Secondo le stime delle Nazioni Unite, da qui al 2050 il mondo consumerà risorse pari a tre pianeti, a fronte di una crescita della popolazione che, nello stesso periodo, raggiungerà i 9,6 miliardi di persone. Ci troviamo di fronte a un aumento della domanda di materie prime necessarie allo sviluppo economico e al tempo stesso a una scarsità delle risorse, che mette in crisi un modello economico a crescita illimitata.
Già nella Conferenza di Rio de Janeiro nel 1992 si era espresso un consenso sulla necessaria cooperazione nella lotta al degrado ambientale, con responsabilità comuni ma differenziate: le nazioni più sviluppate hanno riconosciuto la loro responsabilità verso uno sviluppo sostenibile, sulla base della loro maggiore impronta sul pianeta e delle risorse tecnologiche e finanziarie che possiedono. Negli ultimi anni il tema è affermato in maniera sempre più urgente, in particolare con i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile, adottati dalle NU nel 2015 all’interno dell’Agenda 2030.
Nei Paesi africani gli attivisti e le organizzazioni della società civile da tempo sollevano il tema (l’esempio di Ken Saro-Wiwa resta paradigmatico, così come quello di Wangari Maathai), e non mancano iniziative a livello continentale, come la creazione nel 2008 della piattaforma Pan African Climate Justice Alliance, che riunisce più di 1000 organizzazioni e comunità.
Nella consapevolezza dei fattori che contribuiscono al degrado ambientale, a partire dal predominio del modello di sviluppo “energivoro”, l’Africa si trova tuttavia a dover gestire varie dimensioni: l’essere ormai attore globale che dialoga, commercia e si allea con tanti partner secondo i propri interessi (EU, USA, Cina, India, Turchia, mondo arabo, ecc.); il voler crescere e creare condizioni per il mercato interno (è stata da poco creata l’African Continental Free Trade Area-AfCFTA) e per gli investimenti esteri, valorizzando al meglio le sue risorse (naturali e umane); il dover accrescere drammaticamente le infrastrutture materiali (strade, ferrovie, porti, aereoporti, energetiche) e immateriali e l’utilizzo sostenibile delle fonti energetiche.
Un tema cruciale è quello dei rifiuti smaltiti in Africa, nonostante sia in vigore dal 1998 la Convenzione di Bamako che proibisce ai Paesi africani di importare rifiuti pericolosi, compresi quelli radioattivi. Oltre che sulla circolazione globale di questi materiali, da reinserire in catene di valore, è necessario concentrarsi sulla condizione dei raccoglitori di rifiuti che vivono in condizioni di grave marginalità, impiegati in lavori pericolosi e sottopagati e, ancora a monte, sul problema della crescita dei consumi. Tutto questo crea opportunità e contraddizioni che dovranno sfociare in una via alla crescita sostenibile concepita e voluta dagli Africani.
Dal punto di vista delle istituzioni, un rilancio green arriva in Africa dalla visione dell’Agenda 2063, the Africa we want, un piano strategico comune per la trasformazione socioeconomica del continente lanciato nel 2013 dall’Unione africana. Parallelamente, la strategia per l’Africa del Global Compact delle NU richiama il ruolo del settore privato e dell’impresa responsabile, al fine di “creare mercati più integrati, società più resilienti e raggiungere uno sviluppo duraturo e sostenibile”, mentre l’Unione europea ha varato nel 2020 il Green New Deal, che prevede anche una strategia di partenariato con l’Africa basata su un nuovo mix di aiuti e di investimenti privati per creare insieme con alleanze e crescita sostenibile. La devastazione economica e sociale portata dalla pandemia Covid-19 nel continente sembra stimolare un’accelerazione dell’azione dei vari stakeholder: nel 7° Africa Regional Forum on Sustainable Development tenutosi dall’1 al 4 marzo 2021, l’idea che ha permeato gli interventi è che la ricostruzione post-Covid-19 dovrà seguire traiettorie green e tendenti alla minima emissione di carbonio.
Una risposta a queste sfide è individuata nella transizione verso l’economia circolare, che può aprire nuovi scenari, tra cui la sicurezza energetica, la minore dipendenza dagli altri Paesi, la tutela dell’ambiente e della biodiversità. Le sue declinazioni sono molteplici: ad esempio, il settore della moda produce interessanti progetti applicando questi principi, mentre quello della produzione agricola e del food sta sperimentando da tempo nuove soluzioni tecniche. Dal punto di vista espressivo, se il riciclo è da molto tempo interpretato tecnicamente e tematicamente dagli/lle artisti/e africani/e, il mondo della comunicazione è sempre più impegnato in questa direzione. Anche il mondo accademico africano si interroga sulla persistenza degli approcci scientifici occidentali nelle università del continente, mentre invece inserire le conoscenze indigene nei curriculum di studio porterebbe risultati applicativi più adatti. Inoltre, molte culture africane sono tradizionalmente sostenibili e le pratiche del recupero stanno ritornando molto tra i giovani. In questo senso anche il recycling/upcycling assume un valore diverso, improntato non solo all’innovazione, ma anche all’imprenditoria sociale e culturale.
