29 settembre 2009

2/10/09 – Arte verticale per la riqualificazione urbana al Garabaldi 2 (Bo)

EVENTO CALDERARA 2OTTOBRE Evento: “Fili di vita, trame di comunità”.
Dove: Residence Garibaldi 2, Calderara di Reno (Bologna).
Quando: 2 ottobre 2009, dalle 19,30.
Informazioni: Serata artistica con musica, mostre e lo spettacolo proposto da Eventi Verticali sulla facciata del Garibaldi 2. La serata è organizzata da noi (Laimomo) e Coopas nell’ambito del Piano di Accompagnamento Sociale al Progetto di Riqualificazione Urbana del Bologna 2.
Cliccare sull’immagine per vedere tutti i dettagli del programma.

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29 settembre 2009

Le seconde domande e le terze, Tiziana Ferrario intervista Frattini

La Tiziana Ferrario si è vergognata ieri sera (28 sett.) per come ha condotto l’intervista a Frattini durante il TG1 delle 20. Faceva le cosiddette “prime domande” ma non le “seconde” e le “terze”, che i maestri di giornalismo considerano quelle importanti.

Prima domanda della giornalista: “Ministro ci parli della sua adesione alla campagna AGIRE“. Risposta: “Vogliamo aiutare i popoli di Eritrea Somalia e Sudan, perché il loro futuro è anche il nostro, dobbiamo tendere una mano, facciamo già tantissimo e dobbiamo fare di più!”

La seconda domanda di una giornalista in situazione normale sarebbe dovuta essere: “Ma come può essere coerente quello che ha appena detto con i tagli alla cooperazione allo sviluppo del suo Ministero di 411 milioni: il 56% rispetto al 2008?”

E la terza: “Ma come fa a parlare di mano tesa dopo che ha difeso con entusiasmo i respingimenti dei disperati in mare voluti dal ministro Maroni?”

La Ferrario non ha nemmeno fatto la domanda diplomatica su Michelle Obama definita “abbronzata” da Berlusconi. Non ha voluto, o potuto. Però si è vergognata. Si è capito perché ha concluso con una specie di triste auto-giustificazione: “ci sarebbero tante cose da chiedere, non c’è tempo, salutiamo il Ministro Frattini…”

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29 settembre 2009

Per la prima volta un premio dell’Unione Europea per la letteratura

Sono a Bruxelles perchè Africa e Mediterraneo è tra le organizzazioni invitate dalla DG Educazione e Cultura a partecipare al Forum europeo della cultura che si tiene a Bruxelles martedì 29 e mercoledì 30 settembre2009.

Il Forum è stato preceduto dalla conferenza Culture in Motion, una carrellata di progetti davvero interessanti in tutti isettori artistici e con partner di tutti i paesi della vecchia e nuova Europa, finanziati nel programma Cultura sia nel volet 2007-2013, che ammonta a 400 milioni di euro, sia in quello precedente.

Ma di questiscriverò in seguito, oggi la notizia del giorno è laprima edizione dell’European Unionprize for Literature.

Finalmente la Commissione europea ha avuto l’idea di creare un premio istituzionale per gli scrittori europei e, anche se si è dovuto procedere con criteri nazionali per rispettare la diversità delle lingue e delle tradizioni letterarie, sembra che ci potrà essere una buona ricaduta in scambi e visibilità, anche perchè la premiazione è avvenuta davanti a una selezione di 600 operatori europei della cultura.

Lo scopo del premio è dunque “illuminare l’eccellenza dei talenti letterari in Europa e tutto quello che hanno da offrire. Il premio sottolinea la forza dell’Europa nella qualità e nella creatività dei suoi prodotti letterari” (sono parole del Commissario alla Cultura Jan Figel). Le nazioni europee e i paesi candidati Croazia Macedonia e Turchia sono stati divisi in tre gruppi per i tre anni 2009, 2010 e 2011.

Delle giurie nazionali hanno selezionato i rispettivi 12 vincitori di quest’anno, che ricevono 5000 euro e saranno presentati alla Fiera di Francoforte in ottobre. Saranno inoltre sostenute le loro traduzioni nelle diverse lingue europee.

Ieri c’è stata la premiazione nel bellissimo Espace Flagey, ex sede della Radio e Televisione belga, notevole esempio di architettura degli anni Trenta famoso anche per l’acustica dei suoi spazi, che oltre ad offrire un programma culturale autonomo è molto utilizzato come sede di convegni e mostre.

