Presentazione dell’articolo “Qualche nota sull’abbigliamento africano e la letteratura narrativa post-coloniale”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Francesca Romana Paci, docente di Inglese e Letterature post-coloniali presso l’Università del Piemonte Orientale.
Il tema dell’abbigliamento e delle modalità del vestire in Africa, così come si presentano nell’opera letteraria di alcuni scrittori africani, è di considerevole complessità diacronica e sincronica.
Sul piano diacronico, si può riconoscere un primo gruppo, quello degli scrittori bianchi che descrivono abbigliamenti e costumi africani come diversi e primitivi, comunque esotici. Di un secondo gruppo possono fare parte scrittori contemporanei, sia bianchi sia neri, che scelgono, la modalità antropologica e primitivistica (Chinua Achebe e André Brink).
Sul piano sincronico il problema si complica ulteriormente, perché l’abbigliamento diventa un elemento che è parte della politica, della struttura sociale, e dell’economia. Certamente si può azzardare l’indicazione dell’esistenza di un gruppo prevalente che favorisce, come segno di conquista sociale e di diritti, un abbigliamento di derivazione europea contemporanea (Léopold Sédar Senghor, Yvonne Vera, Fatima Mernissi etc.).
Ma l’abbigliamento europeo è anche sottoposto a critica e a rappresentazioni negative, soprattutto in connessione con la realtà economica: si trova, per esempio, l’elemento delle charities, gli abiti usati che soprattutto Europa e Stati Uniti da decenni mandano in Africa. La condanna dell’abito europeo entra soprattutto nella letteratura politica, (Mobuto), ma è certamente anche legata alla moda, si pensi alle camicie di Mandela. Mentre, con una incursione nel campo della poesia, molto più complessa è la condanna dell’abito europeo in Léon Damas, che non è tecnicamente africano, ma è incluso da Senghor nella sua Anthologie de la nouvelle poésie nègre.
E’ interessante, inoltre, notare la pervasiva presenza nella narrativa africana delle uniformi, delle divise militari, paramilitari e persino scolastiche; un elemento che accomuna la maggior parte degli scrittori africani e che ha una palese radice coloniale, ma anche un certo numero d’altre implicazioni politiche più o meno contemporanee, oltre che innegabili elementi distopici.
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