A partire da queste premesse, il nuovo dossier di Africa e Mediterraneo vuole approfondire il concetto di economia circolare in Africa, indagandone le diverse sfaccettature, con il suo consueto approccio multidisciplinare. Tra le questioni su cui questo dossier intende concentrarsi:
- Quali sono le connessioni tra politiche e pratiche di economia circolare in una prospettiva africana? Come si intrecciano le politiche di lungo termine con le micro-pratiche di riciclo dei rifiuti urbani, industriali, agricoli? Quale può essere il ruolo della società civile e della ricerca scientifica nel favorire un cambiamento di paradigma su larga scala? Quale il ruolo del settore privato?
- Come cambia la categoria del consumo e come cambia lo statuto di un oggetto nelle traiettorie che esso compie, da scarto a oggetto di valore? Si sta formando una nuova estetica nel continente relativa agli oggetti derivati da modelli produttivi basati sull’up-cyling?
- Se si tende a pensare alla sostenibilità incrociando fattori ambientali, economici e socio-politici, cosa succede se si prova a spostare l’attenzione sulle componenti culturali?
- In Africa sostenibilità significa esplicitamente ripensare i rapporti di potere globale e assumere un ruolo di leadership per il Sud del mondo. Si tratta di un ripensamento profondo, un progetto che ben si inserisce nel filone della decolonialità. Che ruolo possono avere formazione, comunicazione, filosofia ed espressione artistica in questo processo?
- Sguardi letterari presenti e passati (ad es., Ayi Kwei Armah in Ghana, Ken Bugul in Senegal e Benin, Bessie Head in Botswana, ecc.)
Scadenza per l’invio:
Le proposte (400 parole al massimo) dovranno pervenire entro il **30 aprile 2021** agli indirizzi s.federici@africaemediterraneo.it e s.saleri@laimomo.it Le proposte saranno esaminate dal comitato di redazione. In caso di accettazione la consegna del contributo, completo di abstract (100 parole, in inglese) e bionota, dovrà avvenire entro il **30 giugno 2021**.
Africa e Mediterraneo si avvale di peer reviewers. Gli articoli e le proposte potranno essere inviate nelle seguenti lingue: italiano, inglese e francese.
Di seguito è possibile leggere e scaricare la call for papers in italiano:
Di seguito è possibile leggere e scaricare la call for papers in inglese:
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22 marzo 2021
La Giornata Mondiale dell’Acqua
di Sante Maurizi
L’inflazione di giornate dedicate a temi o ricorrenze non intacca la costante attualità della Giornata Mondiale dell’Acqua, che l’ONU volle istituire nel 1992 durante la Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro.
Secondo l’UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) in tutto il mondo circa 2,2 miliardi di persone non dispongono di acqua potabile sicura, 4,2 miliardi non sono dotate di servizi igienici efficienti e 700 milioni potrebbero emigrare a causa della scarsità d’acqua entro il prossimo decennio.
Contribuiscono alla crisi idrica mondiale una serie di fattori legati ai cambiamenti climatici quali l’aumento delle temperature, l’incostanza e la violenza delle precipitazioni, gli eventi meteorologici estremi. Fenomeni che inoltre si sovrappongono a consumi idrici globali aumentati di sei volte negli ultimi cento anni: impieghi che continuano a crescere a un tasso costante dell’1% annuo a causa dell’aumento della popolazione, dello sviluppo economico e del mutamento dei modelli di consumo.
Perciò fra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dall’ONU nel 2015 l’acqua è nominata espressamente ai numeri 6 e 14 fra i diciassette da raggiungere entro la data temerariamente fissata nel 2030. Ma diciamo che l’acqua è una pre-condizione, l’elemento che connette tutti i temi indicati dall’ONU: un anno fa lo Studio Ambrosetti ha licenziato il libro bianco “Valore acqua”, valutando che 10 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sono influenzati da una gestione efficiente e sostenibile delle risorse idriche, che può impattare positivamente su 53 dei 90 target relativi.
L’agricoltura è la principale attività per la quale l’acqua rappresenta un input produttivo primario (69% dei prelievi annui a livello mondiale: settore industriale al 19%, usi civili al 12%). È dunque particolarmente vulnerabile agli impatti dei cambiamenti climatici, che influenzano la disponibilità, la qualità e la quantità delle risorse idriche, già sottoposte a forti pressioni.
Accanto all’incremento delle capacità di accumulo e all’efficienza dei sistemi di distribuzione, uno dei temi-chiave è l’uso di “acque non convenzionali”: una delle priorità nella politica europea e di cooperazione internazionale sulle acque. Menawara è uno dei progetti finanziati dall’UE (attraverso il programma ENI CBC Med) sul riutilizzo delle acque reflue. Condotto dal Nucleo Ricerca sulla Desertificazione dell’Università di Sassari, il progetto coinvolge Giordania, Palestina Spagna, Italia e Tunisia. Quest’ultimo Paese è fra i più esposti alle minacce climatiche per l’aumento delle temperature, precipitazioni ridotte, innalzamento del livello del mare, inondazioni e siccità sempre più frequenti. Uno dei nodi è rappresentato dai contrasti legati all’utilizzo dell’acqua da parte delle strutture turistiche sulla costa: tipica situazione in cui la governance del sistema ha valore almeno pari alle soluzioni tecniche da adottare.
