29 novembre 2022

Etiopia: il Tigray dimenticato. Mostra fotografica di Coralie Maneri

A Firenze dal 7 al 13 dicembre si terrà la mostra fotografica dal titolo Etiopia: il Tigray dimenticato di Coralie Maneri con scatti sul tema dell’approvvigionamento idrico delle popolazioni nella regione del Tigray. Le immagini in mostra, antecedenti alla guerra civile iniziata nel novembre 2020, sono la testimonianza vissuta sul campo della quotidianità di un popolo che vive con grande fierezza ed umiltà in un territorio estremamente aspro e difficile.
L’inaugurazione della mostra si terrà presso la Fondazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia, via Ghibellina 12, Firenze, il giorno mercoledì 7 dicembre dalle ore 18 alle 20.30.

Orari mostra:
Giovedì 8, venerdì 9, sabato 10, domenica 11 dicembre: 11.00 – 20.30
Lunedì 12, martedì 13 dicembre: 16.00 – 20.30

PATROCINI E SPONSOR
Con il patrocinio di: Regione Toscana, Comune di Firenze, IAH-BGID, IAH-SHG, ECHN-Italy, Società Geologica Italiana, Consiglio Nazionale dei Geologi, Università di Firenze e Museke Onlus.
Con il contributo di: Acquifera APS e IAH-Italy.

unnamedCoralie Maneri, fotografa autodidatta italo-svizzera, si dedica ad oggi soprattutto a progetti sociali nei paesi in via di sviluppo come fotografa freelance. In Etiopia documenta da più di 10 anni la realizzazione di pozzi d’acqua, scuole rurali ed health post, in particolar modo nel territorio del Tigray tramite la Fondazione Butterfly onlus.

Queste immagini sono la testimonianza vissuta sul campo della quotidianità di un popolo che vive con grande fierezza ed umiltà in un territorio estremamente aspro e difficile.  Gli scatti si fermano a novembre 2020, momento nel quale, ong, giornalisti e fotografi sono stati interdetti dalla zona di guerra che dura da più 2 anni.

Viene da chiedersi il perché alcune notizie di guerra e di crimini contro l’umanità siano più degne di attenzione rispetto ad altre. Giornalisticamente sembrerebbe essere importante il concetto di “morto chilometrico” in quanto i media sembrano attribuire importanza alle vittime di una tragedia in base alla distanza che le separa dallo spettatore, dall’ascoltatore o dal lettore.

Il dizionario definisce la parola Umanità come “l’insieme di uomini” in quanto sottoposti alle limitazioni della natura umana; oppure ancora “l’intero genere umano” senza fare alcuna allusione al colore della pelle.

È necessario che l’intera società occidentale non cada nel tranello dei media e dei poteri forti che, per ovvi interessi economici, distolgono l’attenzione da guerre lontane dai nostri occhi (59 guerre in corso sul pianeta nel 2022), e inizi ad occuparsi realmente di “crimini contro l’umanità” al di fuori delle barriere che ci vogliono separare dalla realtà che ci definisce tutti, indistintamente “esseri umani”.

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05 ottobre 2022

Il grado zero del razzismo. Il nuovo dossier di Africa e Mediterraneo

È uscito il dossier 96 di Africa e Mediterraneo intitolato Il grado zero del razzismo. Nell’introduzione i curatori Vincenzo Fano e Matteo Bedetti osservano che la propensione a suddividere la popolazione umana in razze a cui sono attribuite caratteristiche omogenee ed essenziali è tutt’oggi diffusa e supportata non solo da comportamenti sociali e attitudini culturali, ma anche da una pericolosa pseudoscienza che trova spazio e anzi alimenta il dibattito su questo tema.

Partendo dal lavoro del genetista Richard LewontiImmagine AeM96 per newslettern, che ha dimostrato come la variazione genetica tra “razze” sia minima in confronto a quella all’interno delle popolazioni, il dossier offre alcune chiavi di lettura del pensiero razzista, raccogliendo contributi che spaziano dalla disamina antropologica, al pensiero filosofico, ai più recenti studi di genetica. Presenta infatti articoli di Guido Barbujani, genetista da sempre interessato alla storia delle popolazioni umane, dei filosofi della scienza Giovanni Boniolo, Federico Boem, Ivan Colagè e Stefano Oliva e della psicologa Valeria Vaccari, che si concentra sulla psicologia del pensiero razzista. Alla luce del momento storico che sta attraversando il nostro paese va evidenziato il contributo di Erika Grasso e Gianluigi Mangiapane sulla strumentalizzazione dell’archeologia durante il fascismo e sugli usi politici delle istituzioni museali – in particolare il Museo di Antropologia ed Etnografia nell’Università di Torino che ebbe un ruolo molto importante nella diffusione della propaganda razzista di regime. A chiudere la sezione di articoli scientifici c’è il ricordo, firmato da Bogumil Jewsiewicki, del professor Carlo Carbone, insigne studioso dell’Africa dei Grandi Laghi e membro del comitato scientifico di Africa e Mediterraneo, scomparso di recente.
Il dossier è corredato da una selezione di scatti che riproducono alcune opere esposte ai padiglioni africani della Biennale di Venezia 2022 di cui Mary Angela Schroth ha scritto una recensione. Della stessa autrice c’è anche un articolo sul progetto “SEDIMENTS. After Memorypromossa da Roma Culture e Azienda Speciale Palaexpo e co-prodotta e organizzata da SPAZIO GRIOT in collaborazione con Azienda Speciale Palaexpo, un’iniziativa ambiziosa e la prima nel suo genere in Italia a proporre una riflessione ampia e complessa sulle criticità del presente lasciando la parola ad artist* e performer afrodiscendenti e africani.

