19 luglio 2010

Il primo week end senza mondiale e senza Sudafrica

E’ finito da alcuni giorni il mondiale e la magica euforia che lo ha accompagnato, approfittiamone per fare un po’ di valutazioni. Cominciamo dalle critiche, che vengono soprattutto dalla società civile sudafricana e dai suoi intellettuali e sono rivolte alle classi dirigenti politiche e sportive che hanno partecipato e soprattutto beneficiato dell’organizzazione.

Sono disponibili sulla rete delle slide redatte da Patrick Bond del Centre for Civil Society dell’Universtiy of Kwazulu Natal (cliccare il post “World Cup Watch. A political economy of the 2010 World Cup”) che sintetizzano le proteste di questi ultimi anni in 6 “cartellini rossi” per la FIFA, quindi contro le élite della Coppa del mondo:

1. Priorità dubbie, con spese eccessive (e ci si riferisce agli elefanti bianchi sudafricani: nuovi stadi a Durban, Città del Capo, Port Elizabeth, Nelspruit, Polokwane, Soccer city a Johannesburg, nessuno dei quali sarà più riempito dopo la fine del mondiale, al costo totale di 3 miliardi di dollari USA) e un’impronta ecologica devastante della fase preparatoria e dell’intera manifestazione.

2. Profitti per la FIFA, con corruzione politica (si citano inchieste di vari giornali e il libro Fourl: the secret world of FIFA di Andrei Jennings) e persino misteriosi omicidi e sparizioni di politici e imprenditori coinvolte negli affari legati alla costruzione degli stadi.

3. Debito e importazioni, crisi economica (le spese per la preparazione del mondiale e per la costruzione degli stadi, che ammontano in totale a 4,1 miliardi di dollari USA, hanno causato una enorme spesa per importazione e un aumento nel debito estero dell’85 %; un investimento di cui non è garantito il ritorno; in più, la FIFA non paga tasse quindi non c’è ricaduta sulle finanze sudafricane dai suoi profitti), aumento dei prezzi degli immobili in un meccanismo di bolla immobiliare.

4. Errori, e promesse tradite: Un parlamentare dell’ANC, Shiaan-Bin Huang ha importato (da un’impresa cinese che tra l’altro paga lavoratori adolescenti 3 dollari al giorno) 2,3 milioni di leopardi “Zakumi”, il gadget ufficiale della manifestazione. Ai venditori informali è stato proibito di vendere gadget. Le prenotazioni di camere d’albergo sono state di molto inferiori alle previsioni della FIFA. Alcuni ospedali selezionati sono stati svuotati a metà per l’occasione, spostando in lungo degenti e sospendendo alcune attività di cura ordinarie. Le associazioni calcistiche hanno deplorato l’approccio top-down che non ha portato benefici al calcio “di base”.

5. Sospensione delle libertà democratiche: Si cita l’operazione della polizia di Durban che ha letteralmente “rimosso” i bambini di strada, trasportandoli in periferia, affinché non fossero visibili ai turisti. Tutte le forme di protesta e le manifestazioni sono state dichiarate illegali fino al 15 luglio 2010. Agli ambulanti è stato proibito di vendere nelle zone vicine agli stadi, nelle strade e nei parchi se non con un permesso speciale rilasciato dalla FIFA. La SA Broadcasting corporation ha rifiutato di mandare in onda un documentario critico sulla FIFA: Fahrenheit 2010: Warming up for the world cup in South Africa. Il Comitato organizzativo locale della 2010 FIFA World cup non ha reso noti i documenti sulle gare d’appalto (richiesti ripetutamente dal giornale Mail & Guardian), dichiarando di essere un ente privato e di non dovere sottostare ai principi di trasparenza. Alla fine ha ottenuto la copia delle 17 garanzie che il Governo ha dovuto dare alla FIFA per ottenere di ospitare il Mondiale: condizioni abbastanza vessatorie per i cittadini e i giornalisti sudafricani in termini di libertà costituzionali, nell’accettazione di quella che è stata definita una vergognosa e umiliante colonizzazione.

6. Proteste affrontate con la repressione: Le slide si concludono con i link a diversi rap di denuncia e con le immagini delle diverse manifestazioni di protesta organizzate negli anni precedenti al Mondiale.
Le slide sono dedicate alla memoria di Dennis Brutus (1924-2009), importante poeta, attivista ed economista politico dello sport, compagno di prigionia di Mandela a Robben Island; critico delle corporazioni sportive, organizzatore del boicottaggio del Sudafrica bianco alle olimpiadi degli anni 60 e fortemente critico nei confronti delle modalità di organizzazione del Mondiale sudafricano.

Anche la rivista Social Text ha pubblicato un insieme di post di analisi critica della manifestazione.

Insomma, il bilancio sembra negativo, soprattutto per i Sudafricani che non si accontentano dell’inebriante vertigine della febbre del calcio e dell’orgoglio patriottico di avere ospitato per prima tra le nazioni africane un mondiale.
Però, bisogna rilevare che per il pubblico e i media globali la Coppa del Mondo dal punto di vista organizzativo è stato un successo. L’immagine del Sudafrica che circolava era caratterizzata da grande criminalità, conflittualità etnica, problemi di xenofobia, e disorganizzazione, ci si aspettavano solo omicidi e stadi non finiti, in base alla “soft bigotry of low expectations”, una definizione coniata da un collaboratore di George Bush e ripresa dall’economista Dambisa Moyo per descrivere la sfiducia nei confronti dell’Africa. Invece…

Invece per un mese il mondo ha sentito parlare di Città del Capo, Pretoria, Johannesburg, Nelspruit, il tutto costantemente collegato a quel sogno universale che è il calcio. Collegato al divertimento, allo sport, allo spettacolo. Ha seguito i servizi di approfondimento sulla realtà sudafricana realizzati dalle troupe televisive di tutto il mondo che si sono date appuntamento lì. Certo, i formati del servizio giornalistico televisivo e dell’articolo di quotidiano costringono a sintesi, retorica e anche superficialità, e le Vuvuzelas sono state l’argomento principale… Ma sono convinta che i giornalisti non abbiano applicato parametri diversi quando hanno trattato il “colore locale” in margine ai mondiali ospitati dalla Germania o dall’Italia.

Insomma, forse qualcosa di buono da questo South Africa 2010 possiamo prenderlo ed è la straordinaria potenza simbolica di questo successo organizzativo nel controbilanciare la sfiducia e il razzismo nei confronti dell’Africa. E’ un meccanismo semplice, anzi semplicistico, come semplicistico è il pensiero razzista. Chi sa approfondire sa che dietro questo emozionante spettacolo ci sono difficoltà che persistono, ingiustizie e corruzione. Chi spera in un’Africa diversa avrebbe preferito che fosse colta l’occasione di sperimentare percorsi e modalità alternativi (ma già candidarsi per una gara come l’organizzazione del Mondiale vuol dire accettare le condizioni di un meccanismo globalizzato che difficilmente si lascia cambiare).

Ma contro il pensiero razzista, e contro il razzismo inconscio, il pensiero razionale basato sui fatti non funziona. Funzionano le emozioni, gli eventi simbolici, come l’elezione di Obama. Quindi, consapevoli del lato B, prendiamoci il lato A, e godiamocelo come momento storico da poter mettere sul piatto della bilancia come contrappeso al pregiudizio, al pessimismo, all’ignoranza.

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