Uno degli obiettivi di tutto il programma ENI CBC Med è quello di coinvolgere la popolazione residente nelle aree di intervento, perché i risultati di progetto possano essere condivisi, accettati e trasferiti alle comunità locali. Tutte le politiche di cooperazione delle varie organizzazioni internazionali hanno identico approccio, nel quale trovano grande spazio lo studio delle forme adatte di comunicazione e lo storytelling.
Un esempio in questo senso è dato dalla fiaba “Il topo e la montagna” che Antonio Gramsci incluse in una lettera del 1931 indirizzata, tramite la cognata Giulia, ai figli: testo utilizzato come “cornice” del video conclusivo (con musiche di Paolo Fresu) del progetto Wadis-Mar che NRD condusse alcuni anni fa nel Maghreb.
Parole chiave : cambiamenti climatici, Giornata mondiale dell'acqua, sviluppo sostenibile
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21 gennaio 2021
Uganda e la sfida della democrazia
Il regime di Museveni in Uganda corrompe e tortura chiunque cerchi di ostacolarlo. Nel 2017 la parlamentare Betty Nambooze, che aveva cercato di bloccare una proposta di legge che avrebbe permesso a Museveni di governare a vita, fu portata dalle forze speciali in una stanza senza telecamera. Ne uscì con due vertebre rotte. Nel 2018 il cantante ugandese Bobi Wine, dopo la sua elezione in parlamento, fu arrestato insieme ad altri suoi colleghi con l’accusa di aver lanciato pietre durante un comizio del presidente. Uscirono dal carcere che dovevano appoggiarsi alle stampelle per camminare. Lo scorso autunno, in piena emergenza sanitaria causata dalla pandemia, 16 persone sono state uccise e altre 65 sono state ferite durante due giorni di violente manifestazioni di protesta in seguito all’ennesimo arresto di Bobi Wine, candidato dell’opposizione per le presidenziali.
Yoweri Museveni, 76 anni, è l’uomo forte dell’Uganda dal 1986. Quest’anno ha vinto il suo sesto mandato nonostante le accuse di irregolarità durante la campagna elettorale del 14 gennaio 2021, ottenendo il 59% dei voti contro Bobi Wine, che ha ottenuto il 35%. Museveni è anche uno dei più stretti collaboratori africani degli Stati Uniti in materia di sicurezza: gli ugandesi hanno prestato servizio militare sotto il comando statunitense in Iraq e in Somalia, e in cambio ogni anno il Paese riceve da Washington miliardi di dollari destinati al sistema sanitario e soprattutto all’efficienza dell’esercito ugandese. Come scrive Helen Epstein, nell’articolo Vietato criticare pubblicato sul numero 1392 / anno 28 dell’Internazionale, si tratta di «una forma moderna di colonialismo, anche se Washington preferisce parlare di “partenariato” (…) Per riempire le tasche di un dittatore, e far sì che i suoi soldati combattano le guerre degli stranieri, è necessario pensare che le vite degli africani siano sacrificabili».
Attualmente Bobi Wine è agli arresti domiciliari dal giorno del voto presidenziale, ma continua a denunciare il furto elettorale, le intimidazioni e le aggressioni degli alleati al regime. Il suo attivismo poltitico gli è valso il soprannome di “presidente del ghetto” e la sua ascesa ha infiammato i giovani ugandesi, anche tra chi non aveva mai mostrato interesse per la politica. Nei testi delle sue canzoni, un misto di rap e reggae, Bobi Wine parla della disoccupazione giovanile, della povertà delle baraccopoli e della repressione del dissenso. Il cantante, dunque, si inserisce sulla scia dell’azione di protesta di diversi giovani africani che sfidano le vecchie élite al potere e aspirano al rinnovamento sociale e politico. Lo scrittore, drammaturgo e poeta nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura, è intervenuto sulle elezioni ugandesi del 14 gennaio, dichiarando che «Bobi Wine, per me in questo momento, rappresenta il volto della democrazia per l’Uganda».
Segnaliamo questo documentario interessante pubblicato per DWDocumentary:
https://www.youtube.com/watch?v=9YMu55BN3Ns
Parole chiave : Bobi Wine, elezioni, Museveni, pandemia, Uganda, Wole Soyinka
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L’associazione Africa e Mediterraneo è tra i 43 firmatari della “Dichiarazione di Roma”, che è stata inviata il 7 dicembre a Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea relativamente al Patto europeo per l’immigrazione e l’Asilo pubblicato dalla Commissione il 23 settembre. Il documento, elaborato collettivamente a partire da una conferenza organizzata dalla rete GREI250, contiene uno sguardo critico sul patto, in particolare sulle procedure di prima accoglienza alle frontiere dell’UE e sull’insufficiente meccanismo di solidarietà tra gli Stati nella ripartizione dei richiedenti asilo.
Il nuovo patto, che unifica e fonde, nello stesso luogo e nello stesso tempo, una procedura di ingresso e una procedura di asilo, dovrebbe prevedere modalità di ingresso dignitose, regolari e organizzate sul territorio, dell’accoglienza di queste popolazioni in Europa e dei loro diritti, invece di dare priorità alla prevenzione degli arrivi e all’organizzazione dei loro ritorni o del loro respingimento.
