03 ottobre 2024
La migrazione forzata da un film a un fumetto
Il 3 ottobre si celebra l’anniversario del naufragio di Lampedusa del 2013, in cui persero la vita 368 persone, ma sono tante le persone che perdono la vita nelle rotte migratorie irregolari, mentre altre si salvano dopo viaggi rischiosissimi. Come quello raccontato nel film “Io Capitano”, di Matteo Garrone.
Le scene cruciali del film sono state rappresentate uno studente e una studentessa del Liceo Fermi di Bologna in un fumetto. Davide Colombo e Sara Sondo hanno realizzato la storia nell’ambito del progetto “Migrazioni”, curato dalla professoressa Barbara Conserva per la classe 3L del Liceo Scientifico “E. Fermi” di Bologna nell’AS 2023/2024.
La classe ha assistito alla proiezione del film “Io capitano” e incontrato alcuni testimoni: Mohamed Sacko, operatore sociale, e Thierno Mamadou Bah, operatore socio sanitario, entrambi originari della Guinea Conakry, con la moderazione di Daro Sacko, componente del Diversity Team e del Progetto SPAD del Comune di Bologna.
La classe ha poi partecipato a un laboratorio sulle migrazioni “Niente da dichiarare. Geografia e storia di migrazioni”, coordinato dall’Istituto storico Parri Bologna Metropolitana, durante il quale ha realizzato alcuni prodotti multimediali di comunicazione, tra cui un video.
Parole chiave : Bologna, film, Fumetto, Io capitano, Liceo Fermi, Matteo Garrone, scuola
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03 maggio 2024
Sostieni la rivista Africa e Mediterraneo con il tuo 5×1000!
Dal 1992, con Africa e Mediterraneo diamo spazio alla conoscenza della cultura dei paesi africani, alla creatività del continente in ambito artistico, letterario, teatrale, della moda, e non solo…
In questo periodo di crisi globale e transizione, teniamo aperto questo canale di dialogo con ricercatori e ricercatrici internazionali per approfondire temi fondamentali come lo sviluppo sostenibile, l’incontro tra culture, l’esclusione sociale, il razzismo.
Le opere di artisti e artiste del continente o afrodiscendenti, che la rivista studia e valorizza da 30 anni, sono per noi uno strumento fondamentale per capire la complessità di un presente che ha radici nel colonialismo. Per sostenere la libertà e la democrazia oggi tanto in crisi, è fondamentale diffondere ricerche serie e controllate da revisione anonima su temi a cui purtroppo si dà pochissimo spazio.
È per questo che la cooperativa Lai-momo nel 1995 ha scelto coraggiosamente di portare avanti la rivista Africa e Mediterraneo e quest’anno arriva al grande traguardo del numero 100.
Chiediamo a tutti e tutte di dare un sostegno a questo impegno di approfondimento e resistenza culturale donando il 5×1000 alla cooperativa sociale Lai-momo.
Come destinare il tuo 5×1000 a Coop. Lai-momo:
Nel tuo modello per la dichiarazione dei redditi (CU, 730 o UNICO) scrivi il codice fiscale 04253920377
Parole chiave : 5x1000, Africa e Mediterraneo, afrodiscendenti, Cooperativa Lai-momo, Rivista Africa e Mediterraneo
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Le cooperative sociali Lai-momo, Abantu e l’associazione Africa e Mediterraneo hanno attuato una ristrutturazione del loro spazio di lavoro di Via Boldrini 14G a Bologna, con l’intento di aprirlo anche ad un utilizzo per eventi culturali e formativi indirizzati al pubblico.
Assieme alle lavoratrici e lavoratori, è stato scelto per questo spazio il nome di Stazione Boldrini.
Questa definizione, da un lato, valorizza l’abitudine consolidata – di chi vi lavora e di chi vi arriva – ad utilizzare il riferimento al nome della via, dall’altro lato, suggerisce la vicinanza alla Stazione Centrale.
Inoltre, questo nome evoca i concetti del viaggio, della migrazione, dell’arrivo a una meta, delle fermate (della vita), del ritorno, degli incontri: idee che definiscono l’impegno sociale che da 30 anni il nostro gruppo di lavoro sta portando avanti.
Martedì 26 marzo alle 18.30 Stazione Boldrini verrà inaugurata insieme con i partner istituzionali, del Terzo Settore e delle aziende con cui Lai-momo, Abantu e l’associazione Africa e Mediterraneo collaborano da lungo tempo.
Al taglio del nastro saranno presenti:
Erika Capasso – Delegata alla Riforma dei Quartieri, Immaginazione civica, progetto Case di Quartiere, politiche per il terzo settore, bilancio partecipativo, inchiesta sociale, sussidiarietà circolare del Comune di Bologna
Luca Rizzo Nervo – Assessore al Welfare del Comune di Bologna
Stefano Brugnara – Amministratore unico di ASP Città di Bologna (TBC)
Andrea Marchesini Reggiani – Presidente Lai-momo cooperativa sociale
Parole chiave : accoglienza, Bologna, migrazione, Stazione Boldrini
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Il 21 marzo, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, il Comune di Bologna, in collaborazione con le Associazioni della Rete SPAD, presenterà i risultati del secondo anno di lavoro dello Sportello Antidiscriminazioni pubblicati all’interno del Rapporto dell’Osservatorio 2023. L’evento si terrà a partire dalle ore 16:30 presso la Sala Polivalente della Casa di quartiere Katia Bertasi (via Fioravanti 18/3).
Si inizierà con un momento di approfondimento e dibattito, a partire dai dati e dai focus tematici contenuti nel Rapporto, a cui parteciperanno Emily Marion Clancy, Vicesindaca del Comune di Bologna con delega alle Pari opportunità e al contrasto alle discriminazioni, e Sara Accorsi, Consigliera delegata al Welfare metropolitano e lotta alla povertà, Politiche per la casa, Politiche per la pianura bolognese.
Gli interventi dei relatori e delle relatrici saranno moderati da Daro Sakho, Diversity Manager del Comune di Bologna, e rifletteranno sul contesto attuale, su quello che è stato fatto e sulle sfide future.
Nella seconda parte dell’evento, gli studenti e le studentesse di due scuole secondarie di primo grado della città, Farini e Gandino, presenteranno il lavoro realizzato nell’ambito del progetto “Le immagini dell’accoglienza” condotto dall’associazione Dry-Art in partenariato con le associazioni Sophia e Black History Month Bologna.
A seguire, si terrà un dialogo-incontro musicale con Amir Issaa, rapper e attivista da anni impegnato in progetti sociali e di sensibilizzazione contro il razzismo, testimonial UNAR e attualmente in Tour negli Stati Uniti in occasione del Black History Month 2024.
