29 novembre 2022

Etiopia: il Tigray dimenticato. Mostra fotografica di Coralie Maneri

A Firenze dal 7 al 13 dicembre si terrà la mostra fotografica dal titolo Etiopia: il Tigray dimenticato di Coralie Maneri con scatti sul tema dell’approvvigionamento idrico delle popolazioni nella regione del Tigray. Le immagini in mostra, antecedenti alla guerra civile iniziata nel novembre 2020, sono la testimonianza vissuta sul campo della quotidianità di un popolo che vive con grande fierezza ed umiltà in un territorio estremamente aspro e difficile.
L’inaugurazione della mostra si terrà presso la Fondazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia, via Ghibellina 12, Firenze, il giorno mercoledì 7 dicembre dalle ore 18 alle 20.30.

Orari mostra:
Giovedì 8, venerdì 9, sabato 10, domenica 11 dicembre: 11.00 – 20.30
Lunedì 12, martedì 13 dicembre: 16.00 – 20.30

PATROCINI E SPONSOR
Con il patrocinio di: Regione Toscana, Comune di Firenze, IAH-BGID, IAH-SHG, ECHN-Italy, Società Geologica Italiana, Consiglio Nazionale dei Geologi, Università di Firenze e Museke Onlus.
Con il contributo di: Acquifera APS e IAH-Italy.

unnamedCoralie Maneri, fotografa autodidatta italo-svizzera, si dedica ad oggi soprattutto a progetti sociali nei paesi in via di sviluppo come fotografa freelance. In Etiopia documenta da più di 10 anni la realizzazione di pozzi d’acqua, scuole rurali ed health post, in particolar modo nel territorio del Tigray tramite la Fondazione Butterfly onlus.

Queste immagini sono la testimonianza vissuta sul campo della quotidianità di un popolo che vive con grande fierezza ed umiltà in un territorio estremamente aspro e difficile.  Gli scatti si fermano a novembre 2020, momento nel quale, ong, giornalisti e fotografi sono stati interdetti dalla zona di guerra che dura da più 2 anni.

Viene da chiedersi il perché alcune notizie di guerra e di crimini contro l’umanità siano più degne di attenzione rispetto ad altre. Giornalisticamente sembrerebbe essere importante il concetto di “morto chilometrico” in quanto i media sembrano attribuire importanza alle vittime di una tragedia in base alla distanza che le separa dallo spettatore, dall’ascoltatore o dal lettore.

Il dizionario definisce la parola Umanità come “l’insieme di uomini” in quanto sottoposti alle limitazioni della natura umana; oppure ancora “l’intero genere umano” senza fare alcuna allusione al colore della pelle.

È necessario che l’intera società occidentale non cada nel tranello dei media e dei poteri forti che, per ovvi interessi economici, distolgono l’attenzione da guerre lontane dai nostri occhi (59 guerre in corso sul pianeta nel 2022), e inizi ad occuparsi realmente di “crimini contro l’umanità” al di fuori delle barriere che ci vogliono separare dalla realtà che ci definisce tutti, indistintamente “esseri umani”.

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17 giugno 2021

Richard Mosse, fotografo dell’invisibile

Di Sandra Federici

Sono ricominciati gli eventi al MAST, museo privato diventato ormai fondamentale per la vita culturale della città di Bologna.
L’occasione è la mostra Displaced di Richard Mosse, autore irlandese già presente nella collezione del museo con alcune foto, intorno alle quali la Fondazione MAST ha costruito, con una grande intuizione, la prima mostra antologica mai dedicata a questo autore, affidandola alla curatela di Urs Stahel.

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Fotografo quarantenne formatosi con studi in Letteratura inglese e Cultural studies, ha iniziato la sua attività di fotografo in Palestina, Iraq e al confine tra Messico e USA (e anche questi Early works sono presentati in mostra). La sua notorietà è cresciuta notevolmente con il lavoro svolto fra il 2010 e il 2015 durante le guerre nella Repubblica Democratica del Congo, da cui deriva la serie Infra, già presentata alla Biennale di Venezia del 2013 e di cui come Africa e Mediterraneo abbiamo parlato (n.78, anno 2013), tanto che il giovane fotografo ci regalò una iconica foto per la copertina.

aem_78Anche la videoinstallazione The Enclave racconta queste zone del Congo, mostrando su diversi schermi non sincronizzati persone in festa, bambini curiosi e giovani armati fino ai denti filmati durante un momento di festa comunitaria.

