22 maggio 2010

Teriya Bugu – la Capanna dell’amicizia. Un modello di turismo solidale a sostegno dello sviluppo rurale integrale

in: Turismo

Presentazione dell’articolo “Teriya Bugu – la Capanna dell’amicizia. Un modello di turismo solidale a sostegno dello sviluppo rurale integrale”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Igino Schraffl, docente universitario a Roma e Reggio Calabria; senior expert volontario delle Nazioni Unite, attualmente impegnato in una missione consultiva al Ministero del turismo del Mali.

In vita, il frate francese Bernard Vanspieren (1924-2003) recatosi in Mali nel 1951, dedicò i successivi 40 anni un’attività multiforme che andava dall’agricoltura (in origine era agronomo) all’idraulica e alle energie rinnovabili, dall’igiene all’istruzione e alla promozione della donna.
La caccia era l’unico svago che Verspieren si concedeva. E durante una delle sue battute nel 1965 strinse amicizia con un pescatore dell’etnia Somono. Dai loro sogni comuni espressi nelle conversazioni nella capanna che il padre di costruì sulla riva del fiume Bani, sarebbe nato il progetto di dare vita a una fattoria modello, un’ oasi ideale che fungesse anche da laboratorio per lo sfruttamento di energie alternative. Al centro fu dato il nome della prima capanna: Capanna dell’amicizia – Teriya Bugu in lingua bambara.
Alla sua morte nel 2003, una sessantina tra i suoi collaboratori decisero di continuare l’opera, che ora è gestita da l’Association d’entraide pour le développement rural (AEDR). Nel 2005 fu deciso di aprirsi al turismo. Attualmente, il centro si presenta come una piattaforma di sviluppo sostenibile con una gamma di componenti che vanno dall’attività turistica come fonte di reddito complementare, a varie attività agricole, alla produzione di energia alternativa da fonti rinnovabili, all’erogazione di vari servizi alla comunità. La struttura turistica è costituita da una serie di casupole in muratura con bagno autonomo, aria condizionata e TV, un ristorante, un’aula seminariale, con attrezzature per manifestazioni didattiche e simili, due piscine all’aperto, attrezzature sportive.
Comprensibilmente un’iniziativa di tale complessità non poteva essere autosufficiente fin dall’inizio. Finora il centro, che ha avviato l’attività turistica solo recentemente e adattando gradualmente la struttura ricettiva, ha beneficiato di diversi tipi di sostegno o partenariato.
Teriya Bugu rappresenta, a nostro modesto avviso, un modello che andrebbe attuato ed efficacemente sostenuto non solo in Mali, ma in tutte le realtà africane in via di sviluppo e anche in altri continenti, per gli evidenti effetti positivi che ne scaturiscono in termini di attenuazione della povertà, coesione sociale, sviluppo endogeno e sostenibile, tutela dell’identità culturale, protezione dell’ambiente.

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01 aprile 2010

Polemiche roventi per l’inaugurazione del “Monumento della Rinascita africana” prevista per sabato 3 aprile

Il mondo intero è invitato ad assistere sabato 3 aprile in Senegal all’inaugurazione dell’enorme “Monument de la Renaissance Africaine”, concepito dal Presidente Abdoulaye Wade in persona.
La spaventosa statua, alta 50 metri e collocata su una collinetta di Dakar alta 100 metri, rappresenta un uomo muscoloso, coperto solo da un fazzoletto ai fianchi, nell’atto di uscire da un vulcano, spingendo verso l’alto un bambino con una mano e “tirando” dietro di sé una donna seminuda con l’altra. Il tutto realizzato in stile repubblica socialista, dalla società coreana Mop, con il coordinamento di una società francese e la supervisione dell’architetto Pierre Goudiaby Atepa, amico del Presidente.
“E’ l’Africa che esce dal ventre della terra, lasciando l’oscurantismo per andare verso la luce”, ha spiegato Wade al giornale Libération.
A parte l’orrore di questa opera, l’irrimediabile inquinamento visivo che porterà, il disagio causato dalla esasperata sensualità dei corpi ai cittadini di Dakar per la maggioranza musulmani, le polemiche vertono anche sul costo della realizzazione. Le cifre riportate dai vari giornali oscillano dai 17 ai 27 milioni di dollari.
In Agosto 2009 il presidente ha dichiarato che il monumento non è costato denaro ma terre di proprietà statale. Non ha dato cifre sul valore del lavoro né delle terre. Si parla di 50 milioni di euro di terre edificabili, tanto che l’opposizione ha richiesto un’audit indipendente su tutta l’operazione, perché si versi al tesoro statale la differenza tra il valore del terreno ceduto e il costo reale dell’opera.
Nel corso di una visita ai lavori l’estate scorsa, Wade ha affermato di essere il proprietario intellettuale dell’opera e che il 35% dei proventi derivanti dalla presenza di “centinaia di migliaia di turisti” andranno a lui, che li darà al figlio Karim per la sua associazione.
Il Presidente ha infatti voluto creare un’opera colossale che attiri turisti come la Statua della Libertà a New York o il Cristo redentore a Rio de Janeiro.