Saranno presenti interpreti LIS per tutta la durata dell’evento.
È gradita registrazione utilizzando il modulo al seguente link: https://forms.gle/ijVu6biKRFdRiZMu7
L’evento va ad arricchire il programma di iniziative realizzato dalla Città Metropolitana nell’ambito della XX edizione della Settimana di azione contro il razzismo promossa da UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali.
Parole chiave : 21 marzo, antirazzismo, Comune di Bologna, Rapporto dell’Osservatorio 2023, Sportello Antidiscriminazioni
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Un sabato pomeriggio di immersione nelle ricchezze interculturali di Bologna dedicato a famiglie, giovani lavoratori e lavoratrici, bambini e bambine, con laboratori, dibattiti e proiezioni cinematografiche.
Invito aperto a tutti e tutte per Sabato 16 dicembre a partire dalle 15 al Centro Interculturale Zonarelli in Via Giovanni Antonio Sacco 14, all’evento che alcune organizzazioni che lavorano all’intercultura e all’inclusione hanno organizzato nell’ambito del progetto “Orizzonti Interculturali”, finanziato dal Settore Innovazione e semplificazione amministrativa e cura delle relazioni col cittadino del Comune di Bologna.
Una giornata in cui ogni associazione apporta un contributo particolare, tanto che il programma si sviluppa contemporaneamente in due sale, una dedicata al dibattito e all’approfondimento, l’altra dove si svolgeranno le attività artistiche e ludico-motorie.
Si comincia alle ore 15:00 nella sala Polivalente con la sfilata di costumi tradizionali delle etnie vietnamite a cura dell’associazione Associazione Italia-Vietnam Ponte tra Culture e si proseguirà con la proiezione del video realizzato dall’Associazione Dry Art che presenta tutte le associazioni che partecipano al progetto. A seguire in due parole si auto-presenteranno le associazioni e sarà approfondito lo Sportello Antidiscriminazioni SPAD a cura di Africa e Mediterraneo.
Alle ore 16:00 sarà il momento di “Nero Nomade Film Festival”: Cineforum itinerante a cura di BHMBO – con la proiezione di un cortometraggio e dibattito per affrontare la tematica del dialogo interculturale e interreligioso, attraverso il cinema d’autore realizzato da registi neri e afro-discendenti presenti in Italia e non conosciuti dai circuiti classici. Alle ore 17:30 sarà la volta del dibattito a cura di Geopolis dal titolo “Africa Instabile”. Qual è lo stato di salute del continente africano? Conflitti e colpi di stato hanno segnato l’anno che si avvia alla sua conclusione. In Africa è in atto un processo di de-occidentalizzazione, i paesi africani stanno cercando di rendersi più indipendenti o nuove dinamiche geopolitiche la stanno conducendo a nuovi corsi? Cosa ha determinato il considerevole aumento dei flussi migratori ai nostri confini, in particolare dalla Tunisia? Alcune potenze europee lasciano sempre più campo ad altri paesi come Cina, Russia e Turchia la gestione del continente, o quello a cui stiamo assistendo è una sconfitta della strategia occidentale, in particolare europea? La Francia si allontana sempre più dalle proprie colonie, il nostro paese che ruolo e quale tipo di influenza è ancora capace di esercitare? Il dibattito sarà condotto da Luciano Pollichieni, collaboratore di Limes e analista fondazione Med-Or ed Elia Morelli, Ricercatore di storia (UniPisa) e analista geopolitico (Domino), con la moderazione di Stefano Totaro (Geopolis). Interverrà per i saluti istituzionali Rita Monticelli, docente dell’Università di Bologna e consigliera comunale con delega per i diritti e il dialogo interreligioso.
Partirà alle 15:30 nell’altra sala “Arte in Gioco” – un mondo di colori per colorare il mondo: laboratorio di lettura con il Kamishibai della storia Stella di Fuad Aziz e rielaborazione grafico-pittorica. A cura di TotemLab APS e Associazione MondoDonna Onlus. Dopo un momento doverosamente dedicato alla merenda, alle ore 17:00 le ACLI Provinciali di Bologna proporranno “Dall’io all’altro, tra danze, culture e religioni”, laboratorio di Ludo-danza e meditazione che unisce i percorsi realizzati per gli studenti delle scuole secondarie di I grado di Bologna all’interno del progetto: metodologie e contenuti che testimoniano la ricchezza della diversità e l‘esser fratelli tutti.
Si termina insieme alle ore 18:00 con il cerchio interculturale e artistico di condivisione promosso da Arte Migrante, in cui adulti e bambini potranno proporre una performance di ballo, musica, canto, poesia e altro.
Gli enti che partecipano al progetto sono: Associazione interculturale per inserimento lavorativo di volontariato AIPILV, Associazione Universo Interculturale, Geopolis, Associazione Italia-Vietnam Ponte tra Culture, Africa e Mediterraneo, Arte Migrante, Dry-Art Ets, TotemLab APS, Black History Month Bologna – BHMBO, Acli Provinciali di Bologna, MondoDonna Onlus.
Per i dettagli sul programma:
Orizzonti Interculturali_Locandina_Programma
Parole chiave : Bologna, Centro Interculturale Zonarelli, inclusione, Integrazione, Orizzonti interculturali
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di Francesco Romana Paci
Giovedì 2 novembre 2023 ha avuto luogo a Milano al Teatro No’hma la serata conclusiva della XIV Edizione del Premio Internazionale “Il Teatro Nudo” di Teresa Pomodoro, del quale è Presidente Livia Pomodoro, sorella dell’attrice scomparsa e continuatrice della sua opera. Gli spettacoli in gara erano quattordici dei trentanove messi in scena dal Teatro No’hma durante la stagione 2022-2023. I premi sono assegnati separatamente dalla Giuria degli Spettatori e da una Giuria di Esperti. A ciascuno dei due principali premi si aggiungono poi di fatto quattro ulteriori premi, due Menzioni Speciali da parte degli Spettatori e due da parte degli Esperti.
Per il secondo anno, inoltre, è stato assegnato un settimo premio, il “Premio Speciale per la Conservazione del Patrimonio Culturale dell’Umanità”. Quest’anno il Premio Speciale è stato attribuito a Birdy, della Compagnia di Danza Contemporanea “Hung Dance” di Taipei, Taiwan.
Il Premio della Giuria degli Spettatori è andato allo spettacolo Dance Andalacia, del Manolo Carrasco Ensemble, Spagna. Le due Menzioni Speciali degli Spettatori sono andate allo spettacolo di danza Die Musen, Germania; e a From Malta with Love, della Moveo Dance Company di Malta.
