23 luglio 2019

Contro le discriminazioni: un processo educativo che parte dal basso

È importante, per chi opera nel settore sociale a contatto con le comunità, formarsi continuamente e confrontarsi sul tema delle discriminazioni. Di grande interesse è stata la nostra partecipazione al Seminario sul tema delle discriminazioni su base etnica, di orientamento sessuale e di genere) e delle misure a contrasto dell’hate speech, rivolto agli operatori dei servizi sociali, scolastici e del Terzo Settore, in particolare a coloro che fanno parte della Rete Regionale Antidiscriminazioni dell’Emilia Romagna.

seminario_Rimini_AeM

È parte della Rete il progetto Punto Migranti, gestito dalle cooperative sociali Abantu e Lai-momo, che trova presso il Comune di Castel Maggiore il nodo principale.
Nelle giornate di giovedì 18 e venerdì 19 luglio a Rimini, nella sede dell’Innovation Center, presso lo storico Palazzo Buonadrata, il Seminario condotto da Udo Enweruzor, responsabile tematico COSPE su Migrazioni, Minoranze e Diritti di Cittadinanza, si è innanzitutto soffermato sul concetto di appartenenza, usando l’Italianometro, un “aggeggio di fantasia” creato per misurare l’italianità di ciascuno dei partecipanti.

Ne è scaturito che l’idea di quantificare l’appartenenza sia già in sé poco appropriata, in quanto essa, per sua natura, è un concetto dinamico e circolare, non statico, e perciò non misurabile. Si è riflettuto su quanto risulti più semplice definire la diversità che vediamo negli altri, piuttosto che saper definire se stessi dentro al proprio contesto di appartenenza: è più facile mettere etichette agli altri (ad esempio i tedeschi definiti come “crucchi”, freddi, rigidi e iperpuntuali), e quindi ricorrere all’uso di stereotipi sugli altri, che lavorare su quelli che gli altri hanno su di noi (italiani = pizza, Pavarotti, mafiosi e ossessionati dalla moda). La nostra reazione dapprima è quella di sorridere sugli stereotipi che all’estero hanno di noi, per poi subito dopo arrabbiarci, perché ci sentiamo incasellati e sviliti; essere italiano è una complessità di concetti e tradizioni, questa semplificazione genera dispiacere e rabbia. Se viene poi diffusa tramite i social media di cui disponiamo oggi, questo tipo di informazione molto semplificata si amplifica a livello planetario in tempi brevissimi, generando la diffusione di massa di stereotipi spesso marginalizzanti. Si è trovata occasione per pensare allo “zainetto culturale” di cui ognuno di noi dispone, fatto di stereotipi dettati dalla nostra società, di cui si può arrivare a pensare di essere privi, e che invece ci appartengono profondamente.

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La seconda giornata si è aperta con un invito a pensare a quali persone in Italia sono maggiormente discriminate; dal brainstorming emergono tante categorie “fragili”, primi fra tutti i richiedenti asilo, le donne, i musulmani, le persone LGBTQIA+, ecc. Si sono messe in evidenza le azioni, a livello personale, di gruppo o istituzionale, che discriminano queste categorie, analizzando i tipi di discriminazione diretta ed indiretta. La prima, in genere, si basa sull’età, la disabilità, la religione, il credo, l’orientamento sessuale, la condizione socio-economica, eccetera. Essa risulta più facile da individuare e quindi da arginare. La seconda riguarda regole e provvedimenti che possono escludere persone, ad esempio, da concorsi pubblici per motivi irrilevanti (come ad esempio l’altezza minima, richiesta un tempo per partecipare alla selezione pubblica per veterinari in Italia, e che ora è stata rimossa, dopo un’azione contro di essa).

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In chiusura ci si è congedati con il proposito di non tacere contro comportamenti discriminanti, di non ridere davanti a freddure a sfondo razzista, anzi di reagire, spiegando il motivo del nostro dissenso, partecipando a un processo educativo che parte dal basso e che vuole resistere alla disinformazione digitale dilagante.

Angela Bortolotti, Abantu cooperativa sociale

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