La rivista è acquistabile sul sito https://www.laimomo.it/editoria/

 

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31 agosto 2022

I profughi e noi. Un’esperienza di accoglienza familiare

Abbiamo ricevuto questa testimonianza in cui si parla di un’esperienza di accoglienza in famiglia, e abbiamo deciso di pubblicarla per condividere un messaggio positivo. Buona lettura!

Una testimonianza di Antonia e Gianfranco

Quando noi abbiamo conosciuto Kapi e Mamadou non c’era in Italia attorno a loro e a tutti quelli come loro quel moto universale di solidarietà che si è espresso nei confronti dei profughi di guerra ucraini. C’era un clima fortemente polarizzato, condizionato ideologicamente.
Eppure le guerre africane o quelle medio orientali non sono state (e non sono) meno terribili del conflitto in atto in Ucraina. I milioni di profughi di queste guerre si sono riversati nei paesi limitrofi, come sta accadendo ora in Europa con gli sfollati ucraini. E di fronte a queste tragedie non è scattato un moto di solidarietà collettiva, ma solo paura e recriminazione per l’arrivo di quei pochi in Europa.
Lo stesso slancio umanitario verso il popolo afgano dopo l’evacuazione dell’esercito americano si era già del tutto spento quando le truppe russe hanno iniziato ad invadere l’Ucraina e gli stessi afgani avevano già da tempo iniziato a percorrere la rotta balcanica.

Corvara 2021Queste considerazioni ci hanno aiutato a capire che ha senso e può essere utile raccontare oggi la nostra storia di accoglienza, e quindi di aiuto e di accompagnamento. Anche se particolare e diversa da quelle che prenderanno forma con donne e i bambini ucraini, in essa è documentato come nella nostra vita personale e famigliare si sia introdotto un cambiamento, inaspettato, ma sostanziale e durevole, che ci ha aperto nuove prospettive.

L’incontro con Kapi e Mamadou ha rappresentato per noi un nuovo inizio e quando qualcosa di nuovo accade c’è un prima e un dopo. A fronte di una accoglienza più o meno lunga, ma sempre temporanea, almeno nelle modalità iniziali in cui si manifesta, c’è un “per sempre”. Nulla si perde.
La storia personale di Kapi e Mamadou e le vicende che hanno contrassegnato tragicamente la loro migrazione sono simili a quelle di tanti altri, come le problematiche e le difficoltà che hanno incontrato in Italia. Ma Kapi e Mamadou non sono “migranti”. Sono Kapi e Mamadou: unici al mondo.

Il nostro impegno non è iniziato per una motivazione sociale o civile, anche se la nostra azione ha indubbiamente una ricaduta in questo senso. Noi abbiamo deciso di accompagnare due persone conosciute ad un certo punto del loro percorso, ascoltando e cercando di venire incontro alle loro necessità, anche particolari e concrete, grazie all’aiuto della rete delle nostre amicizie. Man mano che i problemi emergevano e si rivelava la complessità della loro situazione, è stato indispensabile prendere contatto con gli operatori e le strutture preposte all’accoglienza.
Né all’inizio né in seguito abbiamo agito solo seguendo un impulso emotivo, ma per un desiderio consapevole di condivisione della loro vita e per amore al loro “destino”. Abbiamo agito per un senso di responsabilità.

Recovato da Cecilia 2020È scaturita così una storia che ha coinvolto tanti altri, che, grazie al nostro gesto di accoglienza, sono stati aiutati ad incontrare a loro volta, in modo diretto e personale, una realtà vista fino a quel momento da lontano e da cui forse anche si tenevano lontano.

Per chi desiderasse conoscere la nostra storia, è disponibile la dispensa “L’inaspettata convenienza della famiglia. L’esperienza di accoglienza familiare di Kapi e Mamadou” edita dalla Associazione Famiglie per l’Accoglienza sede regionale Emilia Romagna, che è scaricabile a questo link: https://www.famiglieperaccoglienza.it/wp-content/uploads/2022/03/Linaspettata-convenienza-della-famiglia.pdf

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22 giugno 2022

Acqua e Africa: aperta la call for papers del numero 98 del 2023 di Africa e Mediterraneo.

