Il Mozambico, dopo pochi anni dalla sua costituzione, ha ratificato la Convenzione per la Protezione del Patrimonio culturale e naturale, rendendosi eleggibile ad ospitare beni culturali e naturali classificati come patrimonio dell’umanità.
Nel 1991, l’Isola di Mozambico diventa quindi “Sito patrimonio dell’umanità”, portando così il governo mozambicano a impegnarsi, sia a livello centrale che locale, nell’elaborazione di strumenti legali e tecnici, frutto del lavoro multidisciplinare nazionale e internazionale, volti a creare le condizioni necessarie alla riabilitazione dell’Isola nel suo complesso.
L’inclusione dell’Isola di Mozambico nella lista del Patrimonio mondiale è dovuta al fatto di riconoscere l’Isola come patrimonio di tutti e non solo dei Mozambicani. Infatti, benché territorialmente mozambicana, essa costituisce un esempio chiaro e vivo dell’idea di patrimonio come costruzione permanente, in evoluzione e creata attraverso l’incontro tra culture diverse e concatenate, che le conferiscono una propria peculiare identità insita nella memoria e nel presente dei suoi abitanti.
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Parole chiave : Convenzione per la Protezione del Patrimonio culturale e naturale, Mozambico, N65-66
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30 giugno 2009
Il turismo nelle colonie. L’esempio del Maghreb
Nel 1880, in Algeria e Tunisia, si creano le condizioni per lo sviluppo di un turismo di tipo borghese profondamente condizionato dal sistema coloniale. I primi visitatori stabiliscono una selezione di siti degni di nota, contribuendo a far emergere nei cittadini europei un desiderio di viaggiare reso accessibile dalla nuova configurazione politica. La colonizzazione garantisce infatti, nei territori controllati dalla Francia, una sicurezza totale fino alle regioni più remote, poiché, in caso di necessità, i turisti possono ricorrere alla protezione dell’esercito. Inoltre, sempre sotto la spinta della colonizzazione, si sviluppano infrastrutture per i trasporti che consentono spostamenti a costi sempre più ridotti.
Hotel e mezzi di trasporto confortevoli mettono a proprio agio i turisti consigliati da guide sempre aggiornate. Alla fine del XIX secolo, in Europa e nelle colonie dell’Africa del Nord, il turismo cambia aspetto e da esperienza essenzialmente individuale diventa un’attività sociale, inquadrata in un complesso di istituzioni quali i Comités d’hivernage, sindacati e sezioni locali del Touring Club francese che appoggiano le diverse iniziative. Sollecitati dagli uomini incaricati della conservazione del patrimonio culturale, dagli ambienti finanziari e dagli intellettuali locali, i responsabili politici coloniali si interessano a loro volta al turismo, un’attività politicamente necessaria ed economicamente conveniente.
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Parole chiave : Maghreb, N65-66
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23 giugno 2009
I problemi del turismo in Africa, alternative al declino
Nell’arco dei prossimi dieci anni il turismo in Africa non è destinato a crescere, come è stato erroneamente detto a più riprese. Molte analisi condotte in passato, infatti, spesso basate su grossolane estrapolazioni demoscopiche, hanno portato ad una conclusione ottimista che invece oggi si è rivelata sbagliata. Non solo quelle analisi non tenevano conto della qualità della spesa, ma nemmeno del cruciale fenomeno dell’avvenuto ricambio generazionale: il tramonto della fascia dei baby boomers e l’arrivo della X-generation. La realtà è che la curva del turismo in Africa evidenzia una discesa costante dal 1970 al 2020.
Lo studio delle caratteristiche del mercato costituito dalla X-generation, fondamentalmente diverso da quello dei baby boomers, è essenziale per non vanificare investimenti impegnativi per lo sviluppo turistico in paesi dove spesso il PIL è decrescente.