Il Premio della Giuria di Esperti è stato assegnato al musical – canto, danza e recitazione – Mahalia, the Queen of Gospel Music, del Hattiloo Theatre di Memphis, Tennessee. Le due Menzioni Speciali sono state assegnate a Land of Poetry, pièce multidisciplinare creata dall’attore e scrittore Martin Chishimba e prodotta dal Twangale Cultural Centre della città di Ndola in Zambia – se ne è già scritto su questo blog il 3 luglio 2023; e a Los Pàjaros Negros, spettacolo di musica, canto, danza, arti visive e ricerca storica della compagnia multidisciplinare La Franja Teatral di Cuba.
Vale la pena ricordare che la Giuria degli Esperti, presieduta da Livia Pomodoro, è internazionale. È formata da personalità del teatro e della cultura – un catalogo lungo, ma interessante da considerare dettagliatamente: Lev Abramovič Dodin (Direttore Artistico del Malyj Dramatičeskij Teatr di San Pietroburgo); Fadhel Jaïbi (Direttore del Théâtre National Tunisien); Oskaras Koršunovas (Fondatore e Direttore Artistico dell’Oskaro Koršunovo Teatras di Vilnius – OKT); Stathis Livathinos (Regista Teatrale e Cinematografico greco); Muriel Mayette-Holtz (Direttrice del Théâtre National de Nice); Enzo Moscato (Fondatore e Direttore Artistico della Compagnia Teatrale Enzo Moscato); Lluis Pasqual (Regista teatrale spagnolo); Tadashi Suzuki (Fondatore e Direttore della Suzuki Company di Toga – SCOT); Gábor Tompa (Direttore del Hungarian Theatre of Cluj in Romania); Lim Soon Heng (Regista Teatrale malese).
La sala del Teatro No’hma traboccava di pubblico, in buona parte composto di gruppi esuberanti, che esprimevano con notevole sonorità le proprie preferenze e la propria attesa della proclamazione dei vincitori. La serata era organizzata come uno spettacolo in sé. In occasione della Premiazione Livia Pomodoro era sul palcoscenico, coadiuvata dall’attrice Simonetta Solder, per offrire elementi storici sulle compagnie e sul No’hma, e soprattutto per leggere le motivazioni delle Giurie. Alcune delle compagnie premiate erano presenti fisicamente e hanno potuto ringraziare personalmente e offrire dal vivo saggi della loro professionalità – tutte tre le compagnie premiate dalla Giuria degli Spettatori erano in teatro; particolarmente applauditi i danzatori di flamenco di Manolo Carrasco, che era di persona al pianoforte. Altre hanno partecipato attraverso registrazioni selezionate dai loro spettacoli e grazie alla rete hanno ringraziato comparendo e parlando da remoto – hanno partecipato da remoto la Hung Dance di Taiwan, lo Hattiloo Theatre di Memphis, La Franja Teatral di Cuba.
Della Compagnia del Twangale Cultural Centre dello Zambia era presente in teatro Martin Chishimba, che ha letto, in inglese, un lungo brano dalla sua copia personale dei poemetti del poeta e studioso ugandese Okot p’Bitek, Song of Lawino e Song of Ocol, dai quali lui stesso ha tratto lo spettacolo Land of Poetry. Chishimba, che, per inciso, parla sia uno Standard English sia un ottimo italiano, ha modulato attorialmente l’inglese del testo su apposite sonorità che per brevità possiamo chiamare africane.
A margine, o in aggiunta, viene spontaneo notare che il Premio e le due Menzioni Speciali della Giuria degli Esperti internazionali sono tutti e tre spettacoli collegati in gradi e modi diversi con le diaspore africane e la loro storia secolare. Inoltre provengono tutti da luoghi materialmente collegati fin dall’inizio del colonialismo con la diaspore – imposte, involontarie, semivolontarie: basti pensare al commercio degli schiavi.
Mahalia, the Queen of Gospel Music del Hattiloo Theatre di Memphis contiene implicitamente il colossale elemento della tratta atlantica di schiavi africani; le vicende dello schiavismo in terra nordamericana; la tumultuosa liberazione degli schiavi; e da tutti quegli eventi il sorgere e l’affermarsi di una loro complessa cultura, che in relativamente pochi decenni diventa e agisce come cultura primaria, letteralmente ispirando e influenzando il mondo. Alla tratta atlantica si lega anche Los Pàjaros Negros, della compagnia La Franja Teatral di Cuba. Lo spettacolo è particolarmente ardito nella trattazione del tempo e della storia dei Neri nei paesi dove la tratta forzosamente li innesta. Le sottili e meno sottili contorsioni del razzismo che non vuole scomparire sono interpretate proprio collegando con il presente eventi e figure note e significative del passato – come, per esempio il tip-tap di Shirley Temple e Bill Robinson. Land of Poetry rappresenta una situazione successiva, quando nella seconda metà del secolo scorso le politiche coloniali europee includono accoglimento, studi universitari e possibili carriere per giovani e meno giovani intellettuali neri, sia africani sia diasporici – una situazione variabilissima in tempo e luogo e tuttora in notevole evoluzione. Come accennato, Land of Poetry deriva dai poemetti sopracitati di Okot p’Bitek, studente universitario in UK, poeta, accademico in Africa e in USA, studioso, e critico di alcuni atteggiamenti della ricerca antropologica europea nei confronti degli studi africani.
La nuova stagione e della XV Edizione del Premio Internazionale No’hma si è aperta il 23 novembre con la pièce Ensayo sobre el miedo – Distopia grottesca sulla fine del mondo, proveniente dall’Argentina, uno spettacolo che amplia la ricerca sulle linee del nuovo razzismo, della creazione del nemico, del premere ai confini da parte di una immigrazione vissuta come minacciosa, oscura e fatale.
N.B.: Dopo le prime, gli spettacoli del Teatro No’hma sono caricati integralmente in rete, facilmente reperibili con il loro titolo.
LISTA DEI PREMI:
PREMIO SPECIALE PER LA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE DELL’UMANITÀ
- Birdy di Hung Dance (Taiwan)
PREMIO GIURIA DEGLI ESPERTI
- Mahalia – The Queen of Gospel Music di Hattiloo Theatre (Tennessee)
- Land of poetry di Twangale Cultural Centre (Zambia)
- Los Pajaros Negros di La Franja Teatral (Cuba)
PREMIO GIURIA DEGLI SPETTATORI
- Dance Andalucia di Manolo Carrasco (Spagna)
- Die Musen di Lidia Buonfino (Germania)
- From Malta with love di Moveo Dance Company (Malta)
Parole chiave : teatro, Teatro No’hma, Teresa Pomodoro
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23 novembre 2023
Torneo di calcetto “Orizzonti interculturali”
Tre giorni da tre squadre ciascuno, poi i quarti di finale, le semifinali e la finale: questo il programma secondo il quale si affronteranno le squadre di giovani di origine migrante e non nel Torneo di Calcetto che si terrà SABATO 2 DICEMBRE presso il campetto adiacente al Centro Interculturale Zonarelli (via Sacco 14, Bologna). Gli arrivi e le registrazioni inizieranno alle h 9,45 mentre la premiazione della squadra vincitrice è prevista per le h 17,30.