Il tema dell’acqua nelle storie e nelle culture africane attraversa numerose discipline ed è oggetto di studi vasti e articolati. Imperi e civiltà sono nati lungo le rive dei grandi fiumi africani e in prossimità delle coste e dei laghi. L’acqua, necessità imprescindibile per gli insediamenti e per la sopravvivenza, è sempre stata un fattore centrale della dialettica pastorizia nomade-sedentarietà nella regione sub-Sahariana, e nello stesso tempo fondamentale via per trasporti e commercio. La ricerca delle fonti dei grandi corsi d’acqua e le possibilità implicite della viabilità fluviale hanno accelerato e giustificato le missioni esplorative europee, ispirando una ricca e controversa letteratura occidentale da Erodoto a Conrad. Paradossalmente, la narrazione autoctona su questo tema potrebbe e dovrebbe essere molto ampliata. Eppure, l’acqua è simbolo di identità e identificazione, elemento ancestrale di spiritualità, di ispirazione artistica contemporanea e di antiche e nuove mitologie.

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L’acqua, proprio in quanto necessaria alla sopravvivenza e alla sicurezza di centinaia di milioni di persone, è uno dei maggiori problemi africani. Oggi l’insicurezza idrica causata dall’impoverimento di innumerevoli fonti d’acqua dolce naturali – tra tutte il Lago Ciad – è tra le principali cause di conflitto e migrazione (sia interna sia internazionale) dal continente – un fenomeno destinato ad aumentare con il peggiorare dei cambiamenti climatici. Numerosi programmi di salvaguardia delle risorse idriche sono emersi negli ultimi anni, tra i quali uno dei primi è stato il Lago Nasser. Tali programmi – nazionali e interstatali, oltre che di cooperazione internazionale – prevedono anche investimenti nel management delle risorse idriche e nella creazione di nuove infrastrutture, che, garantendo accesso diffuso e capillare all’acqua e usi sostenibili, hanno una ricaduta positiva sugli habitat sociali e naturali che da esse dipendono, creando le condizioni per un miglioramento diffuso della qualità della vita delle comunità. Ciononostante, non sono mancate e non mancano difficoltà e tensioni, come sta accadendo oggi per il progetto di costruzione di nuove dighe nella regione etiope dell’alto Nilo.

L’acqua si pone, dunque, al centro di questioni di governance e geopolitiche, come più volte evidenziato già molti anni or sono dallo storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo – questioni che si intrecciano con il dibattito su sostenibilità, giustizia sociale, rapporti internazionali e, tuttora, decolonizzazione.

Questo numero di Africa e Mediterraneo intende raccogliere contributi sulle criticità associate alla tematica dell’acqua in Africa e per l’Africa.

Scadenza per l’invio
Le proposte dovranno pervenire entro il **31 gennaio 2023** all’indirizzo abstract@africaemediterraneo.it e saranno valutate dal/i curatore/i. In caso di esito positivo, il contributo – che può essere in italiano, inglese o francese – dovrà essere consegnato entro il **31 marzo 2023** insieme a cinque parole chiave in inglese, un abstract in inglese di non più di 100 parole e una nota biografica del/gli autore/i.

Africa e Mediterraneo si avvale di peer review anonima. Gli articoli e le proposte potranno essere inviati nelle seguenti lingue: italiano, inglese e francese.

*

Water and Africa | Water in Africa
Africa e Mediterraneo n. 98/2023

The theme of water in African cultures and histories is the object of extended studies in multiple disciplinary areas. Empires and civilizations emerged along the rivers of the great African rivers and lakes and the continent’s coasts. Water, a primary necessity for settlement and existence, has always been at the heart of the pastoral-nomadic relationship in sub-Saharan Africa, and at the same time a fundamental pathway for transportation and trade. The explorations of the sources of rivers and the inherent possibilities of the waterways accelerated and justified the first exploratory missions by Europeans, inspiring a controversial literature ranging from Herodotus to Conrad. A self-controlled narrative on this issue could and should be greatly expanded. However, water is a symbol of identity and identification, an ancestral element of spirituality, of artistic inspiration of old and contemporary mythologies.

As the very source of survival and security for millions of people, water is one of Africa’s greatest concerns. Today, water insecurity triggered by the weathering of the sources of drinkable water – an example is Lake Chad – is among the main causes of conflict and (internal and international) displacement across the continent – a phenomenon that will grow as climate change worsens. Several water preservation projects have been implemented, including, several decades ago, Lake Nasser. These national and inter-state initiatives – along with the ones of international cooperation – foresee investments in water management and the creation of new infrastructures to guarantee widespread access to water, yielding a positive impact on the social and environmental communities that depend on them and setting the condition for a widespread improvement of the quality of life. However, the same projects are also cause of conflict, as in the case of the new dams to be built in the Ethiopian region of the Nile.

