiavitù, é, al contrario, una forma di schiavitù, tipica dei sistemi mafiosi. Per capire il perché delle reazioni violente non bisogna dimenticare che tra i migranti é stata fatta correre la voce che alcuni loro connazzionale erano stati uccisi. Qualcuno che voleva svuotare i campi di arance in fretta, perché sembra che convenga più lasciar marcire le arance che raccoglierle, ha fatto correre questa voce. Qualcuno, gli stessi che rendono degli uomini schiavi. degli schiavi moderni
E schiavi lo erano molto prima di Rosarno. Cosi come Gatti raccontava nel suo reportage “Io schiavo in Puglia”. Cosi come lo sono in Libia, quando sfruttati dai libici, aspettano un barcone per Lampedusa. Un barcone che non partirà più ….
beh certo non si tratta di schiavitù nel vero senso della parola, ma nella realtà dei fatti la condizione in cui versavano queste persone poco si discostava da quella di persone soggette a schiavitù. In senso”esteso” si dice “schiavo” chi è soggetto alla volontà o alla forza altrui e non può disporre liberamente di sé: queste persone non versavano in queste condizioni?
Poi chiaro non voglio – come credo non volesse fare l’autrice – giustificare la violenza, ma semplicemente puntare il dito e fare polemica su questioni che da troppo tempo vengono taciute. Basta con il buonismo…
Da quanto tempo giornalisti free lance e non (per esempio Fabrizio Gatti) avevano denunciato le condizioni disumane in cui vivevano queste persone? Da quanto tempo associazioni come Migreurop denunciano le politiche sicuritarie che si fanno beffa dei diritti umani e dei vari articoli dei testi sull’immigrazione? Da quanto tempo numerosi videomaker cercano di alzare il velo che copre situazioni scandalose come quelle del CPA di Isola CApo Rizzuto? Da quanto tempo giornalisti cercano di gridare al mondo cosa succede agli immigrati rimpatriati, abbandonati ai margini del deserto senza alcuna speranza di far ritorno a casa?
E chi li ha mai ascoltati?
Quindi:
Si sono schiavi
Si i CPT sono lager
Si è in atto una guerra contro i migranti
Chiaro che però si spera in una risoluzione pacifica di questa incresciosa situazione.
Parole sacrosante ma, come diceve bene Beniamino Placido, :” Il razzismo è inversamente proporzionale alla sua distanza”. Il problema è che non lo vediamo come razzismo ma come PROBLEMA DI ORDINE PUBBLICO! Ma che bravuomo è il sig. Maroni!!!
Un caro saluto
I commenti concentrano l’attenzione sul termine schiavitù. Mi sembre invece più pregnante la palese contraddizione di uno Stato (Istituzioni e cittadini) che a parole lotta contro la malavita, che riceve in tal senso lezioni dai nuovi oppressi (i migranti) e che reagisce non contro la malavita, ma contro chi la combatte, organizzando quella che mi pare il Sunday Times ha definito “pulizia etnica” a tutto vantaggio della malavita che risparmia giornate di paga e ricambia tutta la manodopera, ovviamente a nostre spese.
Sottolinerei altri due spunti:
1. invito tutti a leggere l’articolo di Panebianco, come lezione di fariseismo e luogocomunismo.
2. la figura del parroco: essa contiene perfettamente quella che potremmo chiamare la normalità ferita, un evento (l’improvviso mancare di un compagno di banco) che rompe una consuetudine e lancia interrogativi sulla vita quotidiana non al mondo, ma a me.
vi leggo e penso che bisognerebbe trovare un contesto di dibattito e confronto nelle piazze e nei bar, nei luoghi di attesa dei medici di base, nei tanti centri sociali e luoghi di ritrovo delle parrocchie, ascoltare e informare correttamente la gente, quella che fa opinione pubblica, quella che vota…penso che se non ci muoviamo, anche nel ricco nord, avremo molto presto tante “Rosarno”…
le sento ribollire sempre più anche nei piccoli comuni di questa ricca e “rossa” emilia….pochi giorni fa ho incontrato un anziano signore referente per l’ANPI, deportato in Germania e con un esperienza di Sindaco in un piccolo comune e mi ha detto di avere paura, di vedere intorno a sè un contesto socio-culturale che non è molto cambiato rispetto a quello che ha accolto e permesso il fascismo e mi ha fatto pensare che questo mescolato alla crisi economica in corso e alla concorrenza tra cittadini in difficoltà per le poche risorse a disposizione dei Comuni ci sta spingendo davvero nella stessa direzione….
Concordo in particolare con Sbettipher. Non ho però molte speranze sulla possibile soluzione positiva. penso che come sempre fra un poco nessuno ne parlerà più sino alla prossima volta; trovo penoso, pesante, il silenzio/assenso di anni delle istituzioni (con parole, solo parole, quando ci sono fatti di cronaca), dei sindacati, delle associazioni di categoria, che oggi non sono più credibili come non lo è l’opposizione che dovrebbe cambiare i toni, il modo di operare, senza unirsi “faticosamente” al coro rituale di chi lotta contro….. in questi casi che fanno capire come funziona tutta una parte d’italia, quasi fosse un altro pianeta. Così davvero non va. lascia segni positivi solo l’umanità dei sindaci, il parroco, che com ho visto ieri sera, fa della Chiesa il luogo dove i fuggiti da Rosarno mangiano e dormono in attesa di qualcosa di positivo.
Tempi duri; ascoltiamoci, parole che pensavo, speravo, fossero rilegate al passato, schiavitù, minoranze, razzismo, guerra, povertà, stanno drammaticamente tornando di uso comune,
ricorrono sempre più spesso, più attuali che mai,
disperatamente ad avvisarci che non stiamo andando dalla parte giusta, che stiamo percorrendo una strada pericolosa che non ci porterà ad una vita migliore.
Non voglio dare giudizi in merito alle vicende attuali, voglio capire.
Penso che se non smettiamo di giudicare e non cominciamo a capire le situazioni, ancora sarà lontano il tempo in cui si potrà vivere più serenamente.