Il dibattito su ciò che i diversi tessuti e la loro storia raccontano degli scambi tra culture diverse, del colonialismo e delle appropriazioni culturali continua a produrre riflessioni e interrogativi. L’11 luglio (h 18:00–20:30) ad Amsterdam la piattaforma per l’arte contemporanea e la cultura visuale Framer Framed ospita la tavola rotonda “Decolonizing the Gaze – Textile Cultural Heritage vs Colonialism – Cultural Appropriatons?”.
La discussione, che coinvolge stilisti, artisti e fashion designer afro-discendenti originari di paesi con una storia di colonizzazione da parte dell’Olanda, intende identificare nuovi significati sulle diffuse pratiche di abbigliamento coloniale e sulle politiche del corpo, nonché sugli effetti del colonialismo sull’individuo e sull’immaginario collettivo.
Insieme allo stilista e direttore creativo Zinzi de Brouwer e all’editore e designer Willem van Zoetendaal, la tavola rotonda offrirà uno sguardo sui tessuti Dutch Wax, prodotti in Olanda e venduti in Africa, sulle implicazioni dei loro disegni e messaggi, e sulla loro complessa e controversa identità. Le immagini e i messaggi di questi famosi tessuti possono essere considerati archivi di significati che raccontano un rapporto ambiguo legato al periodo coloniale europeo.
Gli stilisti e direttori creativi Semhal Tsegaye Abebe, Bubu Ogisi e Zinzi de Brouwer metteranno in luce anche iniziative e progetti di design che rivelano la ricchezza del patrimonio tessile africano, oggi ancora poco conosciuto in Europa, e il suo legame con la sostenibilità.
Alcuni dei temi portati alla discussione emergeranno da un workshop partecipativo che Caterina Pecchioli conduce presso CBK Zuidoost Broedplaats Heesterveld e dalle interviste raccolte su questi temi da lei stessa e da Roxane Mbanga tra Amsterdam e Parigi.
La tavola rotonda è organizzata nell’ambito di “Decolonizing the Gaze: The Colonial Heritage of Italian and International Fashion Design and Its Impact on the Collective Imagination”, un progetto di Caterina Pecchioli che propone un’analisi visiva e storica di capi di abbigliamento, tessuti e accessori del periodo coloniale italiano e olandese che sono conservati nelle collezioni dell’Ex Museo Coloniale di Roma e del Tropenmuseum di Amsterdam.
Esso consiste in uno studio partecipativo che mira a portare la prospettiva decoloniale italiana all’interno del vivace dibattito europeo sulla decolonizzazione della moda e della cultura e sugli usi politici della moda e dell’abbigliamento.
Il complesso rapporto tra decolonialismo, patrimonio, globalizzazione culturale e “Made in Italy” viene affrontato attraverso un programma di workshop e seminari con la collaborazione di istituzioni impegnate sul tema in Italia, Olanda, Etiopia, Sudafrica e USA.
In Olanda, Caterina Pecchioli è artista residente presso la Fondazione Thami Mnyele per i mesi di giugno e luglio 2023 per sviluppare la fase olandese del progetto.
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Questo progetto è sostenuto dall’Italian Council (11a edizione, 2022), Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura italiano. I programmi sono in collaborazione con Framer Framed (NL), Thami Mnyele Foundation (NL), CBK Zuidoost NL (NL), Africa e Mediterraneo, Afrosartorialism, Nation25. Partner culturali: Africa e Mediterraneo – Afrosartorialism – B&W-Black&White, The Migrant Trend APS – Istituto Italiano di Cultura di Addis Abeba (Etiopia) – Museo delle Civiltà – Thami Mnyele Foundation (Amsterdam, Olanda) – Georgetown University (Washington DC) – Moleskine Fondazione – Nation25 – Orientale di Napoli – Università IUAV di Venezia – Politecnico di Milano.
IAMISIGO’s AW20 collection, Creative Direction: Babu Ogisi, Photography: Maganga Mwagogo
Parole chiave : Africa, African fashion, arte africana, Caterina Pecchioli, Colonialismo, Olanda
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Le drammatiche vicende afgane di cui riceviamo notizia in questi giorni ci riempiono di dolore. Un paese segnato da una lunga crisi e da una difficile rinascita si trova ora ad affrontare un’emergenza di cui nessuno sa anticipare la portata, ma che, sappiamo, lascerà poco spazio all’innovazione e alla sperimentazione che hanno ispirato numerose iniziative in tempi recenti. Molte di queste sono state promosse e/o gestite da donne. Alcune, importanti, hanno interessato il settore della moda [https://www.google.com/amp/s/www.nytimes.com/2021/08/25/style/afghanistan-women-craft.amp.html] e dato vita a iniziative di collaborazione internazionale nel segno dell’emancipazione e della sostenibilità sociale.