As often observed by the Burkinabé historian Joseph Ki-Zerbo, water is thus also at the forefront of geopolitics and governance as it informs contemporary debates on sustainability, social justice, international relations and, thus far, decolonization.

This thematic issue of Africa e Mediterraneo aims to include contributions on the real and imaginary forms of water in Africa and for Africa.

Deadlines
The deadline to submit an abstract of no more than 400 word is **31 January 2023**. The abstract must be sent to abstract@africaemediterraneo.it. It will be reviewed by the editors of the issue. The deadline for submitting the finished article, along with a 100-word abstract and short profile of the author, is **31 March 2023**.

Africa e Mediterraneo is a blind peer-reviewed journal that publishes articles in Italian, English, and French.

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25 maggio 2022

Aperto il call for papers per un numero miscellaneo di Africa e Mediterraneo

È aperto il call for paper del numero 97 di Africa e Mediterraneo in uscita alla fine di quest’anno. Per la prima volta da diverso tempo, la rivista accoglierà contributi liberi in forma di saggi, articoli brevi, interviste e recensioni che saranno raccolti in un dossier miscellaneo a cura delle direttrici.

Progetto senza titolo

Gli abstract potranno provenire dalle aree umanistiche disciplinari a cui Africa e Mediterraneo dà generalmente spazio, come la letteratura, le scienze sociali, l’antropologia, la storia, le arti e la geografia, ma la rivista vaglierà attentamente anche proposte diverse, privilegiando quelle con prospettiva transdisciplinare e originale.

L’obiettivo di questo numero è offrire una mappatura in divenire di alcuni degli argomenti di maggior interesse per gli studiosi di Africa ed Europa, seguendo il percorso della ricerca accademica e indipendente in un momento di grande tensione e trasformazione internazionale. La scadenza per l’invio delle proposte è il 31 luglio 2022.

Chi voglia consultare i sommari degli ultimi dossier monografici può farlo a questo link: http://www.africaemediterraneo.it/it/numeri/ dove sono disponibili a partire dal numero 82. Tra gli argomenti trattati più di recente ci sono la moda e le arti visive, l’economia circolare e la sostenibilità, il corno d’Africa e l’editoria.

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14 gennaio 2022

A Parigi 30 anni della rivista Africa e Mediterraneo

Iniziamo il 2022 festeggiando ieri i 30 anni della nostra rivista Africa e Mediterraneo con un’esposizione delle nostre più significative riviste e pubblicazioni all’Istituto Culturale di Parigi all’interno del “The Recovery Plan. Devoir de mémoire à l’italienne”, un centro culturale itinerante dedicato alla produzione di artisti di origine africana nel contesto italiano. Le copertine dei nostri 94 numeri raccontano anni di studi, ricerca visiva, dialogo tra Europa e Africa, collaborazione con studiosi/e e creativi/e del continente e della Diasopra.

a6dbfccc-635c-45a0-a12e-9135d5e78347Il direttore dell’istituto Diego Marani ha voluto portare a Parigi uno spaccato della presenza afrodiscendente nella scena artistica e culturale italiane, ospitando The Recovery Plan, un “centro temporaneo itinerante” a cura di BHMF (Black History Month Florence), in collaborazione con BHMFBo (Black History Month Bologna) e la rivista “Africa e Mediterraneo”. L’inaugurazione è avvenuta ieri sera, 14 gennaio, in presenza dei curatori e del performer Dudu Kouaté e l’allestimento sarà aperto al al pubblico parigino dal 13 gennaio al 16 febbraio 2022. Tre sono le parti del progetto espositivo:

> “Gettare il Sasso e Nascondere la Mano” è il titolo di una mostra collettiva dedicata ai cinque artisti/e che hanno fatto parte della prima edizione della Residenza di Ricerca YGBI (Young Gifted and Black Italians): Binta Diaw, Victor Fotso Nyie, Francis Offman, Raziel Perin e Emmanuel Yoro. La mostra abbraccia una serie di narrazioni che collegano la spiritualità all’educazione, alla storia coloniale e alla sua materialità e all’attivismo storico.

> “Black Archive Alliance vol. III” nasce da una collaborazione tra un gruppo di cinque ricercatrici e ricercatori afrodiscendenti che hanno lavorato “in tandem” con gli artisti della prima edizione della YGBI Research Residency. Lavorando a coppie, attraverso un approccio sperimentale basato sul dialogo e lo scambio, hanno esplorato archivi tangibili e intangibili radicati in Italia.

