In Italia – forse in questo periodo più che mai – manca un terreno fertile per dialogare di migrazione partendo da angolature differenti. Eppure da più parti si sottolinea la necessità di andare oltre i classici stereotipi e cominciare a considerare tutte le dimensioni del fenomeno migratorio, magari a partire dalla sua importante funzione economica.
Le rimesse rappresentano il modo con cui i migranti iniettano risorse sui mercati del proprio Paese di origine. A differenza del passato, in cui ciò che riguardava migrazione non veniva associato ad alcun concetto di sviluppo, si assiste oggi ad un’inversione di tendenza e si guarda alle rimesse come elemento in grado di agire sulla disuguaglianza, sul mercato del lavoro, e sulla stratificazione sociale dell’area di origine.
Le rimesse, nonostante abbiano subito una decrescita a causa della crisi finanziaria degli anni scorsi, rappresentano ormai una fonte finanziaria globale e di crescita economica per diversi paesi, il cui potenziale purtroppo non è ancora pienamente sfruttato.
Queste infatti, proprio per loro genesi, rimangono spesso attaccate a dinamiche familistiche di piccola solidarietà e mantenimento, e con difficoltà riescono a distaccarsene e trasformarsi in investimento per il futuro, base per il ritorno produttivo in patria. Ciò risulta causato da molteplici fattori, in primo luogo l’attaccamento alla tradizione, che diventa alle volte un vincolo troppo forte, ma anche e soprattutto la difficoltà, da parte di un cittadino straniero, di comprendere le opportunità dei suoi investimenti e di entrare in contatto con la complicata burocrazia bancaria.
È nato da qui il progetto SME: Support Migrants’ Entrepreneurship, lanciato da Veneto Lavoro, co-finanziato dall‘IFAD- International Fund for Agricultural Development in collaborazione con Veneto Banca, Regione Veneto, Banca Etica, Consorzio Etimos e Fundatia Dezvoltarea Popoarelor Prin Sustinere Reciproca (Romania), e che dal 2009 opera in Veneto, Romania e Moldova.
Esso si focalizza sulla “diaspora imprenditoriale” come fattore che contribuisce alla creazione di lavoro e allo sviluppo socio-economico delle nazioni di origine e di destinazione.
Lo scopo del progetto è infatti quello di porre le basi per la creazione di un ambiente sociale e finanziario favorevole alla capitalizzazione delle risorse migranti, e che le sostenga in prospettiva dell’avviamento di un progetto imprenditoriale al momento del ritorno nel Paese d’origine.
Questo può contribuire a uno sviluppo più sostenibile, in grado di favorire la lotta alla povertà, soprattutto nelle zone rurali.
Attraverso un network transnazionale che offre conoscenze e strumenti bancari per facilitare il trasferimento di rimesse e risparmi, e la creazione di un fondo di garanza affidabile, il progetto si propone di fornire assistenza tecnica a tutti coloro che vorrebbero aprire un’attività imprenditoriale nella madrepatria, e che fino ad ora non ci sono mai riusciti, per scarsità di conoscenze, fondi e alfabetizzazione finanziaria. Non solo denaro quindi, ma anche circolazione delle conoscenze e soprattutto braingain, ovvero sfruttare il potenziale delle conoscenze formate nella diaspora, rimettendole a disposizione per progetti che possano creare sviluppo in patria. Si sviluppa così un modello di sviluppo circolare in cui il momento della migrazione può diventare una risorsa ed un valore aggiunto, un passo per realizzare progetti più ampi, piuttosto che essere relegato unicamente a via di fuga verso una speranza indefinita.
La conferenza finale, che si è tenuta al Comitato delle Regioni a Bruxelles il 5 aprile scorso, ha presentato i principali risultati e le lezioni apprese nei due anni di esperienza. In particolare è stato dato rilievo all’importanza della governance locale ed al coinvolgimento degli attori regionali, che, insieme ad un coordinamento multi-livello, diventano il perno su cui poggiare la trasformazione delle dinamiche migratorie in un fattore positivo e vincente, sia per le aree di origine e che per quelle di destinazione.
Il progetto ha raccolto il favore di molti neo-imprenditori rumeni e moldavi, ed è stato giudicato positivamente anche da altre comunità di migranti. Le problematiche connesse alla difficoltà di tradurre le rimesse e i risparmi in investimenti sono infatti condivise da tutte le comunità, e si rende sempre più necessaria l’introduzione di meccanismi che agevolino l’accesso dei migranti alle strutture finanziarie e che li supportino nelle stesure dei business plan, o dream plan, come quelli citati da Charito Basa del Filipino’s Women Council.
Il progetto, in chiusura nella primavera del 2011, ha finora finanziato idee imprenditoriali che hanno concorso in due categorie: “Eureka” e “Imprenditore nato”, e non c’è che confidare nell’ottima riuscita di queste attività e nel proliferare di nuove.
Simili al progetto SME, esistono altri progetti in Italia, diretti ad altre comunità migranti, come ad esempio quella senegalese. E’ il caso infatti del PLASEPRI: Platforme d’appui au secteur prive et a la valorisation de la diaspora senegalaise en Italie, una piattaforma di supporto agli investimenti dei senegalesi della diaspora avviata dal Governo italiano e da quello senegalese. Il programma assicura sostegno finanziario e assistenza tecnica allo sviluppo del settore privato valorizzando il potenziale economico della comunità senegalese in Italia, la più grande nella diaspora del Paese africano.
A questa piattaforma è poi collegato il nostro progetto Investir au Sénégal, volto a realizzare uno dei 5 “Punti informativi e di raccolta PLASEPRI” che aiutino gli imprenditori interessati presenti in Italia a inviare le proprie idee progettuali.
Il progetto copre le regioni Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna ed ha l’obiettivo di fornire informazione sulle strategie di sviluppo economico del Senegal, le opportunità di business e sensibilizzare i potenziali imprenditori senegalesi residenti in Italia e italiani sulle opportunità date dal programma PLASEPRI, nonché di realizzare un’attività di accompagnamento e assistenza nella compilazione di progetti eleggibili.
Oltre al PLASEPRI è stato da poco avviato anche il progetto Su.Pa. – acronimo di Successful paths, supporting human and economic capital of migrants, che si propone di sostenere i percorsi di “ritorno produttivo” dei migranti senegalesi nel proprio Paese di origine, in particolare nella regione senegalese di Kaolack, cercando di rafforzare la cooperazione istituzionale nel campo dell’immigrazione tra le Regioni di origine e di destinazione coinvolte nel progetto, sradicare le difficoltà che presenta l’accesso al credito per i migranti e promuovere percorsi innovativi per sostenere il ritorno del capitale umano ed economico in Senegal.