20 settembre 2012

I musei africani protagonisti nella 3a conferenza su Musei e diritti umani

Il prossimo 9 e 10 ottobre l’International Slavery Museum, inaugurato cinque anni fa a Liverpool, in Gran Bretagna, ospiterà la terza conferenza organizzata dalla Federazione internazionale Diritti umani e musei.

Questa conferenza vuole discutere i progressi fatti dalle diverse istituzioni museali nell’ambito della difesa e promozione dei diritti umani. È sempre più diffusa, infatti, l’idea che i musei possano ricoprire un ruolo attivo nel sostegno dei diritti fondamentali.

Con il patrocinio dell’UNESCO, questo convegno vuole quindi affrontare argomenti quali: la schiavitù, la lotta contro le discriminazioni e le disegualianze di genere ed etniche, tradizione, religione e memoria.

Come parte della conferenza vi sarà anche la possibilità di partecipare al workshop Anniversary — an act of memory sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Diretto da Monica Ross, questa serie di performances in 60 atti, vedrà svolgersi il suo 46esimo atto proprio alla fine delle due giornate di discussione quando una recitazione collettiva porrà l’accento sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’adesione a questo laboratorio è gratuita e aperta a tutti i partecipanti alla conferenza.

Per maggiori informazioni vai al sito ufficiale della Conferenza sui diritti umani organizzata dalla Federation of International Human Rights

Segnaliamo infine due numeri della rivista Africa e Mediterraneo dedicati interamente a musei africani, 4/07 L’Africa nei musei e nelle collezioni occidentali e 2-3/07 “Oggetti d’arte” nei musei e nelle collezioni nell’Africa contemporanea: le poste in gioco.

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23 settembre 2011

Somaliland: scoprire il patrimonio culturale del passato per costruire un futuro. Le scoperte della giovane archeologa somala Mire Sada

in: Cultura

Mire Sada è una giovane archeologa somala, fuggita dal caos della guerra civile all’età di 14 anni e costretta, da quel momento in poi, a vivere in Svezia come rifugiata. Attualmente è titolare di una borsa di studio presso il Dipartimento di Arte e Archeologia della School of Oriental and African Studies di Londra, oltre ad essere capo del Dipartimento di antichità nel territorio secessionista del Somaliland.

La giovane archeologa somala ha aggiunto una nota positiva all’attuale storia del Corno d’Africa, portando alla luce una dozzina di siti di pitture rupestri che potrebbero essere candidati per lo status di Patrimonio mondiale dell’Umanità. Portare alla luce la storia della sua patria è diventato il suo obiettivo principale, ha affermato Mire durante un’intervista rilasciata alla BBC.

Avendo vissuto a Mogadisho parte della sua infanzia, Mire ricorda chiaramente ciò che si prova a vivere in un territorio di guerra, così come il suono della prima bomba ma, nonostante ciò, aspettava con ansia il momento del suo ritorno in patria.

Il patrimonio culturale e le meraviglie archeologiche che Mire Sada e i suoi collaboratori hanno rivelato in questi ultimi anni di grandi scoperte si colmano dunque di rilevanza fortemente simbolica, soprattutto se si pensa alla storia di questo territorio, da sempre saccheggiato delle proprie risorse.

La più sorprendente delle scoperte della giovane archeologa è la vasta serie di pitture rupestri site nel piccolo centro di Dhambalin, con più di 1.000 siti che ancora devono essere inseriti sulla mappa archeologica del Somaliland.

Le pitture rupestri hanno dei colori vivaci e ben conservati nonostante si pensa risalgano a quasi 5.000 anni fa. L’Unesco non ha potuto che rilevare l’importanza che le scoperte di Mire Sada rivestono a livello internazionale ma, nonostante ciò, i siti non diverranno così facilmente patrimonio dell’umanità, per lo meno non a breve. Il Somaliland infatti, è uno stato non ancora riconosciuto dalla comunità internazionale, per questo Mari parla di “patrimonio nomade”, non riconosciuto a causa della grave situazione che ancora imperversa nel paese.

La giovane archeologa non manca di ricordare quanto sia difficile lavorare in un territorio ancora disseminato di bombe, di mine-antiuomo e di serpenti che si aggirano nei territori del sito. Ella però ribadisce con fermezza della necessità di tutelare i siti archeologici appena scoperti, fare in modo che la popolazione sia cosciente del loro valore e soprattutto, che si rimpossessi della propria storia e della propria cultura, che vive anche attraverso queste scoperte. I siti rappresentano un patrimonio di valore nazionale inestimabile, fondamentale anche durante un periodo di così grandi conflitti, soprattutto per il potenziale che da questo può provenire. Come afferma Mari, fare in modo che in questa situazione le persone sentano di possedere qualcosa e di poterla gestire, può rappresentare una grande risorsa anche per il futuro.

Per ulteriori informazioni: http://www.africareview.com

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02 settembre 2010

8 settembre, giornata mondiale dell’alfabetizzazione, un premio UNESCO per le migliori pratiche

© UNESCO

© UNESCO


L’8 settembre sarà la giornata mondiale dell’alfabetizzazione, istituita nel 1967 dall’UNESCO per ricordare a tutti quanti che l’educazione e l’istruzione sono fondamentali per lo sviluppo dei popoli.

Una delle cause che più incidono sul divario che esiste tra il Nord ed il Sud del mondo, infatti, è proprio l’analfabetismo, un ostacolo per una crescita sociale e culturale.
L’UNESCO ricorda che a oggi 72 milioni di bambini non sono scolarizzati e le cifre crescono se pensiamo al numero di ragazzi che abbandonano la scuola o la frequentano in maniera irregolare.

Durante questa giornata si terrà la cerimonia di premiazione del King Sejong Literacy Prize, un concorso che ogni anno identifica a livello mondiale i progetti di alfabetizzazione che si distinguono per il loro livello qualitativo e innovativo.
Il tema dell’edizione del 2010 era “Alfabetizzazione ed empowerment delle donne”.

Quattro i progetti che si sono aggiudicati il premio quest’anno: l’Adult Education and Training Programme del General Directorate of Adult Training di Capo Verde, la National Literacy Campaign portata avanti dal Non-Formal Education Centre del Nepal, il Females for Families Programme realizzato dal Governatorato di Ismailia in Egitto e il Family Literacy Project condotto dallo State Institute for Teacher Training and School Development in Germania. Un programma in Colombia e un altro progetto in Malawi hanno ricevuto una menzione d’onore.
Questi programmi, che riceveranno non solo un premio simbolico (una medaglia e un certificato) ma anche economico (20.000 $), hanno spiccato sugli altri per il fatto di essere stati pensati e realizzati per rispondere alle esigenze specifiche del target di riferimento.
Per esempio ad Amburgo lo State Institute for Teacher Training and School Development realizza da due anni corsi di lingua tedesca per madri e bambini al di sotto dei sei anni. In questo modo riescono a coinvolgere contemporaneamente genitori e figli, strutturando lezioni che consentono un approccio alla lingua compartecipato, facendo sì che ci sia una forte collaborazione nell’apprendimento della lingua, che va a colmare alcuni gap frequenti nei corsi di L2.
A Capo Verde invece le lezioni del Training Programme, rivolte a un pubblico femminile, sono diversificate a seconda delle comunità in cui si svolgono e ruotano attorno a temi legati alla vita pratica: prevenzione dell’HIV, economia domestica, salute, emancipazione della donna.

Per maggiori informazioni relative ai singoli progetti si può consultare la pagina web dell’UNESCO http://www.unesco.org/en/literacy/literacy-prizes/winners-2010/, mentre per conoscere più nel dettaglio il premio e la missione dell’UNESCO nell’ambito dell’alfabetizzazione si consiglia di visitare il sito ciccando sul seguente link: http://www.unesco.org/en/literacy/right-navigation/about-us/mission/.

Elisabetta Degli Esposti Merli

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22 marzo 2010

L’UNESCO e il binomio cultura e sviluppo

in: Cultura

Presentazione dell’articolo “L’UNESCO e il binomio cultura e sviluppo”, pubblicato sul numero 68 di Africa e Mediterraneo a firma di Oriol Freixa Matalonga, Programme Specialist presso il settore Relazioni Internazionali e Cooperazione dell’UNESCO.

Quartier général de l'UNESCO, performance du groupe “Kalomkognes”, Sénégal, danse traditionnelle, danseur africain, musicien, folklore. © UNESCO/Claude Michel

Quartier général de l'UNESCO, performance du groupe “Kalomkognes”, Sénégal, danse traditionnelle, danseur africain, musicien, folklore. © UNESCO/Claude Michel

L’UNESCO è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite ed ha un ruolo chiave all’interno del “binomio cultura e sviluppo” (C+D Binomium).
Uno dei suoi principali impegni è quello di promuovere, proteggere e coordinare la Convenzione sulla protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005, convenzione che descrive i diritti e i doveri dei partiti e identifica gli aspetti fondamentali del Binomium.
L’UNESCO però ha anche un altro ruolo, che è quello di coordinatore nella Finestra tematica sulla cultura e lo sviluppo del Fondo per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (MDG-F), amministrato dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP).

Queste attività dell’UNESCO dimostrano un approccio concreto e pratico al C+D Binomium, sia a livello locale che globale, con l’obiettivo di dimostrare l’importanza della cultura nello sviluppo sostenibile. La Convenzione 2005 e gli incontri e conferenze che si sono succedute hanno sviluppato una serie di misure specifiche, chiamate “direttive operative”, le quali definiscono vari metodi d’azione nei paesi in via di sviluppo, da un lato per sostenere le industrie culturali, dall’altro per sostenere strategie di esportazione e accordi di coproduzione per quel che riguarda i beni e i servizi culturali, al fine di aiutare il mercato locale e internazionale.

Il fondo MDG promuove la cooperazione delle agenzie delle Nazioni Unite attraverso progetti di sviluppo nazionale. È stato impostato nel 2007 con un bando per i programmi congiunti dalle agenzie UN e da governi locali da 59 Paesi, identificati nel Piano Strategico della Spagna per la cooperazione internazionale, approvato dal Governo e Parlamento spagnolo. Le aree tematiche, chiamate “finestre tematiche” sono: potenziamento ed eguaglianza di genere; ambiente e cambiamento tematico; la governance democratica ed economica; gioventù, occupazione e migrazione; prevenzione dei conflitti e costruzione della pace; infanzia, sicurezza alimentare e nutrizione; sviluppo economico e del settore privato; cultura e sviluppo. Queste finestre tematiche incarnano varie dimensioni che uniscono cultura e sviluppo e si focalizzano sulla diversità culturale e l’inclusione sociale delle minoranze. Importante è notare che queste finestre sono ispirate dalle linee guida della Strategia di cultura e sviluppo della cooperazione spagnola. I programmi congiunti (JP) seguono i termini di riferimento di ogni finestra e le proposte vengono valutate da esperti; attualmente più di 150 JP sono stati approvati in più di 50 Paesi.

Per aquistare online la rivista vai sul sito dell’editore.

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16 luglio 2009

L’UNESCO e l’isola di Gorée, diaspora senza memoria collettiva

in: Turismo

gore-senegalPresentazione dell’articolo “L’isola di Gorée, patrimonio mondiale dell’UNESCO: le contraddizioni memoriali di un sito riconosciuto e abitato” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.

L ’isola di Gorée (Senegal), dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, costituisce un sito turistico di notevole interesse in quanto rappresenta un simbolo e un riferimento identitario strettamente legato sia ai suoi visitatori occidentali sia agli “Africani della Diaspora”. Tuttavia, oltre ad essere un luogo della memoria, Gorée è uno spazio abitato e, in virtù di tale duplice identità, costituisce l’oggetto di usi e rappresentazioni estremamente diversi. Inoltre, la popolazione locale si caratterizza per la sua costante ricomposizione, un fenomeno strettamente legato all’attrattiva turistica che il sito genera a partire dagli anni 80 del secolo scorso.

Le politiche culturali, locali e internazionali si sono interrogate troppo poco rispetto al duplice valore di questo patrimonio dell’umanità che, di fatto, si rivolge ai visitatori stranieri. Ne consegue che la popolazione dell’Isola di Gorée non ha costruito una “memoria collettiva” attorno a questo sito e ancor meno si è ancorata al ricordo di una schiavitù fortemente mediatizzata, commemorata dai turisti, dallo Stato e dall’UNESCO.

Gli studi e le ricerche condotte in Senegal mostrano che tale assenza di identificazione e di memoria collettiva locale in relazione alla tratta degli schiavi non concerne solo la popolazione dell’isola, ma anche quella di Dakar, quindi del Paese nel suo complesso. Gorée, a livello locale, rappresenta una vecchia città coloniale divenuta meta turistica, dove si va per piacere, solitamente durante il periodo estivo, a godere della tranquillità delle spiagge. Il ricordo della tratta schiavista resta qualcosa di molto teorico: il periodo storico che evoca ha radici troppo lontane per poter ravvivare qualunque tipo di investimento locale.

La società senegalese, infatti, non si è strutturata a partire dalle conseguenze socio-politiche della tratta atlantica, contrariamente a quanto si è verificato per le comunità sorte dalla schiavitù delle piantagioni, ma si è costituita principalmente at- torno all’evento storico della colonizzazione. Inoltre, la valorizzazione di tale passato non può essere il frutto di una rivendicazione locale comu- ne, in quanto non è compreso in un più ampio patrimonio culturale transgenerazionale: solo i membri delle antiche famiglie meticce dell’isola possono essere portatori di questa memoria collettiva. Il problema è che le famiglie in questione, designate dall’amministrazione come “antica anima di Gorée”, non contribuiscono all’elaborazione di una memoria locale della storia dell’isola poiché non vi abitano più.

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02 giugno 2009

UNESCO e pigmei aka, la difficoltà di tutelare una tradizione

in: Turismo

pigmei akaPresentazione dell’articolo “I canti polifonici dei pigmei aka: patrimonio immateriale dell’umanità” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Maria Chiara Caccia.

Sono passati sei anni da quando la Repubblica Centroafricana festeggiava il riconoscimento delle tradizioni orali dei pigmei aka come patrimonio culturale mondiale. Tale riconoscimento sancito dall’UNESCO nel 2003 è stato motivato dal rischio di sparizione di questa cultura, minacciata dalla deforestazione, l’esodo rurale, dalla folklorizzazione del patrimonio a fini turistici. E’ sulle insidie di questo ultimo punto che l’articolo si sofferma per discutere criticamente effetti e limiti della politica operata dall’agenzia delle Nazioni Unite. Gli aka, infatti, sono custodi di una tradizione di canti polifonici che ha suscitato la curiosità dell’industria del turismo.
All’interno della cornice fornita dall’UNESCO, la Repubblica Centrafricana si è attivata per definire e difendere il patrimonio aka lavorando su due direzioni. Da un lato l’istituzione di un museo dove al quale gli aka collaborano attivamente, ma che prevede danze e canti nuovamente a beneficio dei turisti, e dall’altro un sistema contro lo sfruttamento delle tradizioni orali dei pigmei basato su una tassazione. In sostanza è stato vietato di introdursi nei accampamenti dei pigmei, ma è possibile richiedere dei lasciapassare al “Comitato per la salvaguardia delle tradizioni orali aka”, anche questo aperto alla collaborazione degli aka. Ad ogni tipo di visita (semplice, con possibilità di fare foto, scientifica, con possibilità di assistere alla danza) corrisponde una tassa. In questo contesto l’equilibrio fra promozione culturale e difesa dell’identità è diventato difficile. Il rischio analizzato dall’articolo è che gli obiettivi posti dall’UNESCO non vengano realizzati e che si ottengano invece risultati opposti. Nel tentativo di salvare gli aka da una globalizzazione culturale il timore è che siano gli stessi beneficiari del progetto a commercializzare la propria cultura.

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01 giugno 2009

L'”heritage” e l'”heritage tourism”, fra autenticità ed interpretazione

in: Turismo

logo-patrimonio-originalePresentazione dell’articolo “Heritage, turismo, autenticità” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Silvia Barberini, docente di Antropologia Culturale presso l’Università Milano-Bicocca.

Come si definisce l’heritage e come la sua tutela si declina nel turismo? All’interno del dibattito attuale heritage indica un bene ereditario, pubblico, connotato da un’idea di possesso. Soprattutto, poi, è centrale il processo di selezione del passato che esso comporta (non tutto il passato è considerato, infatti, eredità da valorizzare, ma solo quegli elementi a cui un gruppo o una società attribuiscono un valore in funzione dei valori attuali). Il passato trasmesso ed ereditato è oggetto di un costante processo di re-interpretazione e re-iscrizione nel presente che, lungi dall’essere esente da conflitti, anche violenti, va a definire aspetti fondamentali quali l’origine e l’identità di una società.
La tutela di questi patrimoni culturali non è solo fine a stessa, ma anche in funzione di un uso turistico dell’heritage, da cui questa forma particolare di turismo culturale che è l’heritage tourism. L’articolo affronta nel dettaglio la questione dello sguardo del visitatore e del problema dell’autenticità. Non potendo ricorrere al concetto di autenticità oggettiva della concezione museale, i siti dichiarati patrimonio culturale si definiscono all’interno di una autenticità relativa, negoziabile, i cui significati sono direttamente connessi alla pratica sociale. Il turista non è interessato di un autenticità degli oggetti visitati, ma in se stesso.

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