> “Pulse: raccontando trent’anni di Africa e Mediterraneo” riconosce l’azione svolta dalla rivista nell’affrontare le produzioni creative, artistiche e letterarie, le problematiche sociali e culturali dei Paesi africani e le migrazioni internazionali, soprattutto tra Africa ed Europa, con uno sguardo complesso e critico.

7982fd4a-6a1e-4df1-8d2b-da720b6073baIn occasione dell’inaugurazione il pluristrumentalista Dudu Kouate ha tenuto un concerto inedito che si articola in racconti e musiche in cui si confrontano i vari linguaggi dell’artista e griot. Erano presenti l’artista Binta Diaw e gli artisti Victor Fotso Nyie, Francis Offman, Raziel Perin, assieme a Emmanuel Yoro e Justin Thompson di BHMF e Patrick Tatcheda di BHMBo.

Alcune informazioni sugli enti coinvolti:

Black History Month Florence e Black History Month Bologna
Black History Month Florence è stata fondata nel 2016 come rete interistituzionale per promuovere la produzione culturale Black che celebra le culture afro- discendenti nel contesto italiano. L’iniziativa programma, coordina e co-promuove annualmente più di cinquanta eventi nel mese di febbraio attraverso una rete formata e sostenuta da Comune, fondazioni, istituzioni, associazioni culturali, scuole e luoghi dedicati alle arti ealla musica.
Black History Month Bologna, ideato e promosso da Justin Randolph Thompson, Patrick Joël Tatcheda Yonkeu e Jean Blaise Nguimfack, nasce come rete interistituzionale per promuovere la produzione culturale Black celebrando la diversità delle culture afro-discendenti nel contesto bolognese. L’iniziativa pianifica, coordina e co-promuove annualmente nel mese di febbraio diversi eventi attraverso una rete formata e sostenuta dal Comune di Bologna e dal Comune di San Lazzaro di Savena e da fondazioni, istituzioni e associazioni culturali, scuole e luoghi dedicati all’arte e alla musica.

d42d2f12-c643-4a11-a63b-8dbaa19fba34BHMF – Collettivo Curatoriale
BHMF (Black History Monday-Friday) è un duo curatoriale nato nel 2016 per volontà di Justin Randolph Thompson e Janine Gaëlle Dieudji a Firenze. Nei cinque anni di attività, il collettivo ha ideato mostre in collaborazione con istituzioni come le Gallerie degli Uffizi, le Murate Art District, il Museo MA*GA, Villa Romana e Fondazione Biagiotti, promuovendo il lavoro di decine di artisti ; tra gli altri, Barthélémy Toguo, Lyle Ashton Harris, Sanford Biggers, Karyn Olivier, M’barack Bouchichi, Nari Ward, Senam Okudzeto, Kevin Jerome Everson e Lerato Shadi. Iniziato nel 2016 come parte all’acronimo di Black History Month Florence, negli ultimi anni il progetto è stato ribattezzato Black History Monday- Friday, a voler sottolineare un impegno e una mediazione quotidiani verso l’arte e l’attivismo. Il lavoro del collettivo prevede la rinegoziazione del valore, delle nozioni di recupero e dell’impiego della comunità come forma di monumento fugace e necessariamente temporaneo.

BHMBo – Collettivo Curatoriale
BHMBo come collettivo curatoriale è diretto da Patrick Joel Tatcheda Yonkeu, in arte Omraam Tacheda, nato nel 1985 a Douala, Camerun. Dal 2020 Patrick è il direttore del primo capitolo esterno di Black History Month Florence, Black History Month Bologna. Ha curato una serie di mostre e progetti lavorando con artisti tra cui Hyacinthe Ouattara e Beya Gille Gacha.

271263627_5042022705837347_8056860193666459094_nAfrica e Mediterraneo
Dal 1992, Africa e Mediterraneo pubblica dossier su temi legati alla cultura e società dei paesi africani e alle migrazioni internazionali, soprattutto tra Africa ed Europa. Dal 1995 è pubblicata dalla cooperativa Lai-momo di Bologna. La rivista vuole analizzare e approfondire la produzione creativa, artistica e letteraria dell’Africa, le problematiche sociali e culturali delle diverse aree del continente e i cambiamenti sociali e culturali portati dai flussi migratori e dall’interdipendenza globale. Applicando un approccio transdisciplinare e plurilinguistico, la rivista affronta i temi di volta in volta prescelti attraverso il contributo di varie aree della ricerca umanistica.

 

 

Per maggiori informazioni:
https://iicparigi.esteri.it/iic_parigi/it/

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22 ottobre 2021

Al centro Zonarelli, giovani dai 16 ai 35 anni potranno incontrare attiviste africane per la lotta alla crisi climatica

Dal 3 novembre al 15 dicembre si svolgeranno 7 incontri del progetto “Comunichiamo il Clima che Cambia!”, un percorso dedicato ai/lle giovani dai 16 ai 35 anni sulle tematiche della giustizia ambientale e dell’interdipendenza Nord-Sud relative alla crisi climatica. Sarà possibile per 10 di loro infatti sperimentare attivamente la produzione e condivisione di contenuti da utilizzare sui social media. Le iscrizioni sono in corso in questi giorni.