La “Conferenza di Roma”, che si è data questo nome anche se organizzata online in quanto l’Italia “rappresenta l’insieme delle sfide connesse al fenomeno migratorio”, si è conclusa con l’elaborazione di una strategia di mobilitazione per influenzare il negoziato su questo Patto che si preannuncia lungo e complesso.
Scarica il documento “Dichiarazione di Roma” in pdf
Download the document “Rome Declaration” in pdf
Télécharger le document “Déclaration de Rome” en pdf
Parole chiave : Dichiarazione di Roma, GREI250, migrazione e asilo, Ursula Von der Leyen
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Accoglienza e integrazione sono tappe di un processo non facile. A ricordarlo è Papa Francesco che il giorno 10 settembre 2020 ha incontrato in Vaticano il sindaco di Lampedusa Totò Martello e i partecipanti al progetto europeo Snapshots from the Borders. Questo progetto finanziato dall’Unione Europea, che vede come ente capofila il Comune di Lampedusa e Linosa insieme a 35 partner tra cui Africa e Mediterraneo, si propone di contribuire alla creazione di una cultura nuova nei confronti dei migranti, basata sulla solidarietà e sulla responsabilità condivisa a livello nazionale ed internazionale.
A questa udienza nel Palazzo Apostolico Vaticano, a cui hanno partecipato anche i rappresentanti della nostra associazione Africa e Mediterraneo, il pontefice nel suo discorso (che si può ascoltare qui) ha illustrato la complessità dello scenario migratorio attuale, sottolineando la necessità che «le frontiere, da sempre considerate come barriere di divisione, possono invece diventare “finestre”, spazi di mutua conoscenza, di arricchimento reciproco, di comunione nella diversità; possono diventare luoghi in cui si sperimentano modelli per superare le difficoltà che i nuovi arrivi comportano per le comunità autoctone».
A questa Nel corso dell’intervento il sindaco di Lampedusa ha illustrato al Papa Francesco la campagna No more Bricks in the wall, promossa dal progetto Snapshots from the Borders, per far diventare il 3 ottobre la Giornata Europea della Memoria e dell’Accoglienza in cui si ricordano tutte le vittime delle migrazioni. «Li chiamiamo migranti, clandestini, profughi: per noi sono anzitutto esseri umani, persone», ha detto Totò Martello, invitando a essere parte di un movimento solidale e a diffondere un messaggio di umanità e solidarietà nel cuore delle istituzioni europee.
Papa Francesco conclude toccando un nodo centrale, che riguarda la comunicazione che si fa del fenomeno migratorio. «È fondamentale», afferma, «mettere al centro le persone, i volti, le storie». Da qui l’importanza «di progetti, come quello da voi promosso, che cercano di proporre approcci diversi, ispirati dalla cultura dell’incontro, che costituisce il cammino verso un nuovo umanesimo».
Al termine dell’incontro il sindaco Martello ha donato a Papa Francesco una Croce realizzata da un artigiano lampedusano con il legno delle imbarcazioni dei migranti, ed una maglietta con la scritta “Io sono pescatore”, hashtag lanciato dallo stesso Martello per ricordare che per la gente di mare non esistono barriere, e chi è in difficoltà va aiutato.
Parole chiave : 3 ottobre, No more Bricks in the wall, Papa Francesco, Snapshots from the Borders
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Resilienza è diventata, negli ultimi anni, una parola particolarmente fortunata, che, grazie alla sua forza evocativa e metaforica, risuona negli ambiti più diversi. Termine che trae le sue origini nell’ambito della fisica, dove è usato per descrivere la capacità di un materiale di resistere a un urto assorbendo energia, è poi transitato in diversi ambiti disciplinari: in psicologia, nello studio del trauma e delle sue conseguenze (Cyrulnik 2002; Bonanno et al. 2004; Masten, Cicchetti 2012; Vanistendael, Lecomte 2000), ma anche in urbanistica, spesso in relazione alla sostenibilità ambientale, in sociologia, antropologia, economia…per poi proliferare nel mondo della comunicazione di massa, dal giornalismo ai social.
Questa molteplicità di usi (e abusi) ha sollevato anche molti dubbi sulla sua reale capacità esplicativa: si tratta di un’utile parola-chiave, di uno strumento analitico per meglio comprendere la contemporaneità, o di una semplice moda? Resilienza, insomma, è un termine che rischia di logorarsi, di perdere significato – o anche, in un riflesso uguale e contrario, di diluirsi e allargarsi, fino a significare troppo.
Nella consapevolezza di questa possibile dispersione semantica, e cercando di valorizzare il concetto di resilienza in termini di ricaduta socio-culturale reale, il Dossier di Africa e Mediterraneo in programma vuole affrontare il tema da un punto di vista molto specifico: la stretta connessione tra la costruzione di comunità e territori resilienti e l’inclusione dei cittadini più vulnerabili.
