09 luglio 2010
“La carità che uccide” l’economista Dambisa Moyo a Bologna
Sono stata mercoledì 7 luglio alla Libreria Coop Ambasciatori di Bologna alla presentazione del libro La carità che uccide, dell’economista zambiana Dambisa Moyo, nell’ambito della rassegna Molteplicittà.
La Moyo è un’ottima oratrice, molto “americana” nello stile e nel modo di pensare, nel senso che ha una grande capacità di semplificare la realtà, a volte tralasciandone un po’ troppo la complessità. Minuta ed elegante, ha affascinato la platea presentando brillantemente il suo pensiero, indubbiamente molto azzeccato e difficile da confutare: siccome in Africa negli ultimi 60 anni sono stati inviati 1 trilione di dollari di aiuti e il risultato è che lo sviluppo economico è stato negativo e la povertà è aumentata, se ne deve dedurre che l’aiuto è nocivo per l’Africa.
Ha precisato che quando parla di aiuto si riferisce alla cooperazione governativa, escludendo l’aiuto umanitario e l’aiuto delle charity e delle ONG. Forse costretta dai tempi limitati di una presentazione, ha liquidato la complessa attività della cooperazione non governativa (anche nei campi della democratizzazione, dell’advocacy, dei diritti umani) nella definizione “l’aiuto che ognuno di voi può fare mandando 20 euro a una associazione o a un missionario in un Paese africano”.
Tra le cause di questo fallimento, definite da studi e statistiche, enumera la corruzione di tanti governi, il fatto che l’aiuto uccide l’imprenditoria, l’irresponsabilità dei governi africani che non devono rendere conto alle loro popolazioni del loro operato perché possono contare sull’aiuto economico e politico degli ex colonizzatori.
Insomma il mercato, il commercio, l’impresa possono essere stimolati in Africa solo se cessano gli aiuti, se si punta sul commercio, sul microcredito, sulle rimesse degli immigrati, e solo se gli Africani, governi e popolazioni, si rimboccano le maniche e imparano a fare da soli. Ha sintetizzato la filosofia dell’aiuto attraverso una definizione di George Bush, “the soft bigotry of low expectations” che indica la sfiducia nei confronti delle capacità degli Africani e dei neri, per cui se un nero è capace di avere successo e svolgere bene un lavoro ci si meraviglia.
Il suo punto di vista è strettamente economico, e tiene pochissimo in conto la cooperazione della Unione europea con i Paesi di Africa Caraibi Pacifico e altri paesi in via di sviluppo.
Ad esempio io ho fatto una domanda sui discussi Economic Partnership Agreement, che dovrebbero togliere i trattamenti preferenziali per l’esportazione in Europa dai Paesi ACP, e costringere i produttori di quest’area a combattere contro le multinazionali in un mercato totalmente libero, ma lei non ha praticamente risposto. Si è riferita all’accordo Everything but Arms dicendo che è fallito perché i Paesi occidentali si sono concentrati in base ai loro interessi su pochi Paesi e su pochi prodotti. Ma ho avuto la sensazione che non fosse molto informata sul dibattito EPA.
Comunque il suo libro ha venduto moltissimo, perché evidentemente risponde al forte bisogno di criticare l’inefficienza degli aiuti e la corruzione dei governi africani e, come mi ha detto dopo la fine dell’incontro l’attivista colombiano Manuel Rozental presente tra il pubblico, il fatto che lei, economista, di un paese come lo Zambia, poco più che trentenne e così minuta, dica queste cose chiaramente in faccia ai potenti del mondo, è semplicemente perfetto.
[Dambisa Moyo alla Libreria Coop. Ambasciatori di Bologna, foto di Michele Floresta]
Parole chiave : Cooperazione, Economia, immigrati, Relazioni economiche, sviluppo, Zambia
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18 maggio 2010
I fastidiosi gusti delle donne africane
Presentazione dell’articolo “I fastidiosi gusti delle donne africane”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Karin Pallaver, assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna.
Il tema della globalizzazione è un argomento di grande attualità, che viene generalmente, e giustamente, analizzato nei termini dello sfruttamento che rapporti economici globali determinano sulle realtà locali dei paesi del sud del mondo. Concentrandosi su come il potere economico si sia incentrato nelle mani di soggetti economici dominanti, gli analisti della globalizzazione hanno tuttavia spesso tralasciato di considerare come alcune realtà locali, considerate storicamente marginali, abbiano influenzato trend economici globali. Il caso dell’Africa orientale nel corso del XIX è in questo ambito un caso storico significativo. Il potere d’acquisto degli africani residenti in quest’area conobbe un’ampia crescita nel corso del XIX secolo grazie al loro coinvolgimento nel commercio di avorio, schiavi e copale dalle regioni dell’interno verso la costa, e poi verso l’Europa, l’America e l’India. Questi prodotti venivano acquistati da europei, arabi, indiani e africani con tessuti, perle di vetro e fili d’ottone provenienti dall’Europa, dall’America e dall’Asia. Come è già stato dimostrato nel caso dei tessuti il ruolo delle popolazioni africane interessate da queste reti commerciali nell’influenzare processi economici mondiali è stato decisivo: i gusti ben definiti e la rapidità del cambiamento delle mode delle popolazioni africane, influenzarono, ad esempio, la produzione tessile di centri situati in parti opposte del mondo, come Salem, in Massachusettes e Bombay, in India, contribuendo in maniera decisiva al loro sviluppo industriale. Un discorso parallelo può essere fatto per le perle di vetro prodotte a Venezia. Sebbene considerate in Europa come oggetti senza valore “buoni solo per i selvaggi e i negri”, come veniva affermato al tempo, le conterie veneziane divennero uno dei prodotti più ricercati sui mercati dell’Africa orientale nel XIX secolo, assumendo importanti funzioni economiche, culturali e simboliche. Come quella per i tessuti d’importazione, anche la domanda per le perline veneziane era soggetta a rapidi mutamenti, che causavano non pochi problemi ai commercianti ed esploratori del tempo. Lo scopo di questo articolo è esplorare i fattori, tra cui la moda, alla base dei rapidi mutamenti nella domanda di conterie in Africa orientale nel XIX secolo, ponendo particolare attenzione alla connessione tra il mercato africano e il maggiore centro produttivo di perline di vetro in Europa, Venezia.
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