Il progetto, a cura dell’associazione Africa e Mediterraneo in collaborazione con la cooperativa Lai-momo, è tra i 5 selezionati del bando del Comune di Bologna sulla Giustizia Ambientale e Sostenibilità nell’ambito del progetto europeo “End Climate Change – Start Climate of Change“.

Gli incontri si terranno presso il Centro Interculturale Zonarelli di Bologna con il seguente calendario:

Mercoledì 3 novembre dalle 17 alle 19

Incontro di preparazione sui temi della giustizia ambientale, migrazioni climatiche, interdipendenza Nord-Sud.

Mercoledì 10 novembre dalle 17 alle 19

Incontro con l’attivista Marie Hélène Ndiaye e intervista da parte dei partecipanti.

Mercoledì 17 novembre dalle 17 alle 19

Incontro con l’attivista per il clima Nisreen Elsaim e intervista da parte dei partecipanti.

Mercoledì 24 novembre dalle 17 alle 19

Incontro con attiviste/i della sezione bolognese di Fridays For Future e intervista da parte dei partecipanti.

Mercoledì 1° dicembre dalle 17 alle 19

La comunicazione social dei cambiamenti climatici: introduzione e brainstorming.

Giovedì 9 dicembre dalle 17 alle 19

Primo laboratorio pratico per creazione post su Instagram in collaborazione con Centro Zonarelli.

Mercoledì 15 dicembre dalle 17 alle 19

Secondo laboratorio pratico per creazione post su Instagram in collaborazione con Centro Zonarelli

Per informazioni e per iscrizioni, scrivere a f.thoreau@africaemediterraneo.it.

Locandina appuntamenti [file .pdf]

 

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19 ottobre 2021

Ambiente ed economia circolare: un focus sull’Africa nel nuovo dossier di Africa e Mediterraneo

Esce in questi giorni il numero 94 della rivista semestrale Africa e Mediterraneo, dedicato al tema “Tutela ambientale, rifiuti ed economia circolare in Africa”. La pressione e l’allarme per la scarsità delle risorse a fronte della crescita della popolazione e per l’emergenza climatica sono più che mai forti, a pochi giorni dal G20 di fine ottobre e dall’attesissima conferenza sul clima COP26 di Glasgow, e l’opinione pubblica globale sente il problema in maniera sempre più urgente, prendendo come punto di riferimento comune i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile adottati dalle NU nel 2015 all’interno dell’Agenda 2030 e diventando sempre più consapevole dell’interdipendenza globale.

Cover_AeM_94:2021La via alla crescita sostenibile, tra opportunità e contraddizioni, deve essere percorsa dall’intera comunità internazionale, e in questo processo l’Africa può giocare un ruolo da protagonista. Con l’Agenda 2063, the Africa we want, l’Unione africana ha proposto un piano strategico comune per la trasformazione socioeconomica del continente lanciato nel 2013, così come le imprese africane del Global Compact delle NU richiamano il ruolo del settore privato per «creare mercati più integrati, società più resilienti e raggiungere uno sviluppo duraturo e sostenibile».

In questo dossier vari aspetti sono presi in considerazione: i rifiuti smaltiti in Africa, in particolare quelli connessi all’industria della moda con il fenomeno ambientalmente devastante del fast fashion, che è responsabile dell’8-10% delle emissioni globali di CO2 e scarica tonnellate di rimanenze abiti invenduti in Africa orientale (Ghana e Kenya); i progetti che offrono soluzioni per una produzione di moda a impatto ambientale zero (Kenya e Sudafrica); la necessità di un’efficace comunicazione dell’economia circolare da parte dei media del continente, affinché il cambiamento sia compreso e adottato da tutti; la gestione dei rifiuti, in particolare della plastica e degli imballaggi, da parte degli Stati (qui è trattato il caso del Mozambico) per la non facile transizione verso la circolarità; l’attivismo della società civile, come la creazione nel 2016 dell’African Circular Economy Network (ACEN), al quale aderiscono enti pubblici, privati e non-profit di oltre trenta paesi africani; le nuove soluzioni adottate dai settori agricolo (con l’agroecologia che può rimediare al problema della bassa produttività della terra e del lavoro) e forestale (con soluzioni tecniche a vantaggio dell’efficienza energetica).

Anche in Africa, come nel resto del mondo, la sfida dell’attuazione di una transizione ecologica che sia anche equa è cruciale: questo dossier offre un contributo alla riflessione su questo tema estremamente complesso, con alcune analisi di pratiche e situazioni attuali, esempi positivi da promuovere e criticità da affrontare, senza dimenticare che la circolarità è stata praticata in tutta l’Africa per generazioni, in larga misura per necessità, e che questo atteggiamento rigenerativo e rispettoso dell’ambiente può contribuire al pensiero circolare, in uno scambio globale che sia arricchente per tutti.