C’era il presidente della Commissione Josè Barroso e il commissario Figel, con lo scrittore svedese Henning Mankell che è stato ambasciatore di questa edizione. Tantidiscorsi belli e “caldi” a lode della letteratura. Barroso ha detto che forse un libro non potrà cambiare il mondo ma la letteraturaè il migliore modo di studiare l’essere umano”. E Mankell ha risposto con un proverbio africano dedicandolo, tra gli altri, ai politici: gli uomini hanno due orecchie e una bocca; questo significa che devono ascoltare il doppio di quanto parlano.

Poi hanno premiato i 12 scrittori, in una cerimonia veloce nei ritmi e varia perchè per ogni autore veniva letto un brano nella lingua originale con i sottotitoli in inglese che scorrevano su immagini del suo paese. Alcuni brevi video-interviste hanno dato il punto di vista delle Federazioni europee degli Scrittori e degli Editori e del Consiglio degli Scrittori europei, i tre partner della Commissione nell’organizzare il premio.

Per l’Italia c’era Daniele Del Giudice,con il romanzo “Orizzonte mobile”.Quando è stato chiamato a fare un breve commento in francese o in inglese, come facevano tutti, ha balbettato per alcuni lunghissimi secondi, nel silenzio assoluto della platea, e ha poi con la voce incerta ha detto “posso dirlo solo in italiano: non me lo aspettavo,è una cosa bellissima…” è giù ringraziamenti a tutti, persino alla città di Bruxelles. Il pubblico evidentemente ha capito perchè ha avuto un sacco di applausi. In questa pagina l’elenco dei vincitori. Quattro solisti della Chamber Orchestra of Europe hanno suonato Schuman e Hayden e l’Inno alla Gioia.

Insomma, non me lo aspettavo ma mi sono divertita. Questi realizzati dalla Commissione non sono eventi culturali normali. Sono organizzati da società specializzate nel fornire servizi di assistenza tecnica alle varie Direzioni generali: le cosiddette boites à consultants, chiamate così perchè sono strutture economiche e finanziarie che si aggiudicano gare d’appalto complicatissime per la fornitura di servizi di comunicazione e logistica, forniti da consulenti specializzati valutati per i loro CV.

L’evento di oggi era organizzato da Teamwork. Questo è l’unico modo in cui la Commissione può organizzare iniziative di un certo rilievo (=budget), per esigenze di trasparenza nell’assegnazione dei contratti di fornitura. E’ un po’ un mondo a parte, con un linguaggio specializzato e regole diverse dal solito.
Però di solito l’efficienza è abbastanza garantita,così come l’attenzione a una comunicazione diretta, vivace e semplice.
E questa volta non è stato male, sembrava vero. Certo, avevano a disposizione un materiale speciali: 12 scrittori, molti dei quali giovani, e la loro emozione.

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24 settembre 2009

Territorialità attiva. Il contributo dei centri interculturali per una città educativa

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Presentazione dell’articolo “Territorialità attiva. Il contributo dei centri interculturali per una città educativa” pubblicato sul numero 63 di Africa e Mediterraneo, a firma di Lorenzo Luatti, ricercatore dei processi migratori e delle relazioni interculturali.

L’articolo riflette su quali devono essere i “modelli di integrazione” alla base dei centri interculturali affinché questi ultimi possano essere una risposta possibile alle sfide di una società plurale.

Luatti sostiene che i centri interculturali potranno essere promotori della pluralità e di azioni qualificate di rinnovamento dei servizi di un territorio se sapranno integrare il modello aggregativo, che mira a stabilire una relazione tra nativi e migranti, con quello funzionale, che si occupa di fornire servizi e competenze per l’integrazione sociale degli immigrati.
Per questo motivo, dovranno essere create delle reti tra coloro che, nello stesso territorio, si occupano di politiche di integrazione tra popolazione autoctona e straniera.

L’autore specifica, inoltre, che i centri interculturali saranno promotori di una territorialità attiva e di percorsi di progettazione partecipata dell’integrazione solo se collocheranno la loro azione entro la specifica realtà migratoria di un territorio.

Per quanto riguarda le realtà italiane, Luatti registra la mancanza di un piano di raccordo tra politiche e servizi che favorirebbe la realizzazione di un modello territoriale integrato/integrativo.
Prevale, invece, una visione settorializzata, frammentata e discontinua che non promuove la convivenza multiculturale.