Questo evento sportivo è organizzato da alcune organizzazioni che collaborano già in progetti che fanno riferimento al Centro Interculturale Zonarelli, in particolare allo Sportello Antidiscriminazione: Geopolis, AIPILV Associazione Interculturale Per L’inserimento Lavorativo e Di Volontariato, Dry-Art Ets, Associazione Interculturale Universo Aps, Totemlab Aps, Associazione Italia Vietnam Ponte Tra Culture, Black History Month Bologna – BHMBO, Acli Provinciali Bologna, Arte Migrante, Africa e Mediterraneo. Daranno il loro supporto alla giornata il Gruppo Scout Bologna 8 e l’Associazione SIDAPS.
Il torneo si inserisce nell’ambito del progetto “Orizzonti Interculturali”, finanziato dal Settore Innovazione e semplificazione amministrativa e cura delle relazioni col cittadino del Comune di Bologna, che comprende un Open Day al Centro Zonarelli sabato 16 dicembre nel pomeriggio con un ricco programma a cui sono invitati cittadine e cittadine di tutte le età.
Un insieme di eventi che comincia proprio con lo sport, un linguaggio universale che può abbattere le barriere e promuovere valori come la condivisione, il rispetto reciproco e l’inclusione. Con la realizzazione di un torneo di calcetto antirazzista e con la realizzazione di un Open Day, sabato 16 dicembre, racconteremo le diversità culturali che popolano la nostra città e creeremo un luogo di incontro aperto alla cittadinanza.
Vi aspettiamo numerosi!
Parole chiave : Bologna, calcetto, Centro Interculturale Zonarelli, migranti, Orizzonti interculturali
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Quattro donne, quattro vite, quattro ritratti provenienti da diverse parti del mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare sulla crisi ambientale e sostenere la giustizia sociale delle comunità in cui vivono. È la serie “Wonder Women – Storie di donne ordinarie che fanno cose straordinarie”, il nuovo format prodotto da WeWorld – organizzazione impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne, bambine e bambini in 27 paesi del mondo – con la firma di Unknown Media, casa di produzione indipendente berlinese.
Viaggiando tra Germania, Italia, Tunisia e Kenya nella serie con la regia di Carlotta Piccinini, Mario Piredda e Shira Kela, si racconta l’impegno di quattro giovani donne in prima linea nell’affrontare emergenze ambientali, economiche, sociali e culturali, alla ricerca di alternative originali di vita e che con le loro azioni, non solo hanno un impatto significativo sul clima e sugli ecosistemi del pianeta, ma portano al superamento dello stereotipo di genere, del razzismo, del sessismo e del classismo. Protagoniste Paula Pröbrock, Carola Farci, Sereti Nabaala, Thowaiba Ben Slema che, nel corso delle puntate, affrontano un tema specifico in parallelo alla crisi climatica: dalla sensibilizzazione sulle mutilazioni genitali femminili, alla danza e la musica come strumento di emancipazione per chi viene costretto ai margini della società. Con arte, musica, spettacolo, sport, scuola, lavoro, scienza ed ecologia, attraverso piccoli gesti quotidiani, le giovani attiviste contribuiscono, non solo a migliorare la qualità della vita delle loro comunità, ma a sensibilizzare la propria generazione ad attivarsi e chiedere cambiamenti concreti. Per queste giovani donne la giustizia ambientale e quella sociale sono due facce della stessa medaglia.
“La serie mette al centro le storie di quattro giovani donne che raccontano il loro quotidiano fatto di piccole ma potenti azioni, capaci di sensibilizzare la propria comunità e per questo portatrici di grandi cambiamenti – spiega Rachele Ponzellini, coordinatrice comunicazione EU & Mondo di WeWorld – Quando si parla di cambiamento climatico sappiamo che le singole azioni non sono più sufficienti ma sono necessarie politiche ambiziose capaci di mitigare e prevedere gli effetti della crisi climatica in corso. Eppure, l’eco delle azioni messe in campo dalle singole persone mostra come le comunità – in tutto il mondo – siano consapevoli degli impatti della crisi ambientale e come le popolazioni siano disposte a cambiare stile di vita. Un racconto corale che dà voce ad ampio spettro alle nuove generazioni per ribadire che il cambiamento climatico ci riguarda tutte e tutti e non c’è più tempo da perdere”.
“Puntare su storie di donne apparentemente ordinarie che però con il loro agire rispecchiano valori necessari ed universali è per noi doveroso, in un periodo in cui le produzioni audio-visive, soprattutto di vasta scala, prediligono prodotti commerciali, macchiettistici e molto stereotipati dimenticando il valore e la forza delle piccole persone ordinarie, che con le loro storie di vita ci raccontano lo sforzo di mettersi in gioco per proteggere i nostri valori comuni e i diritti umani universali tentando di costruire un futuro migliore per tutti. Per una società di produzione puntare anche su queste eroine ordinarie e portare sul grande schermo le loro storie è importante non solo da un punto di vista produttivo ma anche etico”, spiegano da Unknown Media.
La serie è stata presentata in anteprima nazionale al WeWorld Festival durante un evento in programma sabato 27 maggio alle 16.30. Alla proiezione è seguito un dibattito con le protagoniste e i registi Carlotta Piccinini, Mario Piredda e Shira Kela, con la moderazione di Laila Bonazzi, giornalista e sustainability editor.
La serie è stata realizzata nell’ambito della campagna di comunicazione europea #ClimateOfChange, guidata dall’Organizzazione e cofinanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma DEAR (Development Education and Awareness Raising Programme), che mira a sviluppare la consapevolezza dei giovani, cittadine e cittadini dell’UE sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni.
Wonder Women: le storie delle donne protagoniste
Carola Farci, Cagliari, Italia – Carola, ha trentadue anni ed insegna storia ed italiano in un liceo di Cagliari. Soffre di una “malattia” che lei definisce “ansia ecologica”. Ha iniziato da piccola a pulire la spiaggia davanti casa e col tempo è diventata la sua attività quotidiana, un bisogno di fare qualcosa per il Pianeta.