L’articolo, usando come riferimento il modello diagnostico del ciclo di vita, avanza due alternative: puntare su una tipologia di turisti a bassa propensione di spesa, standardizzando al massimo l’offerta; oppure puntare sul turismo di élite e prodotti ad alto prezzo. Entrambe le soluzioni, per quanto opposte, necessitano di sostanziosi investimenti: nel primo caso aumentando la capacità di trasporto e quella ricettiva, nel secondo migliorando sensibilmente la qualità delle strutture e servizi. Ma sono proprio i finanziamenti che in questo momento fanno difetto all’Africa. Probabilmente sarà necessario mantenere almeno una quota di quel turismo marginale che è rappresentato dal turismo naturale e culturale, anche se fortemente in riduzione. Anche quest’ultimo orientamento, però, richiede sforzi tanto per quanto riguarda la sostenibilità, che la gestione professionale delle attrattive.
Parole chiave : N65-66
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22 giugno 2009
Il turismo delle origini in Ghana
Presentazione dell’articolo “Il turismo delle origini, esperienze di incontro con la diaspora nera in Ghana” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Gaia Delpino.
Il turismo svolge un ruolo di grande importanza per l’economia del Ghana. L’anno scorso ha contribuito per quasi il 10% allo sviluppo economico del paese e per il prossimo decennio si prevede una crescita del 5% annuo. Se in passato il centro dell’economia turistica ruotava intorno alle attrazioni naturali e culturali, a partire dagli anni ’90 il governo ha cominciato ad interessarsi anche al “turismo di ritorno” o “delle origini”. Questa nuova prospettiva è stata favorita dall’emergere negli Stati Uniti, alla fine degli anni ’80, di una classe media afroamericana desiderosa di conoscere le terre da cui potevano essere giunti i propri avi.L’articolo si concentra sul caso di Prince’s Town, un centro dell’Ahanta West Distric della Western Region del Ghana dove l’autrice dell’articolo ha condotto diverse ricerche etnografiche. Il luogo è noto per via del forte Gross Friedrichsburg costruito dai brandeburghesi nel 1683 e, oggi, tradizionale meta turistica per i tedeschi in vacanza in Ghana. Nel 2007, però, un primo gruppo di afroamericani si presenta a Prince Town spiegando alla comunità locale di aver ragione di credere che quello era il luogo da cui i propri antenati erano stati deportati. La sovrapposizione del turismo culturale dei tedeschi, con quello delle origini degli afroamericani ha creato effetti sulla rielaborazione della memoria da parte della popolazione locale.
Dalle ricerche condotte nel 2008 emerge come il forte Gross Friedrichsburg abbia smesso di essere soltanto e principalmente testimonianza del rapporto fra ghanesi e brandeburghesi, ma anche e soprattutto sia diventato il monumento che ricorda la tratta atlantica e la partenza degli schiavi per le Americhe. L’articolo approfondisce questo mutamento rapportandolo anche con i fattori economici da cui è, inevitabilmente, interessato.
Parole chiave : Ghana, Gross Friedrichsburg, N65-66, Prince's Town, rielaborazione della memoria
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18 giugno 2009
Lo zambia e il turismo etnico, identità in divenire
Presentazione dell’articolo “Ethnic-tourism as oppurtunity for cultural heritage conservation and promotion of local identities” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di George S. Mudenda, antropologo, direttore del Lusaka National Museum.
Con 73 gruppi etnici distinti per lingua, tradizioni e costumi, lo Zambia è un paese che si distingue per multiculturalismo. Fra le attività culturali di questi gruppi, qui interessano le cerimonie tradizionali per via del notevolissimo processo di recupero avvenuto negli ultimi 15 anni. Se prima degli anni ’90, infatti, le cerimonie rinomate erano quattro (quella dei Kuomboka dei Lozi dell’oves, Mutomboko dei Lunda, Shimunenga degli Ila, il Likumbi lya Mize dei Luvale) oggi se ne contano circa 65.
