06 febbraio 2018

Fumetto africano ad Angoulême

È dal 1974 che ogni anno la città francese di Angoulême ospita il Festival International de la Bande Dessinée, uno dei maggiori eventi mondiali dedicato alla Nona arte. In programma mostre, proiezioni, dibattiti, conferenze, incontri, concerti e diversi premi tra cui il noto Fauve d’Or, ovvero il premio al migliore fumetto dell’anno, senza distinzione di genere, stile e provenienza geografica.
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Quest’anno hanno partecipato anche l’associazione Africa e Mediterraneo e la cooperativa sociale Lai-momo, per presentare il lavoro di studio e promozione del fumetto africano iniziato sin dal 1999, con uno stand e due tavole rotonde. Assieme a Simon Mbumbo, autore camerunense attivo in Francia, e ad altri dinamici editori e promotori culturali della diaspora e non, Africa e Mediterraneo e Lai-momo hanno organizzato lo stand AfricaBD, e animato una tavola rotonda presso l’espace Nouveau Monde con la moderazione di Sandra Federici. La prima parte della tavola rotonda ha visto un dialogo tra vari importanti autori: il decano pluripremiato congolese Barly Baruti, che ad Angoulême presentava il terzo romanzo grafico pubblicato presso Glénat, Singe Jaune, e il connazionale Al’Mata, autore riconosciuto per il successo dei suoi ironici racconti delle peripezie migratorie di Alphonse Madiba dit Daudet. Tra la “penne” presenti, la camerunese Elyon’s rappresenta un caso unico per l’Africa, per il grande successo ottenuto presso un pubblico geograficamente molto vario con la serie La vie d’Ebène Duta, autopubblicata grazie al crowdfounding; Adjim Danngar, autore ciadiano rifugiato in Francia, ha saputo – grazie ad un’interessante evoluzione stilistica e alla collaborazione con lo sceneggiatore franco-camerunese Christophe Edimo – pubblicare un libro originale come Mamie Denis evadée de la maison de retraite; Fati Kabuika, giovane congolese già pubblicato da Les enfants rouges e Toom comics, è ora in Francia per produrre il secondo volume de La vie d’Andolo. La seconda parte della tavola rotonda ha messo invece a confronto editori e associazioni che stanno lavorando nell’ambito del fumetto africano: Simon Mbumbo, di Toom Éditions; Christophe Edimo, presidente della storica Associazione L’Afrique dessinée; Paulin Assem, editore togolese (Ago Média); Raphaël Thierry, studioso del mercato del libro africano; Dalila Nadjem delle edizioni algerine Dalimen. Andrea Marchesini Reggiani ha parlato dell’archivio Africacomics, conservato a Sasso Marconi (Bo), che riunisce più di 2500 tra tavole e pubblicazioni di autori africani di fumetto, raccolte da Lai-momo e dall’associazione Africa e Mediterraneo nel corso di diversi progetti a partire dal 1999. Un lungo lavoro di ricerca e archiviazione che è stato infine messo online, disponibile gratuitamente per appassionati e addetti ai lavori.

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Il Festival è stato anche l’occasione anche per rilanciare la petizione che chiede la liberazione dell’artista, fumettista e attivista per i diritti umani Ramón Esono Ebalé, in arte Jamón y Queso, che dal 16 settembre 2017 è rinchiuso nel carcere di Black Beach in Guinea Equatoriale, suo Paese d’origine. Vincitore del premio 2005-2006 Africa Comics, Ramón è accusato di diffamazione e calunnia nei confronti del presidente Teodoro Obiang Nguema, la cui famiglia domina il paese dal 1979. Ai fumettisti, direttori di festival ed editori presenti è stato chiesto di posare con l’hashtag #freenseremon, e in tanti hanno risposto.
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Francis Groux per esempio, uno dei fondatori del festival di Angoulême, o artisti del calibro di Barly Baruti, Marguerite Abouet, Edmond Baudouin. Altri invece, come Gianluca Costantini hanno contribuito con un disegno o un’illustrazione: immagini che hanno fatto il giro del mondo, fino a raggiungere lo stesso Nsè, che proprio in questi giorni ha lanciato dal carcere un messaggio di resistenza e di speranza:

“Ciao a tutti, a nome mio e di tutta la mia famiglia voglio ringraziare tutti coloro che continuano a lottare, nella speranza di farmi uscire da questa situazione a cui non appartengo. Non appartengo a nessun luogo, eccetto quelli in cui le persone possono essere libere e responsabili delle proprie azioni. Tuttavia chi sta al potere ha deciso di non ammettere la ragione della mia detenzione, laddove ragionare significherebbe un progresso verso lo sviluppo generale. […] Non mi arrenderò, non sono nato con il mondo ai miei piedi, sono nato dalla felicità di mia madre. E oggi vivo per rappresentare il mio popolo attraverso i miei disegni.”