Il 17 ottobre dello scorso anno si è lasciata tutto alle spalle, si è presa un anno sabbatico e insieme al suo cane Polly ha intrapreso un viaggio on the road per ripulire le spiagge d’Europa. Appena tornata dal suo lungo viaggio ha organizzato un’asta mettendo in vendita alcuni degli oggetti trovati sulle spiagge. Con il ricavato progetta di piantare 2000 alberi in tutto il mondo.
È sempre stata appassionata di immersioni subacquee ed è orientata esclusivamente alla pulizia dei fondali: impiega il suo tempo sott’acqua portando in superficie nasse, reti da pesca, plastica e ogni genere di materiale. Il suo sogno è sensibilizzare le altre persone, i giovani, i suoi studenti sulle tematiche ambientali rendendo la virtuosa ‘patologia’ ecologica, contagiosa!
Sereti Nabaala, Narok, Kenya – Sereti, ha ventiquattro anni ed è un’attivista keniota Maasai del villaggio di Aitong a Narok West. L’obiettivo di Sereti è quello di sensibilizzare le donne delle comunità Maasai a opporsi alle mutilazioni genitali femminili e diventare spose bambine. Con la sua Associazione “Save Our Girls”, di cui è capogruppo, fornisce alle donne dei villaggi assorbenti riciclabili, un bene difficile da ottenere per le donne del villaggio. Molte devono recarsi in grandi centri abitati per ottenerli. Viaggiare dalla campagna ai centri urbani per le giovani donne è estremamente pericoloso, a causa di rapimenti e violenze sessuali.
Le conseguenze del cambiamento climatico stanno ostacolando l’uso diffuso del materiale riciclabile e il fiume del suo villaggio, dove le donne possono lavare gli assorbenti, si sta prosciugando. Sereti e il suo gruppo di donne Maasai hanno ideato un progetto per piantare alberi e riforestare l’area a ridosso del fiume, il “Mara”, la riserva nazionale Maasai, per riportare l’acqua. La dedizione di Sereti sui diritti delle donne della sua regione proviene dalla sua esperienza complicata e dolorosa di giovane Maasai: a 10 anni, come ogni ragazza Maasai della sua età, Sereti ha subito la mutilazione genitale femminile. Dopo un lungo periodo di sofferenza e studio, decide di fondare l’Associazione “Save Our Girls”.
Paula Pröbrock, Berlino, Germania – Paula ha ventisette anni ed è un’attivista ambientale tedesca, coreografa e ballerina. È nata nell’area rurale di Brandeburgo, la regione più arida della Germania. Sin dall’infanzia Paula è stata consapevole del problema climatico e si è dedicata alla cura del suo territorio, che oggi accusa una grande crisi idrica. Dopo gli studi di danza ad Amsterdam, ha subito un incidente che l’ha costretta ad abbandonare il suo sogno di diventare una ballerina professionista e si è trasferita a Berlino per lavorare come insegnante di danza. Paula sfrutta le sue conoscenze per creare un ponte tra la danza e il volontariato sociale contro la crisi climatica. Nei suoi progetti di danza coinvolge anche i gruppi più fragili, quelli che subiscono maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico: figli di immigrati, donne, le comunità LGBTQIA+ e persone con disabilità. E’ vicina a realizzare il suo sogno e debuttare con Tanzwekstatt, uno show ambizioso, basato sulla visione armonica che la Natura riesce a creare tra esseri differenti e dove ballerini professioni e figli disabili di cittadini migranti danzano insieme.
Thowaiba Ben Slema, Tunisi, Tunisia – Thowaiba ha venticinque anni ed è la presidente dei “Giovani per il clima” in Tunisia. Il suo impegno contro il cambiamento climatico è connesso ad un trauma ed ad una violenza subita nel passato, che la fa sentire insicura di sé stessa e dell’ambiente che la circonda. Nel 2018, quando realizza che il suo Paese sta cadendo a pezzi, politicamente e socialmente, a causa della corruzione e della cattiva gestione, diviene un’attivista climatica: comprende che per salvarsi deve agire e spronare le persone accanto a lei. Ha attivato diversi progetti di sensibilizzazione di empowerment femminile e progetti di giustizia climatica, sociale e di gender equality. Tra i suoi tanti progetti c’è “FeMENA”, uno spazio sicuro dove poter praticare djing, storytelling e podcasting, digital art, content creation. FeMENA rappresenta uno spazio per incoraggiare le donne a riprendere in mano la propria vita e a non sottostare alla dominazione maschile, creando nuove formule di lavoro e di green jobs. Thowaiba è riuscita a fare della sua tragica esperienza personale un problema globale, aiutando gli altri ad affrontare il proprio trauma e ad avere una visione diversa del mondo.
#ClimateOfChange
#ClimateOfChange è la campagna di comunicazione europea – guidata dall’italiana WeWorld e cofinanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del Programma DEAR (Development Education and Awareness Raising Programme) – che mira a sviluppare la consapevolezza dei giovani cittadini e cittadine dell’UE sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni e coinvolgerli per creare un movimento pronto non solo a cambiare il proprio stile di vita ma anche a sostenere la giustizia climatica globale.
Ad unire le forze per raggiungere lo scopo sono 16 organizzazioni europee – tra organizzazioni della società civile, università e ONG – che dal 2020 sono al lavoro per progettare in sinergia, non solo ricerche e dibattiti nelle scuole e nelle università, ma anche una campagna paneuropea di comunicazione e sensibilizzazione, online e offline, che interesserà milioni di ragazzi e ragazze dai 16 ai 35 anni che vivono in 23 stati membri dell’UE. Per saperne di più è possibile visitare il sito www.climateofchange.info.
WeWorld
WeWorld è un’organizzazione italiana indipendente impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne e bambini in 27 Paesi, compresa l’Italia.
WeWorld lavora in 129 progetti raggiungendo oltre 8,1 milioni di beneficiari diretti e 55,6 milioni di beneficiari indiretti. È attiva in Italia, Siria, Libano, Palestina, Libia, Tunisia, Afghanistan, Burkina Faso, Benin, Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Kenya, Tanzania, Mozambico, Mali, Niger, Bolivia, Brasile, Nicaragua, Guatemala, Haiti, Cuba, Perù, Tailandia, Cambogia, Ucraina e Moldavia.
Bambine, bambini, donne e giovani, attori di cambiamento in ogni comunità sono i protagonisti dei progetti e delle campagne di WeWorld nei seguenti settori di intervento: diritti umani (parità di genere, prevenzione e contrasto della violenza sui bambini e le donne, migrazioni), aiuti umanitari (prevenzione, soccorso e riabilitazione), sicurezza alimentare, acqua, igiene e salute, istruzione ed educazione, sviluppo socio-economico e protezione ambientale, educazione alla cittadinanza globale e volontariato internazionale.