[Foto | Lo sguardo sull’altro, Isabella Balena]

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23 settembre 2009

4 ottobre 2009- Africa. L’africa in rete: lo sviluppo arriva dal web a Ferrara

Evento: “Africa. L’africa in rete: lo sviluppo arriva dal web”.
Dove: Ferrara, cinema Apollo.
Quando: 4 ottobre 2009 ore 11.00
Informazioni: L’incontro, che si svolgerà all’interno del festival della rivista Internazionale 2009, sarà condotto dal direttore di Wired Italia, Riccardo Luna, e vedrà la partecipazione della blogger keniana Ory Okolloh, di Oliver Nyirubugara, giornalista ruandese coordinatore del progetto Voices of Africa, e dello scrittore keniano Binyavanga Wainaina.

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21 settembre 2009

Le madri di Goz Beida. Rappresentazioni culturali e ruoli sociali nella regione dell’Ouaddai (Ciad)

in: Cultura

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Presentazione dell’articolo “Le madri di Goz Beïda. Rappresentazioni culturali e ruoli sociali nella regione dell’Ouaddai (Ciad)” pubblicato sul numero 67 di Africa e Mediterraneo a firma di Giorgia Bricco, esperta di comunicazione, didattica e management culturale.

Le fistole vescico-vaginali (che si formano di solito in seguito ad un parto prolungato o in assenza di taglio cesareo) non curate da molte delle donne incontrate presso l’ospedale di Goz Beïda forniscono all’autrice l’occasione per riflettere sugli aspetti e le aspettative culturali, legati alla maternità, che determinano il trauma psicologico con cui queste donne subiscono le complicanze del parto o la sterilità.

La sterilità a cui vanno incontro le donne che non curano le fistole rappresenta, in paesi come il Ciad, il male per eccellenza, l’impossibilità di accedere allo stato di donna nella sua forma più completa.
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18 settembre 2009

Ricordare e ricostruire il passato di schiavitù in Bénin

montone_sasso_marconiPresentazione dell’articolo “Remembering and reconstructing Brazilian slave past in Bénin” pubblicato sul numero 67 di Africa e Mediterraneo a firma di Ana Lucia Arujia, assistant professor al dipartimento di Storia all’Howard University (Washington DC).

L’articolo esamina il ruolo rivestito dalla cultura visuale per la ricostruzione della storia della schiavitù prendendo in esame le immagini presenti in un museo fondato da un discendente degli ex schiavi, che deportati dall’Africa in Brasile, fecero successivamente ritorno sulla costa beninese.

 
Dopo la ribellione malês (1835) di Bahia (Brasile), molti degli schiavi africani, prevalentemente di estrazione yoruba, diedero vita ad un movimento di ritorno verso la costa occidentale dell’Africa. Nel golfo del Bénin, questi schiavi tornati in Africa si stanziarono nelle città di Agoué, Ouidah, Porto Novo e Lagos e qui, unendosi ai mercanti di schiavi portoghesi e brasiliani, formarono una comunità afro-luso-brasiliana, nota come Aguda.

Mentre la storia dei discendenti dei commercianti degli schiavi è supportata da una documentazione scritta, quella dei discendenti degli schiavi, essendo legata soprattutto all’oralità, è segnata da lacune documentarie. A partire dagli anni ’90 progetti dell’UNESCO come La via degli schiavi hanno cercato di porre lo studio della storia della schiavitù e il problema dell’identità della comunità afro-luso-brasiliana al centro del dibattito pubblico. Accanto ad un interesse genuino per la storia della schiavitù maturò la tendenza a fare della discendenza dagli schiavi un modo per guadagnare potere politico.
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16 settembre 2009

La scuola delle possibilità

Ieri era il primo giorno di scuola in tante regioni italiane, la macchina si è rimessa in moto cercando di rappezzare i buchi e le mancanze dovute ai tagli dei bilanci.

Io ho avuto la riunione con la professoressa di violino di mio figlio, che inizia la prima classe della scuola media a indirizzo musicale. Tra i 24 bambini che faranno “strumento”, ce ne sono tre di origine straniera, più del 10%.

