27 luglio 2009

Il rapporto tra turismo e architettura nel Nord-Camerun e in Ciad

In Turismo

mofou
Presentazione dell’articolo “Turismo e architetture (Nord-Camerun e Ciad). Preservazione, ricostruzione, patrimonializzazione”, pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.

Nel nord del Camerun e in Ciad, la ricchezza architettonica costituisce un elemento chiave dei paesaggi e della loro differenziazione. Dagli anni ’50, il turismo ha rivalutato un certo numero di luoghi architettonici tanto sui monti Mandara che lungo le sponde del Logore. In questi anni si avviano i primi circuiti turistici che combinano fauna, paesaggi e architetture. Le architetture vernacolari non scompaiono allo stesso modo, né alla stessa velocità.

La loro ritirata ha potuto accompagnarsi a ricostruzioni fedeli ai canoni dell’inizio del XX secolo, grazie al sostegno di interventi esterni poi, più recentemente, delle élite locali. La posta in gioco di tali ricostruzioni tuttavia resta sempre ambigua. Le aspirazioni di queste società non corrispondono a quelle delle fucine del turismo. La realtà del 2008 generalmente non interessa il turista mentre le comunità rurali oggi sono tutte segnate da un certo grado di urbanizzazione e considerano negativa fino a un certo punto la perdita di un tipo di architettura tradizionale.

Questa scomparsa riflette quella di uno stile di vita appartenente alle generazioni che vivevano coerentemente con tali abitazioni. Per la popolazione Mousgoum, divenuta musulmana, e per una minoranza protestante, questa epoca pagana, di genti nude, deve sparire per consentire una rimessa in conformità del passato con le aspirazioni del presente.

Le domande di ricostruzione di architetture scomparse o sul punto di scomparire, sono fatte con questo spirito. In tutto il nord del Camerun si avverte la necessità di riappropriarsi della propria cultura e metterla in mostra e il turismo, che deve in seguito portare un pubblico a visitarne il risultato, gioca un ruolo essenziale in tale convalida.

Negli ultimi due decenni, i festival culturali si sono moltiplicati. Ogni etnia comunica su se stessa e si impegna a presentare l’elemento più complesso della propria cultura materiale: un recinto familiare o l’unità architettonica più emblematica.

Le ONG e le associazioni che le sostengono vedono in questo ritorno di interesse per l’architettura del passato una volontà di riappropriarsene, reintegrando così i paesaggi. Le comunità rurali, in compenso, ne rivendicano essenzialmente l’aspetto etnico. I turisti, dal canto loro, si sono evoluti molto poco, e continuano a esprimere una ricerca dell’immutato, dei clichè dei primi del XX secolo, di quell’Africa che, con le sue architetture primordiali, ha il dovere di essere “segreta e misteriosa”.

[Illustrazione: Case Mofou, disegno di C. Seignobos]

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