Mission – La nostra azione si rivolge soprattutto a bambine, bambini, donne e giovani, attori di cambiamento in ogni comunità per un mondo più giusto e inclusivo. Aiutiamo le persone a superare l’emergenza e garantiamo una vita degna, opportunità e futuro attraverso programmi di sviluppo umano ed economico (nell’ambito dell’Agenda 2030).
Vision – Vogliamo un mondo migliore in cui tutti, in particolare bambini e donne, abbiano uguali opportunità e diritti, accesso alle risorse, alla salute, all’istruzione e a un lavoro degno. Un mondo in cui l’ambiente sia un bene comune rispettato e difeso; in cui la guerra, la violenza e lo sfruttamento siano banditi. Un mondo, terra di tutti, in cui nessuno sia escluso.
Per informazioni:
Ufficio Stampa WeWorld
Greta Nicolini – Responsabile Ufficio Stampa, 347 5279744 – greta.nicolini@weworld.it
Irene Leonardi, 389 1642500 – irene.leonardi@weworld.it
Ufficio stampa Eprcomunicazione
Chiara Comenducci, 3343124974, comenducci@eprcomunicazione.it;
Paola Garifi, 328 9433375, garifi@eprcomunicazione.it;
Laura Fraccaro, 347 4920345, fraccaro@eprcomunicazione.it;
Elisabetta Amato, 3341062933, amato@eprcomunicazione.it;
Parole chiave : Donne, serie, WeWorld
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Il dibattito su ciò che i diversi tessuti e la loro storia raccontano degli scambi tra culture diverse, del colonialismo e delle appropriazioni culturali continua a produrre riflessioni e interrogativi. L’11 luglio (h 18:00–20:30) ad Amsterdam la piattaforma per l’arte contemporanea e la cultura visuale Framer Framed ospita la tavola rotonda “Decolonizing the Gaze – Textile Cultural Heritage vs Colonialism – Cultural Appropriatons?”.
La discussione, che coinvolge stilisti, artisti e fashion designer afro-discendenti originari di paesi con una storia di colonizzazione da parte dell’Olanda, intende identificare nuovi significati sulle diffuse pratiche di abbigliamento coloniale e sulle politiche del corpo, nonché sugli effetti del colonialismo sull’individuo e sull’immaginario collettivo.
Insieme allo stilista e direttore creativo Zinzi de Brouwer e all’editore e designer Willem van Zoetendaal, la tavola rotonda offrirà uno sguardo sui tessuti Dutch Wax, prodotti in Olanda e venduti in Africa, sulle implicazioni dei loro disegni e messaggi, e sulla loro complessa e controversa identità. Le immagini e i messaggi di questi famosi tessuti possono essere considerati archivi di significati che raccontano un rapporto ambiguo legato al periodo coloniale europeo.
Gli stilisti e direttori creativi Semhal Tsegaye Abebe, Bubu Ogisi e Zinzi de Brouwer metteranno in luce anche iniziative e progetti di design che rivelano la ricchezza del patrimonio tessile africano, oggi ancora poco conosciuto in Europa, e il suo legame con la sostenibilità.
Alcuni dei temi portati alla discussione emergeranno da un workshop partecipativo che Caterina Pecchioli conduce presso CBK Zuidoost Broedplaats Heesterveld e dalle interviste raccolte su questi temi da lei stessa e da Roxane Mbanga tra Amsterdam e Parigi.
La tavola rotonda è organizzata nell’ambito di “Decolonizing the Gaze: The Colonial Heritage of Italian and International Fashion Design and Its Impact on the Collective Imagination”, un progetto di Caterina Pecchioli che propone un’analisi visiva e storica di capi di abbigliamento, tessuti e accessori del periodo coloniale italiano e olandese che sono conservati nelle collezioni dell’Ex Museo Coloniale di Roma e del Tropenmuseum di Amsterdam.
Esso consiste in uno studio partecipativo che mira a portare la prospettiva decoloniale italiana all’interno del vivace dibattito europeo sulla decolonizzazione della moda e della cultura e sugli usi politici della moda e dell’abbigliamento.
Il complesso rapporto tra decolonialismo, patrimonio, globalizzazione culturale e “Made in Italy” viene affrontato attraverso un programma di workshop e seminari con la collaborazione di istituzioni impegnate sul tema in Italia, Olanda, Etiopia, Sudafrica e USA.
In Olanda, Caterina Pecchioli è artista residente presso la Fondazione Thami Mnyele per i mesi di giugno e luglio 2023 per sviluppare la fase olandese del progetto.
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Questo progetto è sostenuto dall’Italian Council (11a edizione, 2022), Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura italiano. I programmi sono in collaborazione con Framer Framed (NL), Thami Mnyele Foundation (NL), CBK Zuidoost NL (NL), Africa e Mediterraneo, Afrosartorialism, Nation25. Partner culturali: Africa e Mediterraneo – Afrosartorialism – B&W-Black&White, The Migrant Trend APS – Istituto Italiano di Cultura di Addis Abeba (Etiopia) – Museo delle Civiltà – Thami Mnyele Foundation (Amsterdam, Olanda) – Georgetown University (Washington DC) – Moleskine Fondazione – Nation25 – Orientale di Napoli – Università IUAV di Venezia – Politecnico di Milano.
IAMISIGO’s AW20 collection, Creative Direction: Babu Ogisi, Photography: Maganga Mwagogo
Parole chiave : Africa, African fashion, arte africana, Caterina Pecchioli, Colonialismo, Olanda
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di Francesca Romana Paci
Il 10 e 11 maggio 2023 a Milano è andato in scena al Teatro No’hma – Spazio Teatro Teresa Pomodoro – lo spettacolo Land of Poetry, una produzione dello Twangale Cultural Centre della città di Ndola in Zambia. La regia, il copione, la selezione di brani musicali che accompagnano la pièce sono di Martin Ilunga Chishimba, nato nel 1988, attore, cantautore, scenografo, coreografo, studioso e fondatore dello stesso Twangale Cultural Centre. Chishimba è conosciuto in ambienti italiani per aver studiato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Livia Pomodoro, presidente e direttrice operativa del No’hma, che lo aveva già ospitato nel 2019 con la pièce Broods of Any, dedicata alla grande piaga dei bambini strada, lo ha nuovamente invitato per la stagione 2022-2023.
