Da tempo il termine razza è praticamente scomparso dalla terminologia scientifica perché non è applicabile a una specie geneticamente omogenea come quella umana. Gli studi genetici hanno infatti dimostrato l’assenza di veri e propri confini biologici tra le diverse popolazioni, ma eliminare il fondamento scientifico del concetto di razza non è stato sufficiente a sbaragliare il razzismo che dal piano biologico si è spostato a quello culturale. La supposta superiorità dell’uomo bianco, non più dimostrabile a livello genetico, è stata quindi sbandierata in nome del differente grado di sviluppo a cui la “civiltà bianca” sarebbe arrivata rispetto alla “civiltà nera”. Ma la storia ha già insegnato che percepirsi superiori genera mostri.
Oggi, 21 marzo, si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali, indetta dall’ONU in ricordo del massacro di Sharpeville del 1960, la giornata più sanguinosa dell’apartheid in Sudafrica: durante una pacifica manifestazione di protesta contro l’introduzione dell’Urban Areas Act, il provvedimento che imponeva ai cittadini neri di esibire uno speciale permesso nelle aree riservate ai bianchi, la polizia sudafricana aprì il fuoco sulla folla dei dimostranti, uccidendo 69 persone. Il comportamento della polizia venne denunciato da una speciale commissione d’inchiesta come eccessivo impiego della forza contro una folla disarmata e I’operato del Governo sudafricano venne ufficialmente condannato dalle Nazioni Unite.
In occasione di questa ricorrenza l’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità, organizza eventi in tutta Italia e a Torino si svolge il convegno centrale dell’intera Settimana d’Azione contro il Razzismo ovvero la Presentazione nazionale dello Shadow Report 2012-2013 della Rete Europea contro il razzismo (ENAR), a cura del CIE, Centro d’Iniziativa per l’Europa del Piemonte, che vedrà la partecipazione del Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz.
Buona giornata a tutti, all’insegna del colore arancione!
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Il 3 gennaio si giocava un’amichevole di calcio a Busto Arsizio: Pro-Patria, la squadra locale, contro Milan. A un certo punto Kevin Boateng, disgustato dagli insulti razzisti dei tifosi locali, tirò una pallonata verso il pubblico, si levò la maglia e se ne andò. La notizia fece il giro del mondo.
Oggi Kevin Boateng è stato invitato a parlare alla sede dell’ONU a Ginevra in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali. Ha detto parole di circostanza, un po’ prevedibili. Ma tutti sanno che il discorso più significativo lo ha fatto tirando quel calcio e rifiutandosi categoricamente di continuare la partita, dimostrando che non si può accettare di “esibirsi” mentre alcune (sì, anche se solo alcune) persone pronunciano liberamente parole razziste.
Questo gesto mi ha ricordato un altro momento di questa forse utopica marcia verso “l’eliminazione delle discriminazioni razziali”: la premiazione degli statunitensi Tommie Smith e John Carlos e dell’australiano Peter Norman durante le Olimpiadi di Città del Messico del ’68. Ascoltando l’inno nazionale a testa bassa, Smith e Carlos alzarono il pugno avvolto in un guanto nero a sostegno del movimento denominato Olympic Project for Human Rights (Progetto olimpico per i diritti umani). Subirono sanzioni e critiche per quella coraggiosa protesta. Come quella di Boateng, una protesta scorretta secondo i regolamenti sportivi, ma capace di colpire l’immaginazione come solo lo sport a volte riesce a fare.
Smith aveva battuto il record del mondo dei 200 metri, scendendo per la prima volta sotto i 20 secondi (19″ 83). Il suo record rimase imbattuto per 11 anni, finché nel 1979 Pietro Mennea scese a 19″ 72 sempre a Città del Messico. Mennea, che se ne è andato oggi.