Questi bambini assieme ai loro compagni italiani avranno la possibilità di fare un’ora alla settimana di lezione individuale di strumento, e un’ora di “orchestra” e, nell’era dell’Ipod, impareranno a leggere il pentagramma e ad avere dimestichezza con uno strumento.

Presto cominceranno a fare concerti, anche assieme ad altre scuole, suonando pezzi classici in orchestra davanti a pubblici di genitori orgogliosi. Tutto ciò sarà possibile grazie al fatto che questa insegnante e i suoi colleghi di pianoforte, violino e violoncello fanno un sacco di ore di volontariato per le prove e per le serate, con una passione che gli insulti quotidiani dei ministri Gelmini e Brunetta non hanno ancora scalfito.

La professoressa Michela aveva uno sguardo pieno di entusiasmo e di curiosa impazienza di vedere cosa c’è dentro questi ragazzini e cosa lei potrà tirarne fuori. Diceva “che bello: anche quest’anno ho la mia classe di piccoli violinisti. Non si può mai dire all’inizio chi andrà avanti: alcuni sembrano poco portati ma poi con l’esercizio possono diventare addirittura professionisti”.

Dare una possibilità a tutti, senza discriminazioni, per creare i cittadini di domani: questo fanno ancora tante scuole pubbliche in Italia, nella consapevolezza di essere “organo centrale della democrazia”, come disse Piero Calamandrei nel suo celebre discorso in difesa della scuola nazionale.

Ma bisogna chiedersi fino a quando si potrà raschiare il fondo del barile delle risorse delle scuole e dei comuni che rimediano ai tagli ministeriali.

Per ora la passione e il senso civico di tanti insegnanti resistono. C’è un brano dell’autobiografia di Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà (Feltrinelli 1995), dove racconta del proprio percorso educativo di giovane nato a Mvezo, un minuscolo villaggio del Transkei nel Sudafrica dominato dai bianchi, che mi sembra una buona fonte di ispirazione.

“L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. E’ attraverso l’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione. E’ quello che facciamo di ciò che abbiamo, non ciò che ci viene dato, che distingue una persona da un’altra. … Le scuole missionarie fornivano agli africani l’istruzione di stampo occidentale in lingua inglese che anch’io ho ricevuto. Eravamo limitati nei servizi e nelle attrezzature, ma non in ciò che potevamo leggere, e pensare, sognare.”

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15 settembre 2009

Bando a sostegno dell’arte africana promosso da Pro Helvetia

in: Cultura

pro helvetiaSegnaliamo l’interessante iniziativa del Pro Helvetia Cape Town, Swiss Arts Council che ha aperto un bando (scadenza il 30 settembre) per sovvenzionare progetti artistici nel campo della musica, arti visuali, danza, teatro letteratura e cinema.

Al bando possono partecipare artisti provenienti dalla Southern African Development Community. Il fondo proviene dal programma della Agenzia svizzera per la cooperazione e lo sviluppo.

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14 settembre 2009

Recensione – “L’arrivée de mon père en France”

Segnaliamo volentieri il sito della scrittrice Martine Storti il cui ultimo libro, L’arrivée de mon père en France, è stato recensito nell’ultimo numero di Africa e Mediterraneo. Per l’occasione ripubblichiamo di seguito la nostra recensione.

Martine Storti,

L’arrivée de mon père en France

Éditions Michel De Maule, 2008

pp. 219, euro 20,00

Ormai il nostro è diventato quasi un rendez-vous abituale per riflettere sul complesso e purtroppo sempre più drammatico fenomeno migratorio.

Questa volta il trait-d’union tra migrazioni di ieri e migrazioni di oggi, tra passato e presente, tra Italia e Francia, tra storia e attualità è il libro della giornalista Martine Storti.

L’arrivée de mon père en France è un libro ibrido, come qualcuno l’ha definito: un racconto, ma anche un saggio, un romanzo di riflessione famigliare, ma anche un documento giornalistico.

Con una scrittura viva e fluida la Storti punta il riflettore su quelli che sarcasticamente definisce “i miserabili che non hanno ancora trovato il loro Hugo”, ovvero gli immigrati, i rifugiati, i clandestini, gli esiliati, le vittime delle politiche sicuritarie del Nord del mondo.

L’autrice ha avuto l’ispirazione per scrivere questo libro a Calais. Più precisamente dalle parole di alcuni stranieri accampati vicino al porto di questa città di frontiera, città che insieme a Patrasso, a Ceuta e a Melilla è divenuta una zