19 maggio 2010
La moda in Sudafrica
Presentazione dell’articolo “La moda in Sudafrica”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Lakshimi Parther, dottoranda in Storia dell’arte africana presso l’Université Paris 1 – Panthéon Sorbonne.
A partire dal 2000, v’è stata una vera e propria esplosione della moda sudafricana soprattutto a partire dall’istituzione della prima “settimana della moda”, eccellente vetrina internazionale per gli stilisti. Attraverso la partecipazione a questi rituali, come le sfilate in genere, gli stilisti affermano il loro status e il loro diritto di identificare degli oggetti come “rari” attraverso il meccanismo della griffe. La moda, in questi termini, si caratterizza come un vero e proprio sistema di credenze che include le capacità creatrici degli stilisti, l’approvazione di professionisti del settore e il credo dei consumatori.
Ma non tutta la moda in Sudafrica passa per le passerelle. In Sudafrica si confrontano infatti due “reti” della moda. Questo concetto di rete viene utilizzato proprio per mettere in risalto le relazioni tra l’insieme di persone che comunicano e che collaborano per crearla e darle rilievo. Delle due reti, una è istituzionalizzata – legittimata da scuole di moda, settimana della moda, media, riconoscimento dei consumatori, ecc. – mentre l’altra, definita in senso dispregiativo “tradizionale”, ha la sua sede in tanti piccoli laboratori- boutique sparsi nelle grandi città.
A questo binomio corrispondono due diverse figure di stilista. Lo stilista “riconosciuto” gode infatti di grande visibilità ma, dovendo confrontarsi con l’Occidente e con la sua definizione di moda e di maniera “africana” di vestirsi, vive forti tensioni identitarie. Gli stilisti “non riconosciuti”, ai margini della rete della moda, hanno invece un rapporto migliore con la cultura del luogo. Questi, infatti, producono gli abiti specifici per particolari pratiche culturali (ad esempio matrimoni, cerimonie in genere). Tale produzione viene legittimata dal valore sociale e culturale dell’abito, e diffusa grazie al passa-parola, alla comunicazione del quotidiano.
Gli stilisti “non riconosciuti” sono in gran parte immigrati da Mali, Nigeria, Ghana, Repubblica
Democratica del Congo, Burundi, Malawi, Zimbawe. Le loro produzioni sono per lo più indossate da immigrati provenienti dall’Africa Occidentale, ma sempre più questi modelli sono graditi anche dai Sudafricani, che apprezzano le innovazioni, provenienti da lontano, apportate ai loro abiti “tradizionali”.
Si compie, in questo modo, nella moda sudafricana, quella che Bourdieu definisce una “rivoluzione
specifica”, ovvero una rivoluzione costituita dalla «sincronizzazione d’una rivoluzione interna
e di qualcosa che succede fuori, nell’universo inglobante».
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