Le rivista è acquistabile online in formato cartaceo e digitale.
Info: www.laimomo.it/editoria/

© Photo Credits. Detail of garment label by the upcycling Ghanaian brand Slum Studio, based in Accra. http://www.theslumstudio.com/ Photo by Tora San Traoré

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24 agosto 2021

Raccontare può salvare la vita

di Roberta Sireno

Le narrazioni delle minoranze sono spesso distorte e semplificate, rischiano di diventare una storia unica e definitiva, che priva le persone della loro individualità. A ricordarlo è la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie in una conferenza per il TED Talk 2009 dal titolo The danger of a single story (‘I pericoli di una storia unica’), ora raccolta in un volume pubblicato da Einaudi.

Ci sono tante storie che formano un racconto inclusivo delle realtà complesse: come questa, che è la prima autobiografia pubblicata in Italia di un migrante somalo sopravvissuto ai viaggi della morte.

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È il racconto del suo tahriib: una parola araba che designa una forma di emigrazione sregolata praticata da migliaia di ragazzi e ragazze somali, i quali partono alla volta dell’Europa attraversando l’Etiopia, il Sudan e la Libia, e infine il Mar Mediterraneo. Raccontare può salvare la vita, e Geeldoon lo testimonia nel libro Baciammo la terra. L’odissea di un migrante dal Somaliland al Mar Mediterraneo uscito nel 2020 per Gaspari Editore.

«Volevamo realizzare il nostro sogno di andare in Europa», racconta Geeldoon durante l’intervista sulla quale è basato il libro, e che è stata condotta nel gennaio 2014 nel corso di un programma di ricerca sull’impatto della guerra sugli uomini somali condotto dal Rift Valley Institute (RVI). Tradotta in inglese mantenendo la veridicità e l’anonimato della storia, la traduzione italiana è stata voluta dallo scrittore, ricercatore e poeta italiano Raphael d’Abdon, che vive dal 2008 a Pretoria in Sudafrica. Al centro di questa testimonianza c’è «una malattia chiamata buufis»: si tratta di un termine somalo che indica un desiderio smanioso di partire alla ricerca di nuove possibilità.

Il punto di partenza e di ritorno della storia è il Corno d’Africa, una regione attraversata da continue evoluzioni e instabilità sociali (per un approfondimento, si veda dossier 92-93 della rivista Africa e Mediterraneo): nato nella zona oggi denominata Somaliland (Nord della Somalia), Geeldoon si trasferì nel 1989 con la famiglia in Mogadiscio per fuggire dalla guerra civile.

Schermata 2021-08-24 alle 10.26.16Dopo un breve periodo in Kenya, ritornarono in Somalia dove Geeldoon riuscì a finire le scuole superiori, e nel 2006 il suo desiderio era iscriversi all’università.

Purtroppo in quegli anni le università somale erano pochissime, così Geeldoon progettò di studiare all’estero. Dopo diversi tentativi falliti di emigrare per motivi di studio, l’autore racconta che «le due decisioni di studiare ed emigrare erano diventate incompatibili», così si dedicò alla ricerca del lavoro, e in quel periodo venne a conoscenza del tahriib o cosiddetto viaggio della morte: raggiungere l’Europa per cercare nuove opportunità di vita passando dalla Libia. È a questo punto che iniziò la sua tragica odissea attraverso il confine sudanese, l’incontro con i trafficanti libici e l’attraversata a piedi del Sahara insieme a un gruppo di giovani migranti, che durò diverse settimane senza cibo e senza acqua.

«Continuammo a camminare per altri due giorni. A questo punto, quando uno cadeva a terra, non ci fermavamo più per soccorrerlo. Li lasciavamo dov’erano, senza mostrare alcuna pietà. […] La verità è che non provavamo più alcuna pietà, anche perché otto di noi erano già morti. Morirono uno dopo l’altro e nessuno se ne era occupato. La solidarietà se ne era andata da un pezzo.» (p.51)

Dopo un mese di cammino, in cui ormai «avevamo gli occhi incavati e sembravamo degli scheletri», Geeldoon e i suoi restanti compagni di viaggio arrivarono a Tripoli, furono catturati e finirono nelle prigioni libiche dove vengono compiute alcune tra le più disumanizzanti violazioni dei diritti umani: torture, violenze e stupri sono all’ordine del giorno, e la liberazione può avvenire solo in cambio di quote di denaro corrisposte dalle famiglie dei prigionieri.

viaggioDopo un lungo periodo di prigionia, Geeldoon riuscì a uscire grazie all’aiuto della sua famiglia e iniziò a lavorare a Tripoli, sperando di ricavare il guadagno necessario per partire alla volta dell’Europa. Si unì a un gruppo di trecento persone che partì su una barca per raggiungere le coste europee, ma il motore si ruppe in mezzo al mare.

