22 luglio 2009

La valorizzazione dei villaggi forticati e delle feste popolari in Algeria

in: Turismo

SfissifaPresentazione dell’articolo “Costruire il patrimonio in Algeria: la valorizzazione degli ksour (qsûr) e dei wacdat (moussems) nel Sud Oranais” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Sandra Guinand – politologa e urbanista, Università di Losanna – e Yazid Ben Hounet dottore di antropologia sociale, EHESS/Paris.

Da qualche anno l’Algeria è impegnata a perseguire una politica di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale segnatamente a fini turistici.

Gli ksour, villaggi fortificati tradizionali del Sahara e della catena dell’Atlante Sahariano, situati lungo le antiche rotte commerciali transahariane, sono stati oggetto di un recente processo di restaurazione e riabilitazione su larga scala; i wacdat (sg. wacda), feste popolari che si tengono per celebrare i santi locali, si moltiplicano, attirando sempre più persone a testimoniare la loro rinascita.

Questo articolo, a partire dall’esempio degli ksour e degli wacdat del Sud Oranais, si propone di indagare le ragioni e le condizioni di una valorizzazione del patrimonio secondo i differenti attori, per capire in che modo si costruisca l’oggetto patrimoniale in Algeria.

In seguito all’indipendenza (1962), tramite un’ordinanza, il nuovo Stato algerino integra nel proprio patrimonio nazionale gli oggetti inventariati dalla Francia (siti e monumenti storici). La prima definizione ufficiale di “patrimonio culturale” del paese e delle misure assunte in sua difesa, verrà tuttavia formulata solo nel 1998 attraverso una legge che include il patrimonio culturale immateriale nell’insieme dei beni materiali da proteggere.

Al di là del suo riconoscimento politico, la questione patrimoniale partecipa di una dimensione simbolica che crea tensioni e conflitti. Infatti, il patrimonio, in quanto héritage, è necessariamente portatore di un’identità collettiva che tuttavia non si crea automaticamente.

Costruita, ricostruita o negoziata, essa è anche continuamente ridefinita. Le stesse modalità che definiscono e attribuiscono valore a ksour e wacdat sono sfruttate, tanto dagli attori locali che dalle autorità politiche, affinché veicolino alcuni aspetti della cultura e dell’identità locale e nazionale. Se il patrimonio ha un interesse turistico è perché al di là dei valori classici che lo caratterizzano, le società contemporanee gli hanno attribuito un valore economico senza precedenti.

Diversi Stati e autorità politiche hanno saputo trarne profitto. Basti pensare al caso della Tunisia che ha saputo valorizzare il proprio artigianato, l’architettura delle medine e il carattere dei propri souk per sviluppare un turismo che attualmente riveste un ruolo non trascurabile nell’economia nazionale del paese.

Tuttavia, nonostante il processo di patrimonializzazione dei siti sembri guidato prevalentemente da un interesse di sviluppo economico, vi intervengono diversi fattori, di ordine finanziario, politico e identitario.

[Foto: Sfissifa, di Sandra Guinand]

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02 giugno 2009

UNESCO e pigmei aka, la difficoltà di tutelare una tradizione

in: Turismo

pigmei akaPresentazione dell’articolo “I canti polifonici dei pigmei aka: patrimonio immateriale dell’umanità” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Maria Chiara Caccia.

Sono passati sei anni da quando la Repubblica Centroafricana festeggiava il riconoscimento delle tradizioni orali dei pigmei aka come patrimonio culturale mondiale. Tale riconoscimento sancito dall’UNESCO nel 2003 è stato motivato dal rischio di sparizione di questa cultura, minacciata dalla deforestazione, l’esodo rurale, dalla folklorizzazione del patrimonio a fini turistici. E’ sulle insidie di questo ultimo punto che l’articolo si sofferma per discutere criticamente effetti e limiti della politica operata dall’agenzia delle Nazioni Unite. Gli aka, infatti, sono custodi di una tradizione di canti polifonici che ha suscitato la curiosità dell’industria del turismo.
All’interno della cornice fornita dall’UNESCO, la Repubblica Centrafricana si è attivata per definire e difendere il patrimonio aka lavorando su due direzioni. Da un lato l’istituzione di un museo dove al quale gli aka collaborano attivamente, ma che prevede danze e canti nuovamente a beneficio dei turisti, e dall’altro un sistema contro lo sfruttamento delle tradizioni orali dei pigmei basato su una tassazione. In sostanza è stato vietato di introdursi nei accampamenti dei pigmei, ma è possibile richiedere dei lasciapassare al “Comitato per la salvaguardia delle tradizioni orali aka”, anche questo aperto alla collaborazione degli aka. Ad ogni tipo di visita (semplice, con possibilità di fare foto, scientifica, con possibilità di assistere alla danza) corrisponde una tassa. In questo contesto l’equilibrio fra promozione culturale e difesa dell’identità è diventato difficile. Il rischio analizzato dall’articolo è che gli obiettivi posti dall’UNESCO non vengano realizzati e che si ottengano invece risultati opposti. Nel tentativo di salvare gli aka da una globalizzazione culturale il timore è che siano gli stessi beneficiari del progetto a commercializzare la propria cultura.

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