© Ethical Fashion Initiative
In questo contesto, come altrove nel Sud del mondo, la moda ha coagulato le energie progressiste di singoli e comunità svantaggiate, veicolando un messaggio di pari opportunità e libertà di scelta. Il design e la produzione di capi hanno permesso a una ristretta, ma ugualmente significativa comunità di creative e artigiane di conquistare una propria indipendenza non solo economica, ma simbolica e comunicativa. Ovunque la moda è una vetrina, un canale per accedere e preservare visibilità ed esercitare il diritto a un’esistenza dignitosa. In Afghanistan, è stata uno strumento di riscatto di genere e di identificazione con un’idea di identità religiosa aperta e tollerante della differenza.
Rivisitando la tradizione dell’artigianato tessile afgano, della coltivazione e della lavorazione della seta, del ricamo, imprenditrici e collaboratrici hanno tracciato un percorso di avanzamento sociale che mette in comunicazione passato, presente e futuro. Simone Cipriani, fondatore di Ethical Fashion Initiative [https://ethicalfashioninitiative.org/], incubatore di progetti di moda nato in seno alle Nazioni Unite e attivo anche in Afghanistan da oltre un decennio, identifica proprio in questa acquisizione di consapevolezza il valore più importante che la recente svolta reazionaria rischia di sopprimere. In questo articolo appena pubblicato [https://antinomie.it/index.php/2021/08/22/elicitation/], Cipriani descrive il fermento creativo ed espressivo di queste imprese con donne protagoniste, la cui sostenibilità il progetto ha rafforzato negli anni, ma anche la situazione attuale di grande incertezza e lo sconforto degli operatori e operatrici.
Ci chiediamo con angoscia cosa rimarrà di questi progetti e quale futuro si apre ora per le donne vigili, indipendenti e consapevoli dell’Afghanistan. Ne discuteremo con Cipriani nel corso del quarto modulo della International School on Migration [https://www.migrationschool.eu/programme/] dedicato alla responsabilità sociale d’impresa che si terrà a Lampedusa il 4 ottobre prossimo venturo.
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The uncertain future of social entrepreneurship in Afghanistan : we will talk about it at the International School on Migration 2021
The tragic news from Afghanistan fill us with sorrow. A country that went through a long crisis and a difficult rebirth is now facing an emergency of unknown proportions that will leave little room to the innovation and experimentation that characterized a number of initiatives in the recent past. Many of them were launched and/or managed by women. Some important ones were in the fashion industry [https://www.google.com/amp/s/www.nytimes.com/2021/08/25/style/afghanistan-women-craft.amp.html] and sparked international networking efforts inspired by the values of emancipation and social sustainability.
In this context, like elsewhere in the South of the world, fashion attracted the progressive energies of disadvantaged individuals and communities, channeling a message of equality and freedom of choice. Designing and making garments allowed a small but significant groups of creatives and artisans to gain financial and symbolic autonomy. Everywhere fashion is a window and a channel to access and preserve visibility and exercise the right to a dignified existence. In Afghanistan, it was a means of social advancement for women who believe in an open-minded and tolerant idea of religious identity.
Revisiting the tradition of Afghan textile craftsmanship, of silk production and manufacturing, and of embroidery, female entrepreneurs and their collaborators charted a course of social advancement that put the past in communication with the present and the future. Simone Cipriani, head of Ethical Fashion Initiative [https://ethicalfashioninitiative.org/], an incubator and accelerator of social fashion enterprises in emerging economies promoted by the United Nations and active in Afghanistan for more than a decade, identifies this practice of awareness building as the most valuable outcome that risks being wiped away by the recent reactionary turn in the country. In this article [https://antinomie.it/index.php/2021/08/22/elicitation/], Cipriani describes the creative impulse behind these women-led businesses, whose sustainable outputs Ethical Fashion Initiative has supported through the years, and the great uncertainty and despair of the workers for the recent turn of events.
We wonder what will remain of these projects and what future lies ahead for Aghanistan’s vigilant, independent and conscious women. Cipriani will discuss in Lampedusa on 4 October, when he will join the fourth module of the International School on Migration [https://www.migrationschool.eu/programme/] focusing on corporate social responsibility.
