“Welcome”, “Benvenuto” è ciò che troviamo scritto a caratteri cubitali all’ingresso delle nostre città oppure è ciò che leggiamo sugli zerbini davanti alle porte di numerosi appartamenti.
Ed è anche quello che l’Unione Europea dovrebbe dire a quelle persone che si mettono in viaggio, che migrano per dirla con termini più attuali, per sfuggire a situazioni di vita difficilmente sostenibili, come conflitti armati, persecuzioni, carestie o cataclismi naturali (e di cui spesso i paesi industrializzati sono i principali responsabili).
Ma come ci fa intendere il regista francese Philippe Lioret questa parola, che è anche il titolo del suo film, non viene né pronunciata così facilemente come si può credere, né diventa una pratica adottata dalle autorità politico-governative, soprattutto alle frontiere nei confronti dei cosiddetti immigrati clandestini.
“Direttiva del ritorno” (che promuove il ritorno volontario degli immigrati illegali), “delitto di solidarietà” (che punisce chi offre il proprio aiuto a immigrati clandestini) sono alcune delle direttive adottate in Francia (e da numerosi altri paesi Europei) che hanno rinforzato le barriere della fortezza europea, ma che causano ogni giorno il maltrattamento, la violazione dei diritti fondamentali e a volte la morte di numerosi stranieri immigrati.
Lioret ci racconta la storia di un giovane rifugiato Curdo in fuga dall’Iraq e diretto in Gran Bretagna. Una storia come ne esistono a centinaia, ma delle quali i media non sono soliti parlare. Bilal, questo il nome del ragazzo, dopo aver percorso migliaia di chilometri resta bloccato a Calais (Francia): l’unica speranza di raggiungere l’altra sponda della Manica (dove lo attende Mina, la sua fidanzata) è attraversare quel braccio di mare a nuoto.
In questa impresa colossale e disperata lo affianca Simon, istruttore di nuoto in una piscina comunale di Calais. Questo aiuto inizialmente non è disinteressato: Simon, infatti, spera attraverso questo slancio di solidarietà di riconquistare punti agli occhi della ex moglie, impegnata come volontaria nell’assistenza agli immigrati bloccati nella Jungle di Calais e che lo ha spesso accusato di immobilismo e di indifferenza davanti ai drammi della vita.
La vita di Simon, disperato e in crisi, scorre in parallelo a quella di Bilal: la sola differenza è che mentre il ragazzo è disposto ad attraversare chilometri di acque fredde e agitate da forti correnti, l’uomo non è riuscito nemmeno ad attraversare la strada per fermare la donna amata mentre si allontanava da lui.
Ed è cosi che Simon nell’aiutare Bilal aiuta se stesso ad uscire da un buco nero di inerzia. E l’aiuto “interessato” diventa giorno dopo giorno disinteressato, evolve in affetto, compassione e comprensione delle necessità dell’altro. E Simon si fa paladino della causa dei sans papiers.
Vincitore del Premio Lux (premio che il Parlamento Europeo assegna a opere cinematografiche che illustrano o si interrogano sui valori costitutivi dell’identità europea, sulla diversità delle culture o sul dibattito sull’integrazione dell’Unione Europea) ha riscosso un enorme successo nelle sale francesi. E speriamo pure in Italia.