L’articolo discute ragioni ed effetti di questa rinascita analizzandone opportunità e sfide. Il turismo etnico viene discusso sia come strumento di preservazione dell’identità locale che di marketing. Ampio spazio viene dedicato alla questione di questa forma di turismo come fattore di omogeneizzazione culturale e come spinta di cambiamento del contesto socio-economico. Un’ultima analisi viene fatta sul rapporto fra patrimonio culturale ed etnicità, categoria quest’ultima che non può essere considerata statica, ma derivata da un processo di reinvenzione costante ad opera delle generazioni presenti. In questo senso si può parlare di “invenzione” dell’etnicità.
Parole chiave : N65-66, turismo etnico, Zambia
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Presentazione dell’articolo “I canti polifonici dei pigmei aka: patrimonio immateriale dell’umanità” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Maria Chiara Caccia.
Sono passati sei anni da quando la Repubblica Centroafricana festeggiava il riconoscimento delle tradizioni orali dei pigmei aka come patrimonio culturale mondiale. Tale riconoscimento sancito dall’UNESCO nel 2003 è stato motivato dal rischio di sparizione di questa cultura, minacciata dalla deforestazione, l’esodo rurale, dalla folklorizzazione del patrimonio a fini turistici. E’ sulle insidie di questo ultimo punto che l’articolo si sofferma per discutere criticamente effetti e limiti della politica operata dall’agenzia delle Nazioni Unite. Gli aka, infatti, sono custodi di una tradizione di canti polifonici che ha suscitato la curiosità dell’industria del turismo.
All’interno della cornice fornita dall’UNESCO, la Repubblica Centrafricana si è attivata per definire e difendere il patrimonio aka lavorando su due direzioni. Da un lato l’istituzione di un museo dove al quale gli aka collaborano attivamente, ma che prevede danze e canti nuovamente a beneficio dei turisti, e dall’altro un sistema contro lo sfruttamento delle tradizioni orali dei pigmei basato su una tassazione. In sostanza è stato vietato di introdursi nei accampamenti dei pigmei, ma è possibile richiedere dei lasciapassare al “Comitato per la salvaguardia delle tradizioni orali aka”, anche questo aperto alla collaborazione degli aka. Ad ogni tipo di visita (semplice, con possibilità di fare foto, scientifica, con possibilità di assistere alla danza) corrisponde una tassa. In questo contesto l’equilibrio fra promozione culturale e difesa dell’identità è diventato difficile. Il rischio analizzato dall’articolo è che gli obiettivi posti dall’UNESCO non vengano realizzati e che si ottengano invece risultati opposti. Nel tentativo di salvare gli aka da una globalizzazione culturale il timore è che siano gli stessi beneficiari del progetto a commercializzare la propria cultura.
Parole chiave : folklorizzazione, N65-66, patrimonio culturale immateriale, pigmei aka, UNESCO
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Presentazione dell’articolo “Heritage, turismo, autenticità” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Silvia Barberini, docente di Antropologia Culturale presso l’Università Milano-Bicocca.
Come si definisce l’heritage e come la sua tutela si declina nel turismo? All’interno del dibattito attuale heritage indica un bene ereditario, pubblico, connotato da un’idea di possesso. Soprattutto, poi, è centrale il processo di selezione del passato che esso comporta (non tutto il passato è considerato, infatti, eredità da valorizzare, ma solo quegli elementi a cui un gruppo o una società attribuiscono un valore in funzione dei valori attuali). Il passato trasmesso ed ereditato è oggetto di un costante processo di re-interpretazione e re-iscrizione nel presente che, lungi dall’essere esente da conflitti, anche violenti, va a definire aspetti fondamentali quali l’origine e l’identità di una società.
La tutela di questi patrimoni culturali non è solo fine a stessa, ma anche in funzione di un uso turistico dell’heritage, da cui questa forma particolare di turismo culturale che è l’heritage tourism. L’articolo affronta nel dettaglio la questione dello sguardo del visitatore e del problema dell’autenticità. Non potendo ricorrere al concetto di autenticità oggettiva della concezione museale, i siti dichiarati patrimonio culturale si definiscono all’interno di una autenticità relativa, negoziabile, i cui significati sono direttamente connessi alla pratica sociale. Il turista non è interessato di un autenticità degli oggetti visitati, ma in se stesso.