Parole chiave : Afghanistan, International School on Migration 2021
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Africa e Mediterraneo lancia la call for papers per il secondo dossier dell’anno, il n. 95/2021, che sarà curato da Paul-Henri S. Assako Assako, Ivan Bargna, Giovanna Parodi da Passano, Gabi Scardi e partirà dalla constatazione che gli artisti e le artiste che lavorano sulle trasformazioni materiali e simboliche del corpo che passano dalle pratiche dell’abbigliamento possono offrire uno sguardo significativo sulle mutazioni in atto in Africa e nella Diaspora. L’abbigliamento, attraverso il gioco delle composizioni e delle scomposizioni, degli accostamenti e dei contrasti, delle novità e dei ritorni, consente di prefigurare e sperimentare nuovi e diversi stili di vita in un contesto di crescente mobilità e precarietà. Gli artisti e le artiste possono quindi essere visti/e come dei “mediatori culturali” che condensano nelle loro opere, in modo immaginativo e critico, modi di vita e sensibilità culturali più diffuse. L’abito è spesso proiezione del desiderio, sperimentazione di sé possibili e impossibili, parte di una sceneggiatura di vita: travestimenti e mascheramenti che seguono la temporalità effimera della moda o che cercano di immaginarsi un futuro, tagliando con il passato o riprendendolo sotto altre vesti.
Le pratiche dell’abbigliamento nell’arte contemporanea, nelle mode e nelle estetiche del quotidiano sono spazi in cui si acquisisce visibilità, si negozia e ci si impone, rimodellando le forme del proprio corpo e del proprio campo d’azione. Rivendicato o subito, l’abbigliamento è luogo e strumento di orgoglio identitario, di discriminazione ed esclusione sociale, di scambi, appropriazioni e attraversamenti di confini.
Gli artisti contemporanei sono attivamente impegnati su questo terreno sperimentando nuovi modi di “performare” corpi individuali e collettivi e modelli di relazione alternativi.
A partire da queste premesse invitiamo artisti/e, fotografi/e, designer, stilisti/e, creatori/rici di moda, attivisti/e e studiosi/e a partecipare con testi e contributi visuali che raccontino le proprie esperienze, attività professionali e ricerche.
Tra i temi di riflessione che suggeriamo:
- Estetiche quotidiane dell’abbigliamento in Africa e nella diaspora.
- Abbigliamento come luogo e strumento di trasformazione del corpo, come luogo della memoria, del desiderio, della sperimentazione e invenzione di sé.
- Abbigliamento come luogo di costruzione e decostruzione di identità individuali, culturali, “razziali” e di genere.
- Africa contemporanea e guardaroba coloniale: artisti/e, stilisti/e e che scavano e attingono a storie famigliari, comunitarie e nazionali le cui immagini raccontano di pratiche del corpo e dell’abbigliamento che sono il segno della subordinazione, dell’assimilazione, ma anche del dissenso e dell’emancipazione delle generazioni precedenti.
- Abbigliamento come presa di posizione politica.
- Abbigliamento come violenza subita e come pratica di resistenza.
- I modi attraverso i quali il movimento Black Lives Matter ha riportato i corpi razzializzati sulla scena pubblica agendo anche sulle pratiche di abbigliamento.
- Reinvenzione della tradizione nel rimodellamento delle eredità culturali locali e dentro i flussi della globalizzazione, fra nostalgia, usi ironici e disincantati del passato e proiezioni nel futuro.
- Arte e moda come campo di incontri e scontri, scambi e appropriazioni.
I/le curatori/rici
Paul-Henri Souvenir Assako Assako – Ph.D, docente senior, capo della sezione di storia dell’arte e belle arti presso l’Università di Yaoundé I in Camerun e direttore della Libre Academie des Beaux-arts (LABA) di Douala, lavora con esperti di Monaco dal 2010 per esplorare le possibilità di attività culturali e cooperazione artistica, grazie al sostegno del Goethe-Institut di Yaoundé, dal Ministero degli Esteri italiano e dall’olandese Mondriaan Stichting. La sua ricerca accademica è focalizzata sulla trasformazione dell’arte visiva nel XX secolo in Africa. Le sue ricerche prendono la forma di scrittura, curatela di esposizioni e incontri organizzati con diversi partner tra cui l’ONG italiana COE, the Goethe-Institut, Doual’art, Enough Room for Space.
Ivan Bargna – È professore ordinario all’università di Milano-Bicocca dove insegna Antropologia estetica e Antropologia de media. È presidente del corso di laurea in Scienze antropologiche ed Etnologiche, direttore del corso di perfezionamento in Antropologia museale e dell’arte e docente di Antropologia culturale all’università Bocconi. Dal 2001 conduce le sue ricerche etnografiche in Camerun dove si occupa di pratiche artistiche e cultura visuale. Collabora con artisti e curatori d’arte contemporanea nella realizzazione di progetti interdisciplinari basati sulla pratica etnografica. È membro del comitato scientifico del Museo delle Culture di Milano e curatore di mostre.
Giovanna Parodi da Passano – È docente di Antropologia africanista nel corso di laurea magistrale in “Scienze Storiche” del DAFIST, Università di Genova. Africanista di formazione, ha condotto le sue ricerche etnografiche prevalentemente in Africa occidentale, nelle aree culturali akan e yoruba. La sua attuale ricerca si concentra sulle pratiche creative dell’abbigliamento e sugli artisti contemporanei in Africa e nelle diaspore africane che utilizzano i tessuti e la costruzione e decostruzione del corpo vestito. Su questi temi ha curato mostre, partecipato a convegni internazionali e pubblicato studi, tra cui African Power Dressing (2015, a cura di).