Da un lato, infatti, è assodato che un tessuto sociale coeso potrà resistere meglio di fronte alle emergenze (Colucci, Cottino 2015), e si diffonde la consapevolezza di dovere adottare strategie di community-based disaster risk reduction (CBDRR) (Shaw 2016); d’altro lato bisogna constatare che la maggior parte degli abitanti più vulnerabili rimane esclusa dalle infrastrutture della resilienza, o perché vive in zone disagiate, o a causa di barriere linguistiche o culturali.
Creare comunità resilienti significa allora, necessariamente, creare comunità più eque (si veda anche il progetto “100 resilient Cities”). In quest’ottica, in una società caratterizzata da un multiculturalismo crescente, una comunità resiliente cresce riconoscendo le differenze e valorizzando gli elementi di coesione, sia in tempi di normalità sia in fasi di emergenza (per calamità naturali e/o provocate dagli esseri umani).
Ci interessa quindi ragionare sulla resilienza come competenza della comunità, per costruire le condizioni per affrontare l’emergenza senza escludere nessuno. In questo ambito però la resilienza è da considerare anche come competenza dell’individuo, approccio fondamentale per favorire processi di empowerment, in cui i singoli possano sviluppare una propria linea di azione e reazione rispetto alla catastrofe e alla difficoltà improvvisa, ricostruendo e ripristinando un, seppur precario, orizzonte simbolico (Lecomte 2002; Luthar, Cicchetti, Becker 2000; Manetti et al. 2010).
Le proposte potranno trattare, i seguenti temi, ma non solo, secondo vari approcci disciplinari:
- Gestione delle emergenze in contesti multiculturali;
- Disaster management e disaster preparedness nei conflitti;
- Cambiamenti climatici: emergenze ambientali e multiculturalismo / multilinguismo;
- Costruzione di città resilienti con l’integrazione di cittadini di Paesi terzi: l’attività di prevenzione del rischio coinvolgendo le comunità non native;
- Per una concezione transculturale di resilienza (Ungar 2008): punti di vista delle comunità minoritarie;
- Aspetti normativi e legislativi: quali sono gli ostacoli normativi per una resilienza democratica e inclusiva?
- Approccio di genere alla gestione dell’emergenza, verso la costruzione della resilienza femminile;
- Migranti come individui resilienti: le capacità di resilienza possono essere considerate competenze individuali, di gruppo, di comunità e culturali possedute dai migranti già dal momento in cui decidono di lasciare il loro paese, o sviluppate col tempo, in risposta alle condizioni di vita sfavorevoli.
- Resilienza ed educazione: importanza dell’educazione interculturale per la resilienza di bambini/e, ragazzi/e con background migratorio (Vaccarelli 2016)
Scadenza per l’invio:
Le proposte (400 parole al massimo) dovranno pervenire entro il **25 novembre 2019** agli indirizzi s.federici@africaemediterraneo.it e s.saleri@laimomo.it.
Le proposte saranno esaminate dal comitato di redazione. In caso di accettazione la consegna del contributo, completo di abstract (100 parole, preferibilmente in inglese, ma è possibile inviarlo anche in italiano) e bionota, dovrà avvenire entro il **20 dicembre 2019**.
Africa e Mediterraneo si avvale di peer reviewers. Gli articoli e le proposte potranno essere inviate nelle seguenti lingue: italiano, inglese e francese.
Bibliografia
Ballarin, M. Bignami, et al. (a cura di), Emergenze e intercultura: l’esperienza del sisma in Emilia-Romagna nel 2012, Lai-momo, Sasso Marconi 2014;
G.A. Bonanno, Loss, Trauma, and Human Resilience: Have we Underestimated the Human Capacity to Thrive after Extremely Aversive Events?, in «American Psychologist», vol. 59, n° 1, 2004, pp. 20-28;
Colucci, P. Cottino (a cura di), Resilienza tra Territorio e Comunità. Approcci, strategie, temi e casi, Collana “Quaderni dell’Osservatorio” Fondazione Cariplo, n. 21, Anno 2015;
Cyrulnik, Un Merveilleux malheur, Éditions Odile Jacob, Paris 2002;
Lecomte, Qu’est-ce que la résilience? Question faussement simple. Réponse nécessairement complexe, in «Pratiques Psychologiques (La résilience)», n. 1, Editeur L’Esprit du temps, Le Bouscat 2002;
S.S. Luthar, D. Cicchetti, B. Becker, The construct of resilience: A critical evaluation and guidelines for future work, in «Child Development», n. 71, 2000, pp. 543–562;
Manetti, A. Zunino, L. Frattini, E. Zini, Processi di resilienza culturale: confronto tra modelli euristici, in B. Mazzara (a cura di), L’incontro interculturale tra difficoltà e potenzialità, Unicopli, Milano 2010, pp. 97-106;
A.S. Masten, D. Cicchetti, Risk and Resilience in Development and Psychopathology: The Legacy of Norman Garmezy, in «Development and Psychopathology», n° 24, 2012 pp. 333-334;
Shaw, Community Based Disaster Risk Reduction, Oxford University Press USA, Oxford 2016;
Ungar, Resilience across Cultures, in «British Journal of Social Work», vol. 38, n° 2, 2008, pp. 218-235;
Vaccarelli, Le prove della vita. Promuovere la resilienza nella relazione educativa, Franco Angeli, Milano 2016;
Vanistendael, I. Lecomte, Le bonheur est toujours possible. Construire la résilience, Bayard Culture, Paris 2000;
Project “Amare-EU. A multicultural approach to resilience”, www.amareproject.eu/about-the-project/.
