19 marzo 2010

Obama è africano, quindi…

Obama
Ieri è passato Godwin, il nostro venditore di fiducia nigeriano. Passa ogni 2-3 settimane in redazione con gli accendini, gli asciugapiatti, i fazzoletti. Sa che non può passare più spesso perché non è l’unico e anche se noi dello staff ci alterniamo negli acquisti, questa specie di tassa sociale aggiuntiva che noi paghiamo acquistando le merci degli ambulanti non può essere troppo pesante.

Godwin abita in una città dell’Emilia Romagna da diversi anni e da poco ha avuto una specie di regolarizzazione, grazie a un amico italiano che a settembre 2009 ha fatto la pratica di assunzione per lui nella maxi regolarizzazione delle badanti. Parla male l’italiano, si è bloccato da anni a una forma di “Interlingua” molto scorretta, che non accenna a migliorare, forse perché per la vendita gli basta e per il resto frequenta soprattutto altri nigeriani.

Ogni tanto parliamo di politica, soprattutto della situazione nigeriana, che lui segue attentamente anche da qui, a volte dei film di Nollywood (l’industria cinematografica nigeriana, la terza al mondo dopo Hollywood e Bollywood). Ogni tanto ne compro uno, ma sono abbastanza inguardabili.

Ieri ha visto appeso in ufficio un poster della famiglia Obama e mi ha detto: “Obama vuole solo diventare ricco”. Ho risposto “Ma nooo, dai, non ci speri neanche un po’?” E lui: “Sai che da noi in Nigeria c’è una corruzione che si fanno i contratti per le percentuali che devono andare ai politici negli affari pubblici?” Ho risposto “Sì, ma penso che a Obama interessi di più passare alla storia con un ricordo positivo, migliore se non altro di Bush” e lui: “Sì, Bush aveva la famiglia implicata negli affari del petrolio, ma Obama… Obama è africano, non dimenticarlo, e un politico nero non può non essere corrotto”.

Mi ha gelata così. Improvvisamente è suonato il telefono, ho pagato in silenzio i miei fazzoletti e lui se ne è andato in fretta. Ma la prossima volta devo assolutamente proseguire il discorso.

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14 luglio 2009

Le parole di Obama in Ghana, c’è chi le aveva già dette

Tanto per cominciare, ha detto che nelle sue vene scorre sangue africano, e che in lui si uniscono la tragedia e la vittoria dell’Africa. La tragedia appartiene soprattutto al nonno, un keniano che lavorava come “boy” per i colonialisti britannici, e che fu imprigionato perché lottava contro il colonialismo. Ha precisato che non era un grande eroe (“era nella periferia della lotta di liberazione del Kenya”), per dire che era un uomo comune che faceva la sua parte. Un primo messaggio.

Nella vita di suo nonno, ha continuato, “il colonialismo non è stato solo la creazione di un confine innaturale o condizioni ingiuste per il commercio, è stato qualcosa di sperimentato personalmente, giorno dopo giorno, anno dopo anno.” Il che equivale a dire: so di cosa parlo.
E anche la storia di suo padre, da pastore in un villaggio a studente in una università americana, è emblematica di un momento di grandi speranze per l’Africa.

Insomma, a Barack appartiene la vittoria, ma anche la tragedia, perché ha vinto risalendo da una situazione personale e famigliare estremamente sfavorevole, in una epopea entusiasmante che tutti conosciamo.

Dopo questo inizio, azzeccatissimo per tagliare le gambe a ogni contestazione, ha pronunciato una serie di constatazioni chiare e coraggiose, che il discorso terzomondista non si azzarda mai a fare emergere.

Le parole di Obama sono state accolte come incredibilmente nuove, ma io le avevo già sentite tante volte. Le hanno dette Soni Labou Tansi, Ahmadou Kourouma, Nuruddin Farah, Ken Saro-Wiwa, Wole Soyinka nei loro romanzi e racconti pubblicate soprattutto negli anni 80. Le hanno scritte chiaramente, senza nessun distinguo o premessa o captatio benevolentiae. Africani che parlavano agli Africani e denunciavano che la responsabilità dei mali presenti dei loro paesi era degli Africani che avevano potere (un qualsiasi straccio di potere: politico, poliziesco, economico…) e lo usavano per il loro vantaggio invece che per quello del popolo.

Ma incredibilmente questo punto di vista non è mai passato nel discorso corrente sulla situazione del continente africano. E questo ha avuto conseguenze gravissime nella presa di responsabilità concreta da parte delle élite africana.
Adesso che è uscito dalla bocca di Obama, forse le cose cambieranno… Intanto, appaiono improvvisamente decrepite le star degli aiuti Bob Geldof e Bono Vox.

Faccio qui solo un elenco dei concetti espressi da Obama, come promemoria.
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10 luglio 2009

Obama va in Africa

Oggi Obama va in Africa. Io sono nel gruppo di quelli che ancora si entusiamano per lui, insomma non mi ha ancora deluso. Se devo dire la verità, in questi giorni ha fatto un po’ troppi sorrisi al padrone di casa del G8. Ma bisogna sempre pensare a chi c’era prima, e a cosa ha combinato.

Quindi, mi sembra bello godermi la prima visita in Africa di un Presidente di origine africana (Obama è un americano di origine immigrata di seconda generazione! Se Maroni ci pensa un attimo su, lo espelle).

Segnalo due articoli interessanti. Uno di Giovanni Carbone sul nuovo ottimo sito di informazioni sull’Africa, Afronline. Carbone si chiede perché Obama abbia scelto il Ghana, che non ha petrolio e demograficamente non è molto importante. Si risponde che praticamente, dovendo avere un partner simbolico dal punto di vista della rispettabilità democratica e del rilancio economico, non c’era molta scelta. Le elezioni presidenziali di dicembre 2008 si sono svolte democraticamente: dopo due mandati, John Kufuor ha deciso di rispettare la Costituzione e di ritirarsi. Il candidato dell’opposizione, John Atta Mills, ha vinto per pochi voti, e il partito al governo ha riconosciuto questa vittoria. Una situazione che in Africa è rara, basti pensare a quanto successo alle ultime elezioni in Zimbabwe e in Kenya.

Un altro articolo che fa il punto sulla visita lo si trova su Nigrizia. Loro mettono in evidenza un altro motivo secondo me importante nel determinare la scelta del Ghana. E’ un paese simbolo della tratta degli schiavi e la diaspora africana residente negli Stati Uniti lo ha recentemente scoperto come luogo per il cosiddetto “turismo delle origini”.

Tanto che nel 2006 hanno rinominato il ministero del turismo “Ministry of Tourism and Diaspora Relations” e nei depliant turistici, oltre alle bellezze naturali e alla “cultura tradizionale”, si nomina sempre la “tratta negriera”. Obama visiterà Cape Coast, antica capitale e scalo delle navi schiaviste, da dove migliaia di africani sono stati portati nelle Americhe.

Nel nostro ultimo numero 65-66 su Africa: turismo e patrimonio c’è un interessante articolo di Gaia Delpino dal titolo “Il turismo delle origini. Esperienze di incontro con la diaspora nera in Ghana”.

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