Gabi Scardi – È storica dell’arte, curatrice di arte contemporanea e docente.
La sua ricerca si focalizza sulle ultime tendenze artistiche e sulle relazioni tra arte e ambiti limitrofi legati all’abitare e al coabitare, alle dinamiche urbane e interculturali. Si interessa di politiche culturali. Ha curato, tra l’altro, numerosi progetti pubblici. Ha lavorato con musei e istituzioni in Italia e all’estero. Tra le mostre sulla relazione tra arte e abito: miAbito (Francesco Bertelé, Francesca Marconi, Margherita Morgantin, Wurmkos), Milano 2018-19; Emilio Fantin, Ultrapelle, Farmacia Wurmkos, Milano 2018; Fashion as Social Energy, Palazzo Morando, Milano 2015; Aware: Art Fashion Identity, GSK Contemporary, Royal Academy, Londra 2010.
Scadenza per l’invio:
Le proposte (400 parole al massimo) dovranno pervenire entro il **15 luglio 2021** agli indirizzi s.federici@africaemediterraneo.it e s.saleri@laimomo.it Le proposte saranno esaminate dai/le curatori/rici. In caso di accettazione la consegna del contributo, completo di abstract (100 parole, in inglese) e bionota, dovrà avvenire entro il **15 ottobre 2021**.
Africa e Mediterraneo si avvale di peer review anonima. Gli articoli e le proposte potranno essere nelle seguenti lingue: italiano, inglese e francese, ma avranno la priorità quelli in inglese e francese.
Di seguito è possibile leggere e scaricare la call for papers in italiano:
Di seguito è possibile leggere e scaricare la call for papers in inglese:
Parole chiave : Abbigliamento, Arte contemporanea, Call for papers, Rivista Africa e Mediterraneo
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L’Africa non è solo uno spazio geografico, ma una pluralità di immaginari, culture, temporalità. Crescono in un’ottica transnazionale riviste, esposizioni, mostre, pubblicazioni, istituzioni che ne fanno il proprio orizzonte di riferimento: la stessa definizione di arte o cultura “africana” si svuota di significato nel momento in cui si attiva un’interazione e una contaminazione tra comunità creative differenti. Ad esempio, il progetto di Palazzo Litta Cultura a Milano si pone l’obiettivo di valorizzare la trasversalità delle visioni artistiche, portando sulla scena contemporanea realtà culturali apparentemente lontane come il Giappone e, appunto, l’Africa subsahariana.
(Nyanye, Osborne Macharia)
Con la mostra AfricaAfrica, exploring the Now of African design and photography, dal 15 marzo al 2 aprile 2018, e patrocinata dall’Ambasciata della Costa d’Avorio, dal Consolato del Sudafrica e dal Consolato del Burkina Faso, la fotografia e il design di artisti africani hanno offerto in questo spazio italiano un’estetica e un linguaggio che vogliono essere dinamici e interdisciplinari: non riguardano, come riferisce Maria Pia Bernardoni – curatrice dei progetti internazionali di LagosPhoto Festival – «solo il continente ma hanno una risonanza globale».
(Chair Recycled Arms, Gonçalo Mabunda)
Questa esposizione, dunque, ideata da MoscaPartners e MIA Photo Fair Projects, si è articolata in 40 progetti di design e 55 opere fotografiche che si sono prestate a una narrazione collettiva, ad esempio, sugli eventi storici di guerra e devastazione nelle installazioni di Gonçalo Mabunda, dove proiettili, pistole, bombe e armi recuperati nel 1992 alla fine della guerra civile in Mozambico, diventano mobili e scultore antropomorfe; uno sguardo fantastico a un problema urgente è stato dato invece dall’afrofuturista Osborne Macharia, le cui immagini si sono concentrate su un gruppo di ex circoncisori femminili; la fotografa ivoriana Joana Choumali ha esplorato i paesaggi della migrazione e ha offerto ritratti di donne che vacillano tra naturalezza e bellezza convenzionale; le tinte e la fantasia dei tessuti africani sono stati presentati dallo storico marchio olandese Vlisco.
(Adorn, Joana Choumali)
Cifre tecniche, stilistiche e tematiche si sono incrociate sperimentando un pensiero aperto alle pluralità e alle possibilità. Porre la questione della trasversalità creativa significa attuare nuove forme di conoscenza e di soggettivazione, oltre che attivare un processo di riorganizzazione sociale intorno a un’estetica capace di pensare e pensarsi al di fuori delle definizioni restrittive: in questo modo, si può pensare alla differenza in termini di risorsa e vantaggio per lo sviluppo intellettuale e culturale.