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26 ottobre 2017

Una mostra afghana a Parigi

Afghanistan belongs to the history of the world
(Historian Micheal Barry)

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Quando si parla di Afghanistan in Europa, difficilmente si evoca un immaginario che sia esente da guerre, instabilità politica, intolleranza e integralismi religiosi. Dunque, perché non raccontare una storia diversa che metta in scena la prosperità di un paese in cui una generazione più giovane di donne e uomini si sta impegnando nell’imprenditoria responsabile nei settori dell’arte, della musica, della moda e della produzione video? L’Afghanistan vive una creatività straordinaria fondata su un patrimonio culturale millenario aperto alle contaminazioni. Infatti, la mostra Afghanistan Art of Fiber & the Silk Road, organizzata da Zarif Designs e Ethical Fashion Initiative, inaugurata il 24 ottobre 2017 all’Espace Cinko di Parigi, vuole dare visibilità alle diverse pratiche culturali, creative e artigianali di questo paese. Un paese che, per decenni, è stato luogo di scambio e tolleranza tra Occidente e Oriente grazie, in particolare, alla via della seta che ha permesso a popoli differenti di condividere i tessuti, le arti, le tecniche stilistiche e artigianali.

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L’eterogeneità vitale della cultura, della storia e della tradizione dell’Afghanistan, perciò, sono riproposte in Europa in una mostra che vede la presenza dell’artista francese Olga Boldyreff, la cui pratica artistica è incentrata nell’esplorazione delle relazioni interspaziali attraverso lavorazioni di maglieria, stampe e litografie cucite che ricercano punti di incontro e punti di fuga. A mostrare il prezioso lavoro di filo e tessitura c’è Rahim Walizada, rinomato artigiano afghano di tappeti, mentre il ritmo dell’evento è dato dalla poesia mistica persiana letta da Leili Anvar. È presente anche Simone Cipriani, responsabile del progetto Ethical Fashion Initiative (ITC) che promuove la moda etica e sostenibile a livello internazionale. Musiche, sapori e cocktail dalla terra afghana arricchiscono una mostra eclettica e polimorfa, che non racconta solo dell’Afghanistan, ma mette in risalto identità dell’arte e dell’imprenditoria che si fanno sempre più plurali e trasversali.

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(Olga Boldyreff)

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21 settembre 2017

L’Africa e l’arte contemporanea

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(Zemba Luzamba, Paparazzi, 2016)

Si intitola Éblouissements la quinta edizione della Biennale d’Arte di Lubumbashi che si terrà nella Repubblica Democratica del Congo dal 7 ottobre al 12 novembre 2017: bagliori, quindi, nella traduzione italiana del titolo, a indicare le brillantezze di cui è capace la creatività artistica africana. Si tratta di un titolo ricco di significato e intriso di storia, come ci dimostra uno dei pensatori più originali del continente africano, Joseph Tonda, che nel suo libro L’impérialisme postcolonial (2015) indica con éblouissements i giochi di luce e d’ombra che hanno stordito l’immaginario violento postcoloniale. L’Africa contemporanea si presta, così, a un bagliore artistico attraverso un ricco programma di mostre, spettacoli, conferenze, workshop e attività di apprendimento e sensibilizzazione che fanno di Lumbubashi una delle città africane più in movimento dal punto di vista culturale. Una vasta gamma di luoghi, tra cui il Museo Nazionale di Lubumbashi, l’Istituto di Belle Arti, la Halle de l’Etoile, Hangar Picha, sarà investita da talenti nazionali e internazionali che nutrono uno spazio ricco di connessioni e scambi proficui.

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(Tracey Rose, MAQUEII, 2002)

Le tematiche affrontate sono differenti e molteplici, vanno dalle immagini provocatorie che insistono sulle politiche identitarie e di genere dell’artista sudafricana Tracey Rose ai dipinti chimici del franco-marocchino Hicham Berrada che unisce l’arte alla ricerca scientifica, e al realismo fantastico di un artista congolese come Zemba Luzamba. I processi disordinati ed eterogenei che occupano lo spazio urbano di Lumbubashi sono un’occasione per comprendere dal punto di vista critico le dinamiche sociali, economiche, culturali che agiscono nell’inconscio collettivo, e sono anche un modo per osservare le trasformazioni del continente nel sistema mondiale attuale.