La pièce Land of Poetry ha due ipotesti: Song of Lawino e Song of Ocol, due poemetti narrativi, collegati fra loro, dello scrittore ugandese Okot p’Bitek (1931-1982), romanziere, poeta, musicista, studioso, accademico, e, non meno significativamente, atleta, danzatore, suonatore di tamburo e cantore narrativo tradizionale. I poemetti sono stati originariamente scritti in lingua acholi – una lingua Iwo dell’Uganda, per alcuni un dialetto – e poi tradotti in inglese dal loro stesso autore e pubblicati, in inglese, in Kenya, Song of Lawino nel 1966 e Song of Ocol nel 1970, dalla East Africa Publishing House di Nairobi. Ora se ne trovano edizioni congiunte con il titolo Song of Lawino & Song of Ocol. Si ricordano l’edizione di Heinemann del 1986, e quella del East African Educational Publisher del 2013, in Kenya. Entrambe le Song sono state pubblicate anche in acholi.
Okot p’Bitek, nato nel 1931, vive in pieno le prime indipendenze africane e i decenni posteriori, con le difficoltà, gli entusiasmi, le contraddizioni legate alla grande Africa, e, in realtà, già allora, inerenti a una pre-globalizzazione del mondo – non solo economica, anche se condizionata da rapporti economici, ma anche pesantemente culturale, innescata dal Colonialismo stesso e accresciuta dalle due Guerre Mondiali. Okot p’Bitek nasce a Gulu in Uganda, figlio di un padre insegnante scolastico e di una madre nota come storyteller, danzatrice e cantante tradizionale. Completa le scuole superiori in Uganda, facendosi già notare per l’ampia gamma della sua creatività artistica, e poi persegue studi universitari in UK, nelle università di Bristol, Aberystwyth-Wales, e Oxford. Nelle sue opere si legge quanto i suoi incontri con la cultura europea siano stati profondi e nello stesso tempo critici, soprattutto per tutto quello che riguarda il punto di osservazione degli studiosi occidentali dell’Africa, ma anche, in posizione speculare, il punto di vista dei personaggi creati dagli scrittori africani stessi.
Song of Lawino e Song of Ocol sono poemetti relativamente lunghi, raccontati ciascuno integralmente in prima persona; da una giovane donna, Lawino, il primo, da un giovane uomo, Ocol, il secondo. Di fatto sono due monologhi drammatici con qualità intensamente teatrali. Lawino e Ocol sono moglie e marito in un contesto dove la poligamia è consueta. Lawino è una prima moglie. Ocol ha da poco preso una seconda moglie, Clementine, ma è bene dire subito che Lawino non lamenta la presenza di un’altra donna nella vita di suo marito, quanto il confronto con l’altra, colta e occidentalizzata – «Clementine […] aspires / To look like a white woman»; un confronto che Ocol le fa pesare e le fa vivere come sfavorevole a lei stessa. Lawino non accetta senza reagire quello che considera una ingiustizia culturale prima ancora che amorosa e da voce al suo lamento. Le vicende sono ambientate in un luogo preciso dell’Uganda e in un tempo dato, ovvero negli anni di poco posteriori alle prime indipendenze di paesi africani. Lawino accusa: «He [Ocol] abuses me in English / And he is so arrogant […] My husband abuses me together / With my parents / He says terrible things about my mother /And I am ashamed. […] He says we are all Kaffirs / We do not know the ways of God / We sit in deep darkness / […] He says Black People are Primitive […]».
Okot p’Bitek crea con Lawino un modello femminile intensamente locale e immerso in una situazione di rifiuto di ogni cultura esterna. Con Ocol, di contro e simmetricamente, crea un giovane uomo affascinato dalle culture esterne. Entrambi i personaggi sono strumentali alla ricca, stratificata, contrastiva poetica culturale di Okot p’Bitek (contrastiva non contraddittoria), e, come tali, presentano aspetti finzionalmente caricati a scopo di ricerca.
Song of Lawino è composto di tredici sezioni, che sono un vero e proprio catalogo di elementi culturali del paese africano dove è nata – a suo modo Lawino è una accurata antropologa. Song of Ocol è più breve, ma è similmente un catalogo, nel quale Ocol risponde a Lawino, sezione per sezione. Ocol evoca Senghor, Marx, Mozart, la dea Athena con diretto ardore giovanile. Ma non ci si deve far ingannare: non c’è nulla di facile e nulla di ingenuo nei poemetti, anzi, c’è una stratificazione di livelli che richiede molta attenzione.
Okot p’Bitek, che ha una grande cultura sia africana sia occidentale, ha scelto, come studioso di focalizzare l’attenzione sul corrosivo, spesso ultra-enfatizzato problema coloniale e post-coloniale delle identità culturali, della loro permanenza, dei loro confini, della loro stessa legittimità. Un fenomeno in realtà generato da qualunque forma di colonialismo e pseudo-colonialismo sulla terra, intendendo con “colonialismo” l’incontro e il conseguente rapporto chiuso e/o aperto, univoco e/o biunivoco con l’altro, gli altri – problemi mai risolti e tuttora ben vivi nel mondo contemporaneo. In realtà una situazione che si presenta sempre in varia misura nei rapporti “noi” e gli “altri”. La risposta di Ocol alle argomentazioni di Lawino non chiude la questione, anzi la complica, e forse indebolisce gli obiettivi di Okot p’Bitek. Une lettura completa dei due testi si può ascoltare in rete all’indirizzo https://youtu.be/p0JidvB33vM.
Martin Chishimba, creando la sua versione teatrale dei poemetti ha fatto una scelta intelligente, ma certamente non facile. Racconta di aver incontrato Song of Lawino & Song of Ocol nella edizione Heinemann del 1986, mentre frequentava la High School nella città di Ndola nella provincia del Copperbelt in Zambia. Quando nel 2016 fonda il Twangale Cultural Centre, cercando testi che rappresentino storicamente aspetti della cultura africana, si ricorda di Okot p’Bitek, e scrive un arrangiamento teatrale delle due Song – scrive in inglese, che è la lingua ufficiale dello Zambia. È interessante notare che “twangale” in lingua bemba (una delle lingue dello Zambia) vuol dire “let us play”, e che in inglese il verbo “play” copre i significati di “giocare”, “suonare” e “recitare”. Data la lunghezza delle due composizioni, Chishimba spiega di aver limitato la sua versione ad alcune delle sezioni e nello stesso tempo di aver introdotto alcune aggiunte. Prendendo l’avvio dalla scenografia implicita del lamento di Lawino, che nel poemetto evidentemente si rivolge a un pubblico per averne un aiuto, Chishimba crea una sua propria struttura teatrale: Lawino nella versione Twangale parla davanti agli anziani del suo popolo in una assemblea della comunità riunita per ascoltare le sue ragioni e quelle del marito. Nel cast, quindi, oltre Lawino e Ocol, entra il popolo, rappresentato dai quattro musicisti, che suonano, recitano e agiscono in coreografie organizzate insieme agli altri attori; entra un Wiseman, che rappresenta gli anziani; entra la madre di Lawino, che appoggia la figlia, e rappresenta il valore permanente della tradizione; non entra, invece la seconda moglie occidentalizzata di Ocol, Clementine, la cui caratterizzazione è affidata totalmente alle parole di Lawino.
Attori e attrici sono tutti molto bravi sia nella recitazione e movimenti scenici sia nelle loro competenze musicali specifiche. I quattro musicisti sono: Charles Kabwita, percussioni; Derick Chileshe, tastiera; Kombe Mutale, basso; Ng’andu Mweetwa, chitarra. Lawino è Karen Mbolela; la madre è Chanda Henriettah Pule; Ocol è Martin Chishimba stesso; il Wiseman, il “Saggio”, è Amos Chipasha, compositore, cantante, molto seguito in Zambia come T-Low (Terror-League of war; scollegato al rapper tedesco omonimo), interprete hip-hop, rapper, e infine attore. Il personaggio del Wiseman è fondamentale perché assomma in sé funzioni importanti. Ascolta, non giudica, non condanna, quasi come può fare uno psicanalista; sembra avere grande conoscenza sovra-locale e insieme un completo rispetto per il locale; ama la conoscenza; è un negoziatore di pace, suggerisce la riconciliazione, valuta la vita in sé, donde il suo ripetuto refrain «life is good». Lo spettatore può persino congetturare che il Wiseman sia anche una rappresentazione di Okot p’Bitek.
Martin Chishimba dichiara apertamente di aver dato maggiore attenzione alla storia di Lawino e Ocol che alla forma metrica dei monologhi, ma di essere stato colpito dal ritmo della lingua delle Song, che gli è sembrato affine al bit del rap. Il Wiseman e la musica sono le innovazioni più evidenti rispetto ai monologhi di Okot p’Bitek, anche se, letti con attenzione a suono e ritmo, i testi in inglese di Okot p’Bitek si prestano effettivamente molto bene a interpretazioni rap – si deve ricordare che sono stati scritti negli anni Sessanta, prima, sia pure di poco, dell’esplosione del rap. La colonna sonora del play di Martin Chishimba è costituita da canzoni contemporanee, ispirate alla musica tradizionale dello Zambia, intrecciate a influenze jazz, ska, reggae, rock, e non solo.
Le canzoni sono composte da Amos Chipasha e da Martin Chishimba stesso. A un certo punto irrompe un breve brano della Eine kleine Nachtmusik, eseguito alla tastiera da Derich Chileshe. La citazione è dovuta perché la Serenata K525 di Mozart compare anche in Song of Ocol. Per inciso: Okot p’Bitek ha una grande conoscenza della musica classica occidentale, e in particolare di Mozart, dal cui Flauto magico, che ha studiato, ha tratto ispirazione per alcune sue creazioni.
La musica non solo accompagna, ma sembra provocare i movimenti coreografici degli attori. Un aspetto interessante è l’abbigliamento: i due personaggi femminili, Lawino e sue madre, indossano il tradizionale chitenge, un grande colorato rettangolo di cotone che avvolge la figura, analogo a molti altri femminili africani; Ocol e i suonatori/popolo portano abiti non connotati, universalmente contemporanei e informali; il Wiseman, interpretato da un alto e smilzo Amos Chipasha, è vestito di bianco, con un insieme di pantaloni, bretelle, camicia e cravatta che ricorda un neo-dandy degli anni Trenta in UK e in US, e che trasmette qualcosa di permanente fuori del tempo – in una iconografia cinematografica statunitense piuttosto nota, potrebbe rappresentare un angelo; e potrebbe anche far pensare a un surreale intervento di p’Bitek. Land of Poetry si può vedere integralmente in rete al link https://www.youtube.com/watch?v=_mtBdg6LEl8.
In Okot p’Bitek e in Martin Chishimba sono le donne, fatte salve le gradazioni ironiche dei due autori, a dare corpo alla tradizione, mentre gli uomini sono favorevoli alla innovazione – il Wiseman suggerisce equilibrio. Impossibile non ricordare, però, che in scrittrici come Mariama Bâ, Ama Ata Aidoo, Tsitsi Dangarembga, Yvonne Vera sono le donne ad aspirare alla innovazione e gli uomini a resistere al cambiamento.
Nel retroterra di Okot p’Bitek, e di conseguenza in quello di Martin Chishimba, ci sono testi importanti per lo studio dei rapporti dell’Africa con l’Occidente. Non potendo ricordarli tutti, ci si limita a qualcuno che sembra significativo. Uno dei più precoci è il romanzo Mister Johnson (1939) dell’irlandese Joyce Cary, dove un giovane nigeriano è letteralmente innamorato della cultura inglese, che cerca di imitare il più possibile; il romanzo scava e mostra aspetti razzisti sia consci sia inconsci, e la storia finisce tragicamente. Dopo la Prima Guerra Mondiale arriva l’intensità di Frantz Fanon, con Peau noir, masques blancs (1952), opera che nessuno scrittore africano potrà mai permettersi di ignorare e/o dimenticare – certamente non la ignora Okot p’Bitek. Ci si concede di menzionare anche Nini, mulâtresse du Senegal (1954) di Abdoulaye Sadji, un romanzo discusso dallo stesso Fanon in Peau noir, masques blancs con attenzione antropologica, sociale, e, data la sua professione, psichiatrica.
Non meno importante l’influenza di Chinua Achebe, vero capostipite della narrativa africana. A partire da Things Fall Apart (1958-1959), Achebe affronta ripetutamente il problema dell’incontro, scontro, e confronto tra le culture africane e le culture occidentali, tanto da costituire un modello inevitabile e permanente nel tempo. Lo ha subito anche l’ivoriano Ahmadou Kourouma, sia nei romanzi sia nei suoi straordinari testi per bambini, dove descrive e spiega l’organizzazione sociale – cacciatori, griot, fabbri, e altro – di una comunità africana nel suo paese e in stati limitrofi.
Pur con tutte le aggiunte e complementi teatrali, nel remake di Martin Chishimba, come era in Okot p’Bitek, il centro focale è il confronto tra culture e la ricerca di come rispettarle entrambe in una realtà inevitabilmente plurale e contraddittoria da quando il Colonialismo le ha irreversibilmente sommate e per molti aspetti fuse.