Fin dal principio della sua ricerca, l’artista ha lavorato sul tema della visibilità, sul modo in cui siamo abituati a vedere, pensare e intendere la realtà. I luoghi devastati dalla guerra sono fotografati e filmati con l’utilizzo di tecnologie di derivazione militare, che stravolgono la rappresentazione fotografica, creando immagini che colpiscono per la loro estetica, ma al contempo suscitano una riflessione. Con l’utilizzo della pellicola Kodak Aerochrome, che registra la clorofilla presente nella vegetazione, si crea una colorazione rosa-fucsia con effetto surreale e che ha reso da subito estremamente riconoscibile il lavoro di Mosse.

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L’esposizione, visitabile gratuitamente su prenotazione fino al 19 settembre 2021, è arricchita da alcune conferenze sui temi trattati: “migrazione, conflitto e cambiamento climatico”. Stefano Allovio, docente di Antropologia culturale all’Università Statale di Milano, nel suo talk del 27 maggio, con il quale il MAST ha ricominciato gli eventi in presenza, ha ripercorso la storia del Congo-Zaire. Si è soffermato in particolare sulla disgregazione socio-politico-amministrativa degli anni Novanta, in cui si possono individuare le principali cause dei conflitti su cui ha lavorato Mosse, ora divenuti endemici. Attraverso il racconto di alcune esperienze vissute personalmente durante i suoi “terreni di ricerca” in questi difficili luoghi, ha completato il discorso sottolineando la capacità di resilienza della popolazione congolese, la creatività sociale ed economica da lui sempre osservata nella sua ricerca.

Nella mostra, il cui allestimento è stato seguito dall’autore, le fotografie di grande formato e i video generano un percorso unico in termini di impatto visivo e sonoro, capace di rovesciare il modo in cui rappresentiamo e percepiamo la realtà. In particolare, i 16 video dell’installazione Moria (Grid), girati con termografia ad infrarosso, rivelano i particolari della vita nel tristemente famoso campo profughi sull’isola greca di Lesbo.

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Notevole anche la videoinstallazione Incoming, realizzata con l’uso della termocamera, che dà un segno scuro tanto più l’oggetto filmato emette calore. Anche quest’opera è incentrata sulla questione migratoria, presentandoci da una parte le meticolose operazioni di partenza di un aereo caccia militare in Siria, in cui la perfetta organizzazione, la tecnologia e la collaborazione tra gli uomini sono messi in campo per fare partire uno strumento di morte, e dall’altra le “consuete” immagini degli sbarchi di migranti. Queste scene viste decine di volte, rappresentate con questo accostamento e con questa tecnica diventano sorprendentemente inedite ed emozionanti, quasi ipnotiche.

Si vede qui un’immagine che a mio parere è il cuore della mostra. Scorrono le immagini lente delle varie operazioni di sbarco e accoglienza di naufraghi. Una persona è sdraiata, immobile, evidentemente stremata. Un’altra persona, forse un soccorritore, le friziona la schiena coperta da un lenzuolo, per scaldarla: la telecamera registra il calore della mano, scuro, sul lenzuolo bianco. Ecco, Mosse filma e ci presenta l’invisibile, quello che non potremmo vedere a occhio nudo o con strumenti normali: l’universale e il concreto del calore di una mano che sta dando aiuto.

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15 maggio 2019

Al Festival delle Culture di Ravenna una mostra che racconta l’immigrazione

Si chiama Tracce Migranti. Nuovi paesaggi umani il libro collettivo curato da Maurizio Masotti, che raccoglie testi e fotografie sui movimenti migratori a partire dal 1998 nella provincia di Ravenna, ma anche sui passaggi di migliaia di persone attorno a Ventimiglia verso la Francia, e gli accampamenti dei lavoratori stranieri in Calabria. I testi sono di Carla Babini, Francesco Bernabini, Marina Mannucci, Maurizio Masotti e Paolo Montanari, mentre le fotografie sono del fotografo ravennate Luca Gambi e del reporter Luciano Nadalini, fotografo della cronaca bolognese e di complesse situazioni sociali in Palestina, nei Balcani, nei Paesi Baschi (Spagna), in Medio Oriente, in Africa, in Centro America.

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(Foto di Luca Gambi)

Si inaugurerà una mostra fotografica di questo progetto mercoledì 15 maggio 2019 alle 18.30 al Palazzo Rasponi (via D’Azeglio 2) a Ravenna all’interno del Festival delle Culture, e sarà possibile visitarla fino al 26 maggio. Un appuntamento di confronto sul tema dell’immigrazione, attraverso una selezione delle immagini che si trovano nel volume, e che raccontano modelli di integrazione e inclusione sociale sulla base di esperienze e testimonianze.
Ad esempio, Marina Mannucci testimonia un’interessante esperienza didattica che ha coinvolto un gruppo di bambine e bambini rom al Centro Quake di Ravenna, e che l’ha portata a una riflessione sul ruolo della scuola nell’integrazione delle famiglie immigrate e sulla necessità di ripensare la pratica didattica in nome del pluralismo interculturale. Luca Gambi, invece, riporta alcune fotografie scattate tra giugno e luglio 2018 in un luogo emblematico come la baraccopoli di San Ferdinando (Calabria), dove viveva Soumaila Sacko, il giovane sindacalista del Mali ucciso il 2 giugno. Una sezione iniziale del libro presenta invece le foto di alcuni bambini scattate da Luciano Nadalini alla scuola elementare Iqbal Masih a Lido Adriano. Queste foto fanno parte di un suo progetto del 2000 intitolato Ravenna – immigrazione: un mondo a parte?, che esplora i luoghi di vita, di studio, di lavoro e cultura delle varie comunità immigrate nella provincia romagnola.

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(Foto di Luciano Nadalini)

Tracce migranti è, quindi, un tentativo di analizzare i profondi mutamenti avvenuti negli anni nella società, con particolare riferimento alla scuola e al mondo del lavoro, e con uno sguardo alle nuove generazioni che aspettano di essere inserite pienamente nel tessuto sociale del nostro Paese, in un contesto politico spesso ostile.
Libro e fotografie saranno protagonisti dello spazio espositivo Pr2 al Palazzo Rasponi, e i proventi della vendita del libro andranno a sostenere sia UNHCR sia l’Onlus ravennate che opera in Senegal Amici di Lourène.

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(Foto di Luciano Nadalini)

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17 gennaio 2019

I proverbi africani. Un viaggio tra antropologia e fotografia

I proverbi appartengono a tutti i continenti e a tutte le culture, e possono essere utilizzati per diversi motivi sociali, culturali, etici: ad esempio, possono essere formule verbali per risolvere discussioni collettive, moniti che richiamano alla consuetudine, oppure possono avere una semplice valenza narrativa. I proverbi sono, infatti, strutture del linguaggio che hanno una potente forza oratoria e arricchiscono il discorso, introducendo immagini dalla forte carica espressiva e metaforica. Le fotografie di Marco Aime, uno dei maggiori e più influenti antropologi italiani e docente all’Università di Genova, sono accompagnate, infatti, da queste brevi forme linguistiche appartenenti alle culture africane, e sono raccolte nel libro Il soffio degli antenati. Immagini e proverbi africani (Einaudi, Torino 2017).

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Durante i suoi viaggi in Mali, Ghana, Benin, Malawi, Tanzania, Congo e Algeria, Aime ha realizzato una serie di immagini che evocano alcuni aspetti fondamentali del mondo africano: la vecchiaia, la solidarietà, la famiglia, l’amicizia. Il titolo del libro, ispirato ai versi di Birago Diop, poeta senegalese che aderì al movimento della negritudine, indica la volontà di catturare e reinterpretare una tradizione antica attraverso l’icastica saggezza dei proverbi. Al Museo Africano di Verona è ospitata invece una sua mostra fotografica (27 dicembre 2018 – 31 gennaio 2019, organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova) intitolata Afriche: volti e proverbi, che racconta gli incontri del fotografo con i luoghi e le persone che rimangono ancorati a simboli, leggende e storie che scandiscono le loro esistenze da millenni.

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Aime fa compiere al visitatore un viaggio nella complessità e diversità del continente attraverso settantasette scatti in bianco e nero, tentando di restituirne la vitale bellezza attraverso il patrimonio culturale orale delle tradizioni africane. Si sviluppa così poeticamente una narrazione di microstorie, spesso riassunte nel volto di un bambino o in un luogo carico di mistero, dove i proverbi, come spiega l’antropologo, «vengono dal passato e forse rappresentano l’ultimo soffio di una storia che finisce, ma la cui forza evocativa sopravvivrà ancora, se sapremo ascoltarli».

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03 aprile 2018

Per un’arte trasversale. Design e fotografia nella mostra AfricaAfrica

L’Africa non è solo uno spazio geografico, ma una pluralità di immaginari, culture, temporalità. Crescono in un’ottica transnazionale riviste, esposizioni, mostre, pubblicazioni, istituzioni che ne fanno il proprio orizzonte di riferimento: la stessa definizione di arte o cultura “africana” si svuota di significato nel momento in cui si attiva un’interazione e una contaminazione tra comunità creative differenti. Ad esempio, il progetto di Palazzo Litta Cultura a Milano si pone l’obiettivo di valorizzare la trasversalità delle visioni artistiche, portando sulla scena contemporanea realtà culturali apparentemente lontane come il Giappone e, appunto, l’Africa subsahariana.

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(Nyanye, Osborne Macharia)

Con la mostra AfricaAfrica, exploring the Now of African design and photography, dal 15 marzo al 2 aprile 2018, e patrocinata dall’Ambasciata della Costa d’Avorio, dal Consolato del Sudafrica e dal Consolato del Burkina Faso, la fotografia e il design di artisti africani hanno offerto in questo spazio italiano un’estetica e un linguaggio che vogliono essere dinamici e interdisciplinari: non riguardano, come riferisce Maria Pia Bernardoni – curatrice dei progetti internazionali di LagosPhoto Festival – «solo il continente ma hanno una risonanza globale».

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(Chair Recycled Arms, Gonçalo Mabunda)

Questa esposizione, dunque, ideata da MoscaPartners e MIA Photo Fair Projects, si è articolata in 40 progetti di design e 55 opere fotografiche che si sono prestate a una narrazione collettiva, ad esempio, sugli eventi storici di guerra e devastazione nelle installazioni di Gonçalo Mabunda, dove proiettili, pistole, bombe e armi recuperati nel 1992 alla fine della guerra civile in Mozambico, diventano mobili e scultore antropomorfe; uno sguardo fantastico a un problema urgente è stato dato invece dall’afrofuturista Osborne Macharia, le cui immagini si sono concentrate su un gruppo di ex circoncisori femminili; la fotografa ivoriana Joana Choumali ha esplorato i paesaggi della migrazione e ha offerto ritratti di donne che vacillano tra naturalezza e bellezza convenzionale; le tinte e la fantasia dei tessuti africani sono stati presentati dallo storico marchio olandese Vlisco.

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(Adorn, Joana Choumali)

Cifre tecniche, stilistiche e tematiche si sono incrociate sperimentando un pensiero aperto alle pluralità e alle possibilità. Porre la questione della trasversalità creativa significa attuare nuove forme di conoscenza e di soggettivazione, oltre che attivare un processo di riorganizzazione sociale intorno a un’estetica capace di pensare e pensarsi al di fuori delle definizioni restrittive: in questo modo, si può pensare alla differenza in termini di risorsa e vantaggio per lo sviluppo intellettuale e culturale.

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(Vlisco Fabric)

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12 maggio 2017

La fotografia in Africa

L’arte e la cultura sono componenti fondamentali per lo sviluppo individuale e sociale perché sono legate alla creatività, stimolano il dialogo interculturale, influenzano il cambiamento, sostengono identità positive: questo è l’approccio di Africalia, associazione del governo belga che si occupa di sostenere la produzione culturale contemporanea in Africa.

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(Mustache Mupwanya, Repubblica democratica del Congo)

La stessa fotografia fa parte di questi processi perché fotografare è esprimere una visione del mondo, è mettere a fuoco la propria idea per raccontare la realtà. Ma purtroppo esistono poche scuole di fotografia in Africa. Per affrontare questa sfida, Africalia ha così organizzato a Dakar dal 13 al 17 febbraio 2017 una masterclass sul Creative Photography per rafforzare la capacità dei fotografi africani di catturare immagini che sono espressione delle loro identità e delle loro idee. Hanno presentato domanda 85 persone, tra queste sono stati scelti 15 fotografi promettenti, e il gruppo comprende anche diverse donne. Questi giovani fotografi provengono da paesi differenti dell’Africa sub-sahariana e sono stati selezionati in base alla loro motivazione, la loro storia, il loro livello tecnico e il loro punto di vista fotografico.

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(Gosette Lubondo, Repubblica democratica del Congo)

Ad esempio, sono molto interessanti le fotografie di Gosette Lubondo che hanno un carattere visionario e di forte impatto sociologico: esse illustrano la condizione femminile nel continente, situando le donne in uno spazio che vacilla tra assenza e presenza. La condizione dei bambini, i limiti e i sogni dell’infanzia invece sono raccontati da Mustache Mupwanya in un’ottica inquieta. Questi partecipanti hanno già una certa esperienza nel campo della fotografia, e questa formazione è stata per loro un’occasione di approfondimento per evolvere in termini di tecnica e di contenuto.

Per maggiori informazioni: www.masterclasse.africalia.be

 

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09 maggio 2012

L’Open City Museum: momenti di vita fra Cina e Alto Adige.

Il Comune di Bressanone, con la Provincia Autonoma di Bolzano e il Museo Diocesano di Bressanone, hanno organizzato una mostra di fotografia e video proiezione con l’obiettivo di condurre il pubblico in un singolare viaggio fra Cina e Alto Adige, dove un cosmo di relazioni si incontrano e si arricchiscono reciprocamente.

L’iniziativa, organizzata nell’ambito del progetto interculturale d’arte Open City Museum e curata dalla promotrice culturale Martha Jiménez Rosano, avrà luogo il 18 maggio, alle ore 18, presso il Cortile del Museo Diocesano di Bressanone, e presenterà opere del fotografo brissinese Giovanni Melillo Kostner, dell’artista cinese Lei Lei e del collezionista francese Thomas Sauvin.

Giovanni Melillo Kostner dal 2007 porta avanti un’interessante ricerca sui fenomeni migratori e sulla costruzione dell’identità culturale nell’ambito della rassegna “Verso nuove culture”, all’interno della quale si inserisce anche il lavoro “Fortuna, vieni da me!”, che sarà presentato alla mostra e che contiene momenti di vita quotidiana di persone d’origine cinese residenti in Alto Adige.

Grazie al lavoro di reperimento e restauro di Thomas Sauvin, la mostra costituirà un’occasione unica per vedere in anteprima il progetto d’archivio della memoria cinese “Beijing Silvermine”, con una selezione di immagini della capitale cinese e della vita dei suoi abitanti negli ultimi trant’anni e la proiezione di una video-animazione realizzata in collaborazione con l’artista cinese Lei Lei. Il lavoro completo sarà presentato nel mese di ottobre presso il Festival Internazionale di Fotografia di Singapore.

Giovanni Melillo Kostner ha pubblicato alcune foto nel dossier 72-73 di Africa e Mediterraneo sulle “Sfide della mediazione interculturale”  e ha contribuito, tra gli altri, alla produzione del materiale fotografico contenuto nell’handbook “Comunicare l’immigrazione”, curato da Lai-momo e Idos.

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06 ottobre 2011

La Fiera del design e delle idee africane: Maker Faire Africa

Sarà inaugurata oggi la “Maker Faire Africa”, una Fiera del design e delle idee africane che darà visibilità a nuove tecnologie e opere africane create localmente con l’obiettivo di risolvere le quotidiane sfide di sviluppo, oltre che esporre numerose innovazioni, presentate direttamente dagli inventori.

Quest’anno Maker Faire Africa si terrà al Cairo, in Egitto, dove diversi “creativi” Egiziani e Africani si incontreranno per tre giorni per esibire concreti esempi di spirito di inventiva nel tentativo di far incontrare le proprie invenzioni con il mercato e con l’obiettivo principale di individuare, stimolare e sostenere l’innovazione locale.

Molto interessante anche il sito internet della fiera che, dalla sezione “Our makers”, rimanda ad un database (http://matchamaker.info) nel quale si possono trovare i profili dei vari autori creativi (suddivisi nei settori Design, Arti e artigianato e Ingegneria) e vedere le proposte della Maker Faire Africa dello scorso anno, tenutasi a Nairobi. Gioielli, occhiali con oggetti riciclati, giochi per telefono cellulare, latrine ecologiche: queste sono solo alcune delle proposte dei creativi

africani, che nella loro pagina scrivono anche quello di cui hanno bisogno (per esempio un’azienda per sviluppare l’idea, un metodo di distribuzione…etc.)

Per maggiori informazioni http://makerfaireafrica.com

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22 settembre 2011

“Les ateliers pARTage (LAP1) : L’art crée du lien”

Africa e Mediterraneo e Lai-momo erano presenti venerdì sera 16 settembre  all’inaugurazione della mostra “Les ateliers pARTage (LAP1) : L’art crée du lien” tenutasi a Watermael-Boitsfort, un quartiere alla periferia di Bruxelles, organizzata dal centro culturale La Vénerie.

Di fronte a una folla di abitanti del posto, gli artisti Blaise Patrix e Michel Gelinne hanno presentato il progetto “Les ateliers pARTage 1”, co-finanziato dalla Commissione Europea, e hanno aperto le porte all’installazione situata al centro della piazza di Watermael-Boitsfort,

La mostra è il frutto del lavoro svolto durante laboratori fotografici tenuti da Michel Gelinne all’interno del quartiere da marzo a giugno 2011. A ogni partecipante (adulti e ragazzi) era stata data una macchina fotografica e ognuno era stato seguito nel percorso di apprendimento dell’arte fotografica in uscite di gruppo mirate ad esplorare e scoprire i luoghi dell’area urbana, un modo originale per riappropriarsi degli spazi abitativi e del mondo circostante.

All’interno di una struttura cubica formata da teli cerati stampati con dettagli delle fotografie realizzate, dall’aspetto di una casa, c’era la proiezione di tutte le fotografie scattate durante i laboratori e un rullo di una tela luminosa sul quale era stampato un collage delle foto.

Una piacevole sensazione era data dall’entrare nell’installazione assieme ai residenti di Watermael-Boitsfort e ascoltare i loro commenti di fronte alle immagini di luoghi da loro conosciuti.

- “Dove si trova quello stabile?”-

- “Ma è l’edificio abbandonato che si trova in quella via.”

- “…ma guarda! Quello è il pollo di gomma che vendo nel mio negozio!”.

L’obiettivo del progetto di creare opere d’arte nelle quali le persone si possono riconoscere è stato centrato in pieno. La visita della mostra faceva immergere lo spettatore nell’atmosfera del quartiere e il contatto con quella porzione di società lo faceva quasi sentire parte di quel mondo. Pur non conoscendo quella specifica realtà il visitatore poteva sentire di condividere un territorio attraverso l’arte.

La mostra è rimasta aperta al pubblico nelle giornate di sabato 17 e domenica 18 settembre.

Il progetto LAP1 prevede in futuro le seguenti mostre che esibiranno i lavori artistici tenuti dagli altri partner del progetto:

- 7 e 8 ottobre a Oulu, Finlandia, organizzata da Kulttuurivoimala – Culture Power Station Ry

- 22 ottobre a Calderara di Reno, Italia, organizzata da Lai-momo soc. coop.

Inoltre a maggio 2012 si terrà un convegno finale del progetto a Bruxelles, nel quale verrà presentato il progetto, la sua realizzazione e i risultati raggiunti.

www.lesatelierspartage.com

www.lavenerie.be

www.kulttuurivoimala.fi

www.laimomo.it

Un altro progetto da menzionare è il Projet Shakespeare, un progetto socio-artistico portato avanti da La Vénerie e presentato in seguito alla presentazione di Les ateliers pARTage all’Espace Delvaux (sede di La Vénerie). È stato proiettato un filmato che raccoglieva momenti di quotidianità ripresi durante laboratori di drammaturgia, teatro, canto, sartoria teatrale, effettuati nel corso del 2010 e 2011 dagli operatori di La Vénerie, indirizzati ai gruppi di cittadini più ai margini della società come anziani, disabili, minoranze etniche. Questi percorsi formativi e soprattutto comunitari si sono poi uniti in un unico spettacolo conclusivo aperto al pubblico.

Paola Martini

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19 settembre 2011

Crossing viewpoints: nuova scadenza per l’Euromed Heritage photo competition

in: Cultura

Il progetto finanziato dall’Ue “Euromed Heritage IV”, ha posticipato la data di scadenza per la partecipazione al concorso “Crossing Viewpoints: Mediterranean cities as spaces of socialisation”; una competizione fotografica alla quale possono partecipare tutti i fotografi appartenenti a uno dei Paesi dell’area del Mediterraneo, nonché i cittadini dei paesi membri dell’Unione europea.

La nuova data di scadenza per la presentazione dei lavori si protrae fino al 15 ottobre 2011. Il concorso ha come obiettivo principale quello di promuovere il patrimonio culturale dell’area Euro- Mediterranea, sensibilizzando l’opinione pubblica e favorendo una maggiore consapevolezza della propria eredità culturale.

Per maggiori informazioni: www.enpi-info.eu

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