Pubblichiamo questa foto di Elena Zaccherini che esprime in sintesi l'estraneità del monumento rispetto alle 
condizioni della città

Pubblichiamo questa foto di Elena Zaccherini che esprime in sintesi l'estraneità del monumento rispetto alle condizioni della città

Diversi creativi e operatori culturali attivi in Senegal avevano fatto proposte, ma Wade ha deciso autonomamente… e le polemiche infuriano.
Questa potrebbe essere anche considerata una scelta strategica a lungo termine visto il dibattito degli ultimi anni sull’importanza della cultura per lo sviluppo in Africa. Un dibattito attualissimo fatto di dichiarazioni ufficiali, summit, conferenze, studi, che ha approfondito temi come l’identità culturale africana, l’importanza di dare spazio ai creatori di qualità, la necessità dell’aspetto partecipativo dell’animazione culturale e quindi del coinvolgimento della popolazione locale… Il tutto “demolito” da un capriccio di un presidente che si è improvvisato artista.

Gli imam di Dakar si sono coordinati per fare sermoni contro il monumento e in dicembre c’è stato un dibattito sulla Radio Televisione Senegalese tra favorevoli e contrari, discutendo se la statua debba essere cosiderata un monumento (quindi non proibito dall’islam) o un idolo (raffigurante una divinità e quindi vietato).

Ma c’è anche un coro di sostenitori. Il cantante senegalese Malick Niang ha appena fatto uscire un disco intitolato “Monument de la Renaissance africaine”, per sostenere e fare conoscere l’opera e dice di stare addirittura organizzando una carovana promozionale nel paese. Mohamadoul Lamine Sall, presidente de l’Union pour l’éducation et le secours (UNIES), ha sottolineato che la statua genererà delle ricadute economiche grazie al turismo e che avrà anche una funzionalità pratica contenendo anche sale conferenze e ristoranti per il pubblico. Il Forum de la renaissance africaine (FORA) ha espresso ‘’la sua indignazione” per le polemiche e ha “incoraggiato il presidente per questo gioioso regalo offerto ai popoli africani”.
Comunque, quello che molte persone trovano offensivo è che mentre la gente non ha acqua potabile e i quartieri di Dakar vengono inondati nella stagione dell piogge, si spendono denari in opere inutili. L’area in cui sorge il monumento, Ouakam, è molto povera e l’amministrazione è sul piede di guerra. Wade ha cercato di rimediare finanziando con 2 milioni di euro i sacrifici per gli spiriti del luogo, organizzati per far cessare gli incidenti mortali che sono frequenti alla rotonda sotto la collina da quando sono aperti i lavori.
Le agenzie senegalesi prevedono la presenza di una trentina di capi di stato africani e internazionali per il 3 aprile, giorno dell’inaugurazione. La mattina si terrà una conferenza internazionale sulla “Renaissance Africaine” (…!) e alle 15 l’inaugurazione. Il giorno dopo ci sarà la celebrazione del conquanternario dell’indipendenza del Senegal.

Per mesi ha circolato un’immagine generata al computer del monumento, sulla quale gli internauti si sono divertiti a lavorare: ecco allora il monumento con il President Wade, sua moglie e suo figlio Karim. Effettivamente Wade sostiene nella sua carriera il figlio, che è stato nominato nell’ultimo anno ministro della Cooperazione internazionale, della Pianificazione regionale, dei Trasporti aerei e delle Infrastrutture.

Sandra Federici

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09 novembre 2009

Sviluppo, turismo e protezione del patrimonio culturale del Bénin

Dossou_1Presentazione dell’articolo “Sviluppo, turismo e protezione del patrimonio culturale del Bénin”, pubblicato su Africa e Mediterraneo n.67, a firma di Caroline Gaultier-Kurhan- fondatrice del dipartimento di gestione del patrimonio culturale dell’Università di Senghor e Sandrine Léontina Dossou, curatrice presso l’università di Senghor di un progetto di valorizzazione del patrimonio bati di Ouudah.

Lo sviluppo, il turismo e la preservazione del patrimonio culturale sono da sempre al centro degli interessi del Departement patrimoine culturel dell’Université Senghor d’Alexandrie. In questo spirito, dal 2006 sono stati realizzati due tipi di attività.
La prima, in collaborazione con il Ministero della Cultura e il Ministero del Turismo concerne la formazione di professionisti locali per lo sviluppo del turismo, guide e operatori turistici in Bénin.

La seconda riguarda la realizzazione di una ricerca, sponsorizzata dal AIMF (Association Internazionale des Maires Francophones – l’associazione internazionale dei sindaci francofoni) sul patrimonio architettonico e sulle possibilità di sviluppo turistico in Ouidah (città emblematica della ricchezza di patrimonio materiale ed immateriale).