Di seguito è possibile leggere e scaricare la call for papers (in italiano e inglese):
English version
Parole chiave : Amare-Eu, resilienza, Rivista Africa e Mediterraneo
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È stato lanciato ufficialmente il programma di cooperazione culturale ACP-UE, che ha l’obiettivo di finanziare e sostenere i settori culturali e creativi dei 79 Paesi ACP (Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico). L’annuncio è stato dato da Léonard Emile Ognimba, Vicesegretario Generale del gruppo ACP, e da Stefano Manservisi, Direttore Generale del dipartimento di cooperazione internazionale e sviluppo alla Commissione Europea (DEVCO), in occasione del cinquantesimo anniversario del Festival panafricano del cinema e della televisione (FESPACO) a Ouagadougou in Burkina Faso.
La cooperazione culturale dell’Unione europea con i Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico si inscrive all’interno delle relazioni UE-ACP, oggi definite da una convenzione nota come Accordo di Cotonou: firmato nel 2000, è un accordo di partenariato che intende ridurre la povertà e contribuire all’integrazione progressiva dei paesi ACP nell’economia mondiale.
Il nuovo programma ACP-UE per un’industria culturale sostenibile, con un budget complessivo di 40 milioni di euro, intende sostenere i settori culturali e creativi attraverso:
- la creazione/produzione di beni e servizi di qualità, a costi competitivi e in quantità maggiori grazie alla tecnologia digitale;
- accesso ai mercati regionali, nazionali e internazionali; circolazione/diffusione/promozione di beni e servizi ACP, ed educazione all’immagine;
- migliorare l’accesso ai finanziamenti attraverso processi innovativi, consentendo il cofinanziamento, e mirando a ridurre la dipendenza degli operatori culturali ACP dai finanziamenti internazionali.
Il bilancio di 40 milioni di euro verrà suddiviso in tre componenti principali:
- sostegno ai settori culturali e creativi nei paesi ACP (26 milioni di euro);
- sostegno alle produzioni audiovisive nei paesi ACP (10 milioni di euro);
- gestione di una piattaforma digitale per imprenditori e operatori culturali dei paesi ACP, dei paesi europei e dei partner UE.
Pilastro fondamentale dello sviluppo, dell’integrazione e della coesione sociale, la cultura rappresenta una priorità per l’Unione europea, e sta acquisendo forza anche nei processi di sviluppo economico e sociale dei Paesi meno avanzati.
Per riflettere sul futuro di queste politiche è stato organizzato a Bruxelles per il 16-17 giugno il colloquio Culture for the Future. A dieci anni dal primo grande colloquio “Cultural and Creativity: vectors for Development” e della pubblicazione della “Brussels Declaration of EU-ACP Professionals of the Creative Industries”, la Commissione invita operatori culturali e artisti per fare il punto su quanto la cultura e la creatività siano effettivamente fattori di sviluppo e per ancorare questa fondamentale dimensione nella cooperazione europea.
Come 10 anni fa, coop. Lai-momo è stata invitata a partecipare al colloquio per portare il proprio contributo, in ragione della sua esperienza nei campi del fumetto di autore africano e dell’arte contemporanea.
Le politiche culturali nei Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico, inoltre, sono affrontati in modo approfondito nel dossier n. 68 della nostra rivista Africa e Mediterraneo, le industrie culturali in Africa sono analizzate nel n. 47-48, mentre il settore del libro è l’argomento dell’ultimo dossier, il n. 89.
Parole chiave : Accordo di Cotonou, ACP-UE, Culture for the Future, FESPACO, Paesi Acp
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02 aprile 2019
17 obiettivi per un futuro sostenibile
Dal 1 al 4 aprile torna a Bologna la Children’s Book Fair (BCBF), il più importante appuntamento dedicato all’editoria per bambini e ragazzi. La 56esima edizione vede nei padiglioni di BolognaFiere 1400 espositori da oltre 80 paesi con la Svizzera come Paese Ospite d’Onore. Da sempre impegnata nella promozione della lettura e della conoscenza, la fiera bolognese aderisce quest’anno al Sustainable Development Goals Book Club: si tratta di un progetto multilingue che, partendo dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, ogni mese per 17 mesi pubblica una lista di titoli per bambini e ragazzi con lo scopo di approfondire uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile.