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(Hicham Berrada, Présage, 2007-2013, Vidéo HD issue de performance)

Per maggiori informazioni: www.biennaledelubumbashi.org

 

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20 giugno 2017

La Champions #WithRefugees

Molte sono state le iniziative che, sotto l’egida della campagna #WithRefugees promossa da UNHCR, hanno condotto alla Giornata Mondiale del Rifugiato il 20 giugno: un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei rifugiati e cercare di creare molteplici occasioni di incontro tra le comunità locali, i rifugiati e i richiedenti asilo. L’integrazione e la sensibilizzazione non possono che passare anche attraverso lo sport perché esso «consente di abbattere i muri e di costruire dei ponti, abbracciando la dimensione competitiva, ludica e socio-educativa», così scrive Raymond Siebetcheu in un articolo pubblicato sul n. 84 della rivista Africa e Mediterraneo, appunto, dedicato al rapporto tra sport e immigrazione.
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Il 18 giugno allo stadio Tre Fondane di Roma si è svolta la Champions #WithRefugees, una giornata di grande calcio, organizzata da UNHCR insieme a Liberi Nantes e all’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.): si è trattata di una partita amichevole tra i Liberi Nantes, la prima squadra di calcio dal 2007 destinata a rifugiati politici e richiedenti asilo, e una selezione di stelle del calcio capitanate da Sulley Muntari, calciatore ghanese del Pescara divenuto recentemente simbolo globale della lotta al razzismo e all’intolleranza, e volti noti dello spettacolo. La storia dell’associazione Liberi Nantes, raccontata in una riflessione sui Mondiali antirazzisti di Vittorio Martone nel medesimo numero della rivista, è rappresentativa del percorso di lavoro per l’inclusione attraverso lo sport. Lo sport, infatti, offre straordinarie possibilità di apertura, di dialogo, di partecipazione civile e di socializzazione positiva tra i migranti e i membri della società che li accolgono.

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Per maggiori informazioni sui Liberi Nantes: www.liberinantes.org

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23 maggio 2017

Rapporti tra culture. Una storia di malintesi e… fake news

Bufale e hate speech, affermazioni inverosimili e polemiche: come sappiamo, il panorama mediatico è invaso da un’aggressività inquietante che disorienta e, anche, spaventa un po’. Tra le forme di resistenza alla superficialità on-line che si vedono emergere sempre più, abbiamo conosciuto l’associazione “Gli incontri di Sant’Antonino”. Attiva da circa due anni nella divulgazione culturale, affronta temi attuali secondo approcci diversi: storici, filosofici, antropologici, teologici. I partecipanti agli incontri – rigorosamente off-line e cioè reali – approfondiscono le ragioni dei problemi attuali, cercando di delineare scenari futuri. Il gruppo si riunisce presso l’antica dimora Sgaravatti di Sant’Antonino (Casalgrande, RE). Non c’è appartenenza politica o religiosa, solo l’interesse ad approfondire e a dialogare. Mettendoci tempo, pensiero, curiosità. Il tema di domenica 7 maggio, ad esempio, è stato: “Rapporti interculturali. Una storia di malintesi”.

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Francesco Maria Feltri, storico e docente di liceo (fortunati gli studenti a cui tocca come professore di storia e filosofia…) ha spiegato come l’ideologia razzista nei confronti di ebrei, moriscos e marrani, diffusa nella Spagna del 500, è stato il bagaglio di mentalità intollerante con il quale l’Europa è arrivata nelle Americhe e, in seguito, ha sviluppato le sue imprese coloniali. Un “razzismo teologico” nei confronti degli ebrei, etichettati come la razza perversa degli assassini di Cristo, portatori nel sangue di una macchia che nemmeno il battesimo poteva lavare. E’ stato questo l’inizio di una dissertazione storica che, di documento in documento, ha ripercorso le tappe dell’atteggiamento violento dell’Occidente nei confronti degli Altri, un atteggiamento di cui torna ancora qualche eco negli striscioni razzisti con slogan irripetibili che vediamo negli stadi. Di seguito Guido Armellini, autore del manuale di letteratura italiana Armellini-Colombo e componente della chiesa valdese di Bologna, ha raccontato cosa vuol dire “Essere protestante nell’era di Francesco”. Mostrando un curioso Playmobil raffigurante Martin Lutero, prodotto e diffuso in Germania dall’azienda di giochi in occasione dei 500 anni dall’affissione delle 95 tesi sulla porta della chiesa di Wittenberg, ha spiegato cosa un protestante non celebra 500 anni dopo la riforma. Non celebra la posizione di Lutero verso i contadini, quella verso gli ebrei, l’appoggio che i governi hanno avuto dalle autorità per imporre la loro idea ai sudditi con la forza (il famoso cuius regio eius religio). Ha però anche spiegato i punti di differenza tra cattolicesimo e riforma, sottolineando ad esempio la responsabilità nei confronti delle scelte morali a cui sono chiamati i credenti protestanti, che non hanno un clero che faccia da intermediario con Dio.