«Fummo avvicinati da un’imbarcazione battente bandiera italiana che ci lanciò cibo, acqua e altre bevande. Mangiammo e bevemmo, convinti che saremmo stati portati in Sicilia, quando all’improvviso apparve una barca ancora più grande che ci agganciò e ci riportò a Tripoli. Fummo riportati nella stessa prigione […] e fummo di nuovo sottoposti ad abusi e torture.» (p.80)

Geeldoon riuscì a scappare. Il suo tahriib era durato sei mesi ed era arrivato a un tale esaurimento nervoso che decise di abbandonare il suo piano di emigrazione in Europa. Era la fine del 2011 quando decise di tornare con un suo amico nel Somaliland attraverso un volo aereo.

«Quando arrivammo a casa baciammo la terra.» (p.81)

Il racconto autobiografico si chiude con una celebrazione delle proprie origini, e quindi della terra in cui si è nati. Dopo essere sopravvissuto nel tentativo di raggiungere l’Occidente, Geeldoon ha fondato in Somaliland un’associazione locale per incoraggiare i giovani ad abbandonare il tahriib e a costruirsi un futuro a casa propria.

Questo racconto fa riflettere su come sia necessario un nuovo approccio nei confronti della mobilità internazionale: le regole che determinano oggi la mobilità di persone che provengono da alcuni Paesi si basano, infatti, su profonde disparità e diseguaglianze che obbligano molti a dover affrontare viaggi durante i quali mettono a repentaglio le loro vite per poter arrivare in Europa. Lo sostiene la stessa scrittrice Oiza Q.D. Obasuyi nel suo recente libro Corpi estranei (People Editore, 2020), dove mette a confronto i giovani italiani che migrano all’estero per cercare migliori opportunità e le persone – in questo caso i cosiddetti migranti economici – che affrontano un viaggio rischioso, nelle mani di trafficanti e spesso in condizioni disumane per raggiungere l’Europa.

La differenza sta nella la possibilità di poter ottenere i documenti che consentono di intraprendere un viaggio sicuro e legale.

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07 luglio 2021

La responsabilità sociale di città e territori per l’inclusione

La prossima edizione della International School on Migration si concentrerà sulle sfide sociali della transizione ecologica per ripensare l’inclusione in chiave sostenibile. Il piano verde dell’Unione Europea pone infatti la coesione sociale come punto di partenza del passaggio al modello circolare. Per raggiungere questo obiettivo, l’Unione ha predisposto un piano di interventi che garantiranno lavoro dignitoso e integrazione economica ai più vulnerabili.

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La nuova policy della prosperità mette insieme crescita, inclusione e benessere. I confini europei e le aree ultraperiferiche dove la migrazione viene vissuta direttamente sono interessati in maniera massiccia dalle criticità dell’accoglienza e dell’integrazione, rappresentando un interlocutore imprescindibile per affrontare l’impatto economico e sociale della transizione. Qui, infatti,  già si sperimentano modelli di sostenibilità sociale che coniugano sviluppo, accoglienza e diritti umani, modelli che rendono questi luoghi laboratori di innovazione e riflessione collettiva sulle prospettive di crescita orizzontale e democratica. Il progetto “Snapshots from the Borders” [http://www.snapshotsfromtheborders.eu/], nell’ambito del quale è organizzata la Scuola, porta avanti la comprensione e attuazione degli obiettivi della crescita sostenibile SDG partendo appunto dalle esperienze delle aree di frontiera interessate dai flussi migratori e dai loro effetti socio-economici. In concerto con altre realtà europee, il progetto promuove il coinvolgimento diretto degli attori del territorio nei processi decisionali, di gestione e attuazione delle policy europee di transizione giusta.

La seconda parte della School guarderà a questi territori, analizzando il ruolo delle autorità locali e dei protagonisti dell’accoglienza nell’attuazione degli obiettivi sociali del Patto Verde europeo, con particolare attenzione alla protezione dalla povertà e dall’esclusione. Il terzo modulo, che si svolgerà in modalità online, approfondirà la conoscenza delle strategie locali di sostenibilità inclusiva, le pratiche di tutela dei lavoratori fragili – persone sottoqualificate o scarsamente qualificate – e le iniziative di responsabilità sociale attuate sul territorio. L’ultima sessione della School avrà invece luogo a Lampedusa, in presenza. Questo luogo simbolo delle complessità del progetto europeo di sostenibilità sociale è il contesto migliore per tirare le conclusioni della School e progettare insieme proposte, etiche e sostenibili, che riflettano le esigenze e le specificità dei territori e delle comunità vulnerabili che li abitano.

 

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