Lo scopo del progetto è, quindi, di sensibilizzare i giovani sulle questioni attuali per mobilitarli a essere responsabili di un futuro migliore, e per prepararli ad affrontare sfide globali quali la povertà, la disuguaglianza, il cambiamento climatico, il degrado ambientale, la pace, la giustizia. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile da realizzare entro il 2030 sono i seguenti:
- Nessuna povertà
- Zero fame
- Buona salute e benessere
- Educazione di qualità
- Parità dei sessi
- Acqua pulita e sanificazione
- Energia accessibile e pulita
- Lavoro dignitoso e crescita economica
- Innovazione e infrastrutture del settore
- Disuguaglianze ridotte
- Città e comunità sostenibili
- Consumo responsabile e produzione
- Azione per il clima
- La vita sott’acqua
- La vita sulla terra
- Pace, giustizia e istituzioni forti
- Partnership per gli obiettivi
Al progetto partecipano editori internazionali, librerie e biblioteche, autori di libri per ragazzi, ma anche enti come l’International Federation of Librarian Associations (IFLA), l’European & International Booksellers Federation (EIBF), l’International Board on Books for Young People (IBBY), e l’International Publishers Association (IPA), la cui vicepresidente Bodour Al Qasimi ha partecipato con un articolo al numero 89 della nostra rivista Africa e Mediterraneo.
Durante le giornate della fiera, martedì 2 aprile, a Bologna nella sede di Lai-momo in Via Boldrini 14/G, sarà presentato, infatti, il numero 89 di Africa e Mediterraneo, il primo dossier di una rivista italiana dedicato al mercato del libro in Africa, con la partecipazioni del co-curatore Raphael Thierry e di due editori di libri per ragazzi, che da diversi anni partecipano alla Children’s Book Fair: Paulin Assem (éd. Ago Media, Lomè/Togo) e Agnes Gyr-Ukunda (éd. Bakame, Kigali/Rwanda).
Parole chiave : Bodour Al Qasimi, Fiera del Libro, Nazioni Unite, numero 89, sviluppo sostenibile
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25 gennaio 2019
Emilia Romagna. Imprese e imprenditori migranti
Cresce il numero di imprenditori immigrati in Italia: a rivelarlo è il quinto Rapporto Immigrazione e Imprenditoria curato dal Centro Studi IDOS, che ha analizzato l’andamento in tutto il Paese. Sono state inoltre realizzate delle schede per osservare le caratteristiche che il fenomeno assume in ciascuna Regione e Provincia Autonoma. La redazione di queste schede rientra nella campagna di informazione promossa nell’ambito di “Voci di confine”, progetto cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo, con capofila Amref e con il Centro Studi e Ricerche IDOS partner insieme a una rete di ulteriori enti e associazioni, tra le quali Africa e Mediterraneo.
I dati presentati nella scheda informativa relativa all’Emilia Romagna rivelano un tessuto economico in continua espansione: è una delle regioni con la più alta presenza di imprese con titolari di origine straniera (8,8% del totale). I dati osservano la prevalenza di imprenditori originari della Cina (12,0%), del Marocco (12,0%) e dell’Albania (11,5%). I principali poli di concentrazione sono le Province di Bologna (20,4%), Reggio Emilia (16,6%) e Modena (15,5%). I settori principali del lavoro imprenditoriale sono l’edilizia, il commercio e la manifattura.
Riportiamo qui di seguito tutti i dati dell’Emilia Romagna:
Sono quasi 52mila le attività di stampo imprenditoriale gestite da lavoratori di origine immigrata in Emilia Romagna, un numero in continuo aumento, pari a 1/9 di tutte le imprese registrate all’inizio del 2018 nelle Camere di Commercio locali (11,3%), una delle incidenze più elevate tra le Regioni italiane. Lo stesso valore si attesta infatti al 9,6% a livello nazionale e al 10,3% nell’intero Nord Est, dove nell’insieme operano quasi 120mila imprese condotte da immigrati, un quinto (20,4%) di tutte quelle conteggiate nel Paese (587mila).
In tutto il Nord Est, l’Emilia Romagna ne raccoglie la quota più elevata (quasi i due quinti 43,1%), distinguendosi anche sul piano nazionale come una delle regioni con la più alta presenza di imprese e imprenditori di origine straniera (8,8% del totale), preceduta solo da Lombardia, Lazio e Toscana.
Come a dire che la tradizionale diffusione nel contesto economico-produttivo locale dell’auto-impiego e dell’auto-imprenditorialità ha funzionato (e continua a funzionare) come un fattore di stimolo anche per i percorsi di inserimento dei lavoratori immigrati, che – anche in tempi di crisi – guardano al lavoro autonomo come a una possibilità di riscatto, contribuendo così a bilanciare il problematico andamento generale. Nel corso degli ultimi cinque anni (2012-2017), le imprese emiliano-romagnole gestite da lavoratori nati all’estero sono aumentate di oltre un ottavo (+13,2%), e del 2,7% solo nell’ultimo anno, mentre tra le restanti aziende, condotte da lavoratori autoctoni, si è registrato un calo del 4,3%, e dell’1,1% nel 2017.
In circa 3 casi su 4 si tratta di imprese a carattere individuale. I dati di Infocamere attestano infatti la presenza di quasi 462mila immigrati titolari di ditte individuali in tutta la regione, donne per oltre un quinto (22,5%). Guardando al dettaglio dei Paesi di origine, i dati attestano la prevalenza di lavoratori originari dalla Cina (12,0%), dal Marocco (12,0%) e dall’Albania (11,5%), tre collettività che da sole raccolgono oltre un terzo di tutti i piccoli imprenditori registrati in Regione. Segue con una quota simile la Romania (10,3%) e, quindi, la Tunisia (6,9%) e il Pakistan (4,6%), considerando i quali si arriva a coprire quasi il 60% del totale.