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Il dialogo è proseguito con domande dei presenti e interventi dei due esperti, fino a concludere che la storia continua a dimostrare che l’intolleranza “non conviene”, che i popoli che si sono chiusi agli altri hanno anche rinunciato all’apporto economico e all’innovazione portata dalle altre culture. La decadenza della Spagna che cacciò moriscos ed ebrei fece la ricchezza degli olandesi che invece dissero: venite, c’è posto per tutti. E molti governanti lo capirono, tornando sui loro passi nel corso del 600. “Lo spirito dei nostri incontri”, ha affermato il presidente Vanni Sgaravatti, “è aiutare a capire il presente, guardando con più attenzione il passato e immaginando il futuro attraverso una migliore capacità di dialogo con l’altro. Le persone partecipano per il bisogno di trovare il punto di incontro tra necessità di riflessione, impegno, conoscenza, ma anche di relazione in un luogo piacevole, famigliare, umano, dove pensare non è disgiunto da gustare, ascoltare, sorridere”.

Per info: https://www.facebook.com/anticadimorasgaravatti

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07 febbraio 2017

Contaminare con l’arte. George Zogo e Joan Mirò

In occasione del Black History Month Florence, il college internazionale d’arte SACI inaugura giovedì 16 febbraio alla Jules Maidoff Gallery di Firenze “Vita Quotidiana”, la mostra di uno degli artisti africani residenti in Italia maggiormente conosciuti e apprezzati dalla critica, George Abraham Zogo (1935-2016). Il titolo dato all’esposizione si ispira all’omonima opera dell’artista africano, che per certi tratti si avvicina alla poetica figurativo-fantastica del pittore spagnolo Joan Mirò: ci sono somiglianze, infatti, visive e simboliche tra il dipinto tratto dalla serie Vita quotidiana (2001) di Zogo e il trittico Bleu (1961) di Mirò.

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George Zogo, Vita quotidiana (2001)

Su una distesa spaziale vuota e colorata scorrono, in entrambe le opere, linee in fuga e figure geometriche che si disfano a favore di una lirica della spontaneità e dell’immediatezza, che si dimentica degli oggetti per gioire nel movimento. Nelle opere dell’artista camerunense e dell’artista spagnolo si può parlare, quindi, di contaminazione degli elementi simbolici europei con quelli propri dell’arte africana.

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Joan Mirò, Bleu (1961)

George Zogo fece parte, infatti, della prima generazione di intellettuali e artisti africani che arrivavano in Europa negli anni ’60, e rappresenta un esempio di necessità di uscire dall’isolamento culturale e tecnologico dei paesi africani per inserirsi nei circuiti dell’arte internazionale. La stessa arte contemporanea africana ha giocato un ruolo significativo nel panorama europeo del Novecento, attraendo, oltre a Joan Mirò, artisti noti come Picasso e Matisse, che riconoscevano la forza dell’ispirazione visiva proveniente dal mondo africano. Anche oggi s’insiste sulla natura “interculturale” dell’arte, sul fatto che essa possa costituire un prezioso strumento per ampliare l’immaginario delle persone, facilitando l’incontro con l’alterità: la riflessione, dunque, su una contaminazione estetica può fornire alcune direzioni per superare la rigida dicotomizzazione tra “noi” e gli “altri”, e rendere più permeabili i confini tra le identità e le culture.

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George Zogo, Les lignes croisèes (2000)             George Zogo, Symbolisme (2001)

 

La mostra verrà inaugurata il 16 febbraio alla Jules Maidoff Gallery di Firenze. Per maggiori informazioni su tutto il programma del Black History Month Florence: www.blackhistorymonthflorence.com

Roberta Sireno

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