17 luglio 2023

Il colore X

di Francesca Romana Paci

Dal 19 al 23 giugno 2023 presso la sala Bausch del Teatro Elfo Puccini di Milano è andato in scena Il colore X, uno spettacolo composto di tre pièce, scritte da tre differenti autori, prodotto dalla compagnia teatrale Animanera, fondata a Milano nel 2003 da Aldo Cassano, Natascia Curci, Antonio Spitaleri, e Lucia Lapolla, ma attiva e creativa in campo teatrale già da alcuni anni prima della fondazione ufficiale. Animanera ha una forte identità sociale, legata soprattutto al territorio di Milano e dintorni – ma universalizzabile – e ai problemi di rapporti, comunicazione, aspirazioni, sopravvivenza, e, implicitamente, speranza.
L’attività artistica della compagnia, in realtà, è talmente varia da sfidare classificazioni. I componenti del gruppo scrivono di sé: «Animanera insegue la forza evocativa delle immagini […]. Votata alla sperimentazione e alla ricerca, nell’ottica di interpretare e agire il politico, il sociale e il presente, […] [l]’urgenza della compagnia è sperimentare […].»

1958

Nei giorni seguenti le rappresentazioni di Land of Poetry al Teatro Nohma, lo zambiano Martin Llunga Chishimba ha recitato all’Elfo Puccini in tutte e tre le pièce del Colore X. Il titolo dello spettacolo – un bellissimo titolo unificante, ideato dal regista Aldo Cassano – suona intenzionalmente sommesso e nello stesso tempo rappresenta una dichiarazione di credo, principio e scopo. Qualcosa come, grossolanamente, “qualunque sia il colore, gli umani sono tutti uniformemente umani”. Il “colore”, si deve aggiungere, non è solo il colore della pelle, ma si può estendere a metafora di molto altro. Nella prima pièce, La panchina di Davide Carnevali, Martin Chishimba è co-protagonista con Yudel Collazo, cubano; nella seconda, L’uomo con gli occhiali di Greta Cappelletti è protagonista unico, nella terza, Mani blu, di Magdalena Barile, è co-protagonista con Kalua Rodriguez, anche lei cubana. Conviene dire subito che i tre attori, nessuno di loro evidentemente madrelingua, recitano in ottimo e duttile italiano. La regia è di Aldo Cassano, l’aiuto regia di Natascia Curci; le scene sono di Nani Waltz, i costumi di Lucia Lapolla, le luci di Giuseppe Sordi, il sound design di Antonio Spitaleri. Come si vede, il gruppo fondatore continua lavorare unito.

La prima pièce, La panchina, usa la parola “panchina” in almeno due o tre dei suoi significati contemporanei più frequenti: la panchina dove siedono i calciatori, pronti a essere chiamati per una sostituzione in campo; un sedile di veri o soi-disant calciatori; e la panchina come dimora di senzacasa – le situazioni cambiano quasi improvvisamente, senza alcun cambio di scena, solo un breve silenzio. I due attori, Chishimba e Collazo sono entrambi veramente molto bravi, capaci di muoversi su e intorno alla panchina, quasi unico arredo di scena, centrale e imperante; e capaci di adattare la voce alla fluttuazione del narrato e dell’argomentazione.
Nella seconda pièce, L’uomo con gli occhiali, Chishimba è protagonista unico. Recita in piedi davanti a un microfono posto al centro di un palcoscenico altrimenti vuoto. Vestito con eleganza casual, porta un vistoso e farsesco paio di occhiali rosa e violetti. Gli occhiali sono il segno della sua diversità, ma non per vistosità e colori, ma proprio in quanto “occhiali”, e quindi modificatori del visibile, per poi virare a una dimensione metaforica e diventare auto-modificatori individuali del vissuto; e, infine, per generare, o meglio causare un modo metastabile di porsi davanti ai rapporti umani. Chishimba entra nel personaggio con slancio e sottigliezza, mostrando una notevole abilità nel modulare la propria voce e il proprio corpo in nuances e innuendo. Il pubblico coglie i suggerimenti e, se vuole, li elabora.
Nella terza pièce, Mani blu, Rodriguez e Chishimba sono una madre e un figlio, che vivono in una situazione emarginata e disagiata, e mostrano pieghe del loro rapporto, insieme a quotidiani e reiterati tentativi passati e presenti di resistenza al loro stato. Lei sperava tutto per suo figlio – tutto nella forma di un inserimento se non prestigioso almeno borghese nella società; lui non ha raggiunto alcuno di quei traguardi: scrive messaggi salvifici sui muri; è omosessuale e probabilmente si prostituisce vestito da donna. Alla fine, la madre, che lo aiuta a vestirsi, pur soffrendo per i sogni inesauditi, gli dice «Come sei bella!»
Il titolo dello spettacolo, Il colore X, come sopra accennato, già di per sé dichiara la posizione di Animanera. Altrettanto importante il dato di fatto che la compagnia abbia scelto di ingaggiare tre attori neri, e nello stesso tempo renda palese con vari mezzi che tutti e tre potrebbero essere di qualunque colore – la natura umana è una. All’inizio, o meglio prima dell’inizio, una voce fuori scena proclama: «I due personaggi non sono neri – I due personaggi non sono bianchi – I due personaggi non sono blu – I due personaggi non sono gialli – I due personaggi non sono rossi». Il regista Aldo Cassano spiega che questo elenco deriva da una nota autoriale di Davide Carnevali a margine del copione della Panchina. L’autore, dunque, l’ha intesa come intrinseca alla sua pièce, ma la compagnia e il regista la leggono come appropriata e pertinente a tutte e tre le pièce, e decidono di adattarla e porla nella posizione vessillifera di introibo allo spettacolo in toto.
Perché, dunque, la scelta di tre attori neri? La risposta deve restare libera, ma la forza argomentativa della negritudine appare evidente, anche perché contiene una buona dose di pregresso intellettuale, di storia, di critica e di provocazione al presente.
In conversazioni private post-spettacolo, alcuni membri della compagnia hanno fatto notare come sia difficile trovare a Milano, e in Italia, attori neri. Nel caso particolare, Kalua Rodriguez, laureata, tra molto altro, in “Pedagogia teatrale” a Cuba, e diplomata della Scuola del Piccolo Teatro, vive vicino a Milano, dove lavora. Ha fondato e partecipa a varie iniziative teatrali di studio e ricerca, come il “Teatro utile” legato al Teatro Filodrammatici, privilegiando l’indagine e la critica sociale; recita in teatro; e insegna spagnolo all’Istituto Cervantes di Milano. Anche Yudel Collazo, attore, danzatore e studioso gravita su Milano; si laurea a Cuba come “Promotore e operatore teatrale”; lavora presso il Teatro Filodrammatici – con Kalua Rodriguez – e lavora come interno per il Teatro alla Scala. Di Martin Chishimba, attore, scenografo, coreografo, musicista, studioso e scrittore, si è già detto; vive e lavora in Zambia, nella città di Ndola, e, per lavoro, viene spesso a Milano, dove si è diplomato presso la Scuola del Piccolo Teatro. In breve, tutti e tre gli attori hanno curricula interessanti e prestigiosi, che ci impongono riflessioni, scomode, sulla società, sulla cultura e, come dice, proprio all’inizio dell’episodio di Proteo, Stephen Dedalus nell’Ulisse di James Joyce, sulla «Ineluttabile modalità del visibile» – il che, in realtà, è solo la punta dell’iceberg. Per inciso: si potrebbe qui, ma non è il momento, aprire un discorso sul teatro radiofonico e su come quel teatro comunica il visibile.

Il pubblico, ovviamente, può assistere allo spettacolo senza conoscere la vita e la provenienza degli attori, e abbandonarsi, come a diritto di fare, alla «sospensione dell’incredulità» (la «suspension of disbelief», teorizzata da S. T. Coleridge nella sua Biographia Literaria), ma lo scopo della compagnia Animanera è proprio quello di portare il pubblico a riflettere, insieme a loro, sulla situazione umana. Per ottenere quello scopo, però, è necessario non fermarsi mai, e, inoltre, portare il pubblico a teatro. Non è facile, perché il teatro nella nostra contemporaneità non è abbastanza frequentato e certamente non è abbastanza sostenuto dai poteri. Le iniziative, lo slancio, le idee, le sfide – pur non esenti da pecche – non mancano, quelle che spesso mancano sono le risorse economiche. E anche una più diffusa educazione teatrale e insieme più cultura storico-politica.

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