La distribuzione sul territorio regionale evidenzia come principali poli di concentrazione le Province di Bologna (20,4%), Reggio Emilia (16,6%) e Modena (15,3%). A seguire Parma (9,9%) e Ravenna (9,3%), Rimini (8,4%) e Forlì-Cesena (7,4%), Piacenza (6,7%) e Ferrara (6,0%).
A livello regionale prevale, seppure di misura, l’inserimento nell’industria (49,2% vs il 32,8% calcolato a livello nazionale), mentre i servizi si attestano al 47,1% e l’agricoltura all’1,5%. Il dettaglio delle singole province e dei diversi comparti di attività rivela l’influenza dei tessuti economico-produttivi locali (anche) sull’imprenditorialità degli immigrati, attestando di riflesso anche la loro capacità di leggere ed adattarsi ai sistemi socio-economici di riferimento. Così l’industria arriva a raccogliere oltre i due terzi degli immigrati titolari di una ditta individuale a Reggio Emilia (68,1%) e oltre la metà a Piacenza (53,1%), Modena (51,4%) e Parma (50,5%); il terziario prevale a Bologna (57,0%), Ferrara (56,6%), Rimini (56,3%) e Ravenna (51,0%); l’agricoltura è relativamente più diffusa tra i piccoli imprenditori immigrati nel parmense (2,8% del totale).
In tutti i casi a trainare l’inserimento nel settore primario è l’edilizia (39,1% sul piano regionale e 53,1% a Reggio Emilia), seguita dalla manifattura (10,1% in Emilia Romagna e 17,5% a Modena), mentre nei servizi si evidenzia il protagonismo del commercio (25,5% a livello regionale e 36,1% a Rimini), seguito dalle attività di alloggio e ristorazione (7,1% in regione e 10,1 a Ferrara).
Parole chiave : Centro di ricerca IDOS, emilia romagna, Imprenditoria, Rapporto Immigrazione e Imprenditoria, Voci di confine
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11 dicembre 2018
Migranti. Africa e Mediterraneo con Lampedusa al Forum di Marrakech
“I territori di frontiera hanno esigenze particolari rispetto agli altri, vivono una condizione di continua emergenza anche quando i riflettori dei mass media sono spenti. Servono misure rivolte a chi ‘sbarca’, ma anche a chi ‘accoglie’.”
Il punto di vista dei territori di confine è stato portato da Totò Martello, Sindaco di Lampedusa e Linosa, alla Migration Week su migrazione e sviluppo, che si è conclusa ieri a Marrakech con la firma del “Global Compact for a Safe, Orderly and Regular Migration”.
Sandra Federici, direttrice di Africa e Mediterraneo, era presente nella delegazione del Comune di Lampedusa, portando alla Migration Week l’iniziativa “Voci di Confine”, realizzata insieme ad Amref-Italia (che ha contributo attivamente all’organizzazione della missione), Lampedusa e a tante altre organizzazioni italiane, nonché il progetto europeo “Snapshots from the Borders”, che vede proprio il Comune di Lampedusa come capofila di più di 30 partner di 14 paesi impegnati sul fronte della migrazione.
Invitato a partecipare ai lavori del 5° Forum dei Sindaci sulla Migrazione, Martello è stato l’unico sindaco italiano a intervenire, assieme a rappresentanti di città come Kampala, Montreal, Marrakech, Chicago, Freetown, Bristol. Si è discusso della necessità per i decisori locali di avere a disposizione dati, risorse specifiche e formazione, per proseguire nella lotta contro la paura e la xenofobia, la mancata integrazione lavorativa dei migranti, l’esclusione dei rifugiati che, è stato notato, a livello globale vivono per i 2/3 in zone urbane.
Grande l’emozione suscitata dal discorso del Sindaco Martello, cominciato con il ricordo del naufragio del 3 ottobre 2013, a sottolineare l’importanza della memoria per guardare al futuro, e conclusosi con una richiesta di sostegno alla battaglia di Lampedusa e del Comitato 3 ottobre a far sì che questo giorno diventi “Giornata Europea della Memoria e dell’Accoglienza”. Martello ha espresso anche la preoccupazione per la compressione dello SPRAR e il mancato riconoscimento da parte del governo degli esempi virtuosi di accoglienza offerti da tanti comuni “in prima linea”.
Nella sessione di chiusura, molti relatori hanno sottolineato il valore simbolico e concreto dell’esperienza di Lampedusa, come Jean Pierre Elong Mbassi, Segretario generale dell’UCLG, United Cities and Local Governments of Africa, che ha sottolineato con emozione che i Lampedusani si sono occupati del riconoscimento dei cadaveri per permettere l’invio di notizie ai famigliari rimasti nei villaggi e nelle città di origine, preservando così nel modo più alto i doveri di solidarietà e rispetto della dignità umana.
“È stata un’occasione preziosa per scambiarsi idee e buone pratiche – ha affermato Sandra Federici – non soltanto tra organizzazioni del Nord, ma soprattutto con le città del Sud, in particolare africane, nelle quali l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, in un mondo in costante movimento, sono da tempo attività cruciali della gestione politica e amministrativa.”