Il Bénin è spesso solo un paese di transito per i turisti; tuttavia ha grande fama intellettuale di “quartiere latino dell’Africa”, ed è conosciuto per lo spirito di accoglienza che offre ai visitatori. La ricerca condotta dall’Università Senghor d’Alexandrie ha identificato i tre maggiori punti di attrazione della città di Ouidah: la storia secolare legata alla tratta degli schiavi, il patrimonio immateriale che influenza altri continenti, e l’ambiente naturale ricco e variegato.

Le autrici osservano che, benché i dati dell’OMT (Organizzazione mondiale del turismo) dimostrino un incremento del turismo, di quest’ultimo non necessariamente beneficiano le popolazioni locali. Notano, inoltre, che il patrimonio architettonico del Bénin è in pericolo a causa della mancanza di fondi per la sua preservazione e ristrutturazione e di interesse, e aggiungono la necessità di salvaguardare queste testimonianze al know-how antico e alla storia.

La ricerca propone di convertire gli elementi del patrimonio architettonico – ad esempio case storiche – in alloggi turistici e pensioni. Il progetto mira a fare di Ouidah una destinazione turistica durevole, di cui conservare e restaurare il patrimonio architettonico, conformemente ai dettami del turismo sostenibile, e quindi coinvolgendo e sostenendo le popolazioni locali dal punto di vista economico, sociale, culturale e politico. Tale tipo di turismo è inoltre rispettoso della cultura, della società e dell’ambiente e permette uno scambio culturale autentico e una comprensione reciproca tra persone e culture.

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04 settembre 2009

Vudù, turismo e patrimonio in Bénin, è uscito il nuovo numero di Africa e Mediterraneo

coverAeM65-66
E’ uscito il nuovo numero di Africa e Mediterraneo con un dossier interamente dedicato al Bénin. Ilvudù e l’eredità dello schiavismo sono due elementi storico-culturali di grande impatto per l’immaginario occidentale e per la diaspora africana che il Bénin, da qualche tempo, sta valorizzando e salvaguardando per un rilancio turistico del paese.

Il legame tra turismo e patrimonio era già stato affrontato nel numero precedente, partendo dalla considerazione che la costruzione del “patrimonio” (artistico, paesaggistico, umano) è centrale all’interno del pensiero critico contemporaneo degli studi culturali.

Questo secondo dossier analizza il caso specifico del Bénin, un paese che si autodefinisce “culla del vudù” e il cui Ministero del Turismo scrive in epigrafe al proprio sito “Bénin, terre de mystere”, mostrando in questo modo di voler concentrare i propri interventi soprattutto a vantaggio delle risorse culturali.

Pubblichiamo di seguito il Pdf dell’introduzione, che potete leggere o scaricare.

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10 luglio 2009

Obama va in Africa

Oggi Obama va in Africa. Io sono nel gruppo di quelli che ancora si entusiamano per lui, insomma non mi ha ancora deluso. Se devo dire la verità, in questi giorni ha fatto un po’ troppi sorrisi al padrone di casa del G8. Ma bisogna sempre pensare a chi c’era prima, e a cosa ha combinato.

Quindi, mi sembra bello godermi la prima visita in Africa di un Presidente di origine africana (Obama è un americano di origine immigrata di seconda generazione! Se Maroni ci pensa un attimo su, lo espelle).

Segnalo due articoli interessanti. Uno di Giovanni Carbone sul nuovo ottimo sito di informazioni sull’Africa, Afronline. Carbone si chiede perché Obama abbia scelto il Ghana, che non ha petrolio e demograficamente non è molto importante. Si risponde che praticamente, dovendo avere un partner simbolico dal punto di vista della rispettabilità democratica e del rilancio economico, non c’era molta scelta. Le elezioni presidenziali di dicembre 2008 si sono svolte democraticamente: dopo due mandati, John Kufuor ha deciso di rispettare la Costituzione e di ritirarsi. Il candidato dell’opposizione, John Atta Mills, ha vinto per pochi voti, e il partito al governo ha riconosciuto questa vittoria. Una situazione che in Africa è rara, basti pensare a quanto successo alle ultime elezioni in Zimbabwe e in Kenya.

Un altro articolo che fa il punto sulla visita lo si trova su Nigrizia. Loro mettono in evidenza un altro motivo secondo me importante nel determinare la scelta del Ghana. E’ un paese simbolo della tratta degli schiavi e la diaspora africana residente negli Stati Uniti lo ha recentemente scoperto come luogo per il cosiddetto “turismo delle origini”.

Tanto che nel 2006 hanno rinominato il ministero del turismo “Ministry of Tourism and Diaspora Relations” e nei depliant turistici, oltre alle bellezze naturali e alla “cultura tradizionale”, si nomina sempre la “tratta negriera”. Obama visiterà Cape Coast, antica capitale e scalo delle navi schiaviste, da dove migliaia di africani sono stati portati nelle Americhe.

Nel nostro ultimo numero 65-66 su Africa: turismo e patrimonio c’è un interessante articolo di Gaia Delpino dal titolo “Il turismo delle origini. Esperienze di incontro con la diaspora nera in Ghana”.

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