12 dicembre 2013

Meglio ibride che etniche: le imprese degli immigrati in Emilia Romagna

Nell’immaginario collettivo gli immigrati sono lavoratori subalterni che svolgono mansioni poco qualificate, i cosiddetti “lavori che gli italiani non vogliono più fare”. In realtà però, sono in aumento gli imprenditori stranieri nel nostro paese e nella nostra regione, l’Emilia Romagna. Un recente studio realizzato dal Dipartimento di economia e dal Centro universitario per la cooperazione internazionale dell’Università degli Studi di Parma ha analizzato il fenomeno. Qui vi proponiamo un estratto dell’articolo, pubblicato sul numero 78 di Africa e Mediterraneo, “Non solo etnico: un nuovo sguardo all’imprenditoria degli immigrati in Italia” in cui Alessandro Arrighetti, Daniela Bolzani e Andrea Lasagni sintetizzano i risultati dello studio svolto.

Foto di Gilda Tramontana

A fronte di un netto calo del tasso di natalità delle imprese fondate da italiani, il numero di nuove imprese gestite da immigrati in Italia è in costante crescita. Oggi le imprese cosiddette “etniche” sono in grado di fornire nuove tipologie di servizi e di estendere la varietà dei prodotti disponibili, anche sui mercati a cui accedono gli autoctoni.[…]

I dati contenuti nel nostro lavoro sull’imprenditoria immigrata in Emilia Romagna mostrano che, all’aumento della complessità organizzativa e alla varietà delle strategie adottate, cresce anche l’apertura dell’impresa a soggetti (clienti, fornitori, soci, dipendenti), provenienti da comunità diverse da quelle di origine dell’imprenditore. Si è scelto di utilizzare il concetto di “ibridismo culturale” per descrivere le imprese gestite da soci di diverse nazionalità o in cui lavorano dipendenti provenienti da paesi differenti. Il risultato è che le imprese connotate da ibridismo culturale non sembrano mostrare strategie e comportamenti riconducibili alla fragilità e alla marginalità.

Le imprese con connotazioni “ibride” risultano caratterizzate da un orientamento molto marcato verso il consumatore italiano e da una offerta di prodotti e servizi non-etnici ad una popolazione di clienti in prevalenza non co-etnica. Tali imprese, inoltre, dopo la fase di start up, hanno ricevuto un supporto esplicito da amici e conoscenti, da consulenti e professionisti italiani. Si tratta, quindi, di figure esterne alla comunità di origine e derivanti da legami sociali e contatti sviluppati in Italia nel corso del tempo. Infine, le interviste presso le imprese “ibride” hanno permesso di evidenziare una migliore conoscenza della lingua italiana rispetto alle altre imprese gestite da immigrati.[…]

In conclusione, possiamo affermare che l’impresa etnica sta diventando non soltanto un’importante realtà economica, ma anche un nuovo fulcro di scambio e di integrazione tra individui appartenenti a diverse comunità e depositari di relazioni e conoscenze molteplici e stratificate. In questo senso, l’impresa etnica deve essere considerata un fattore importante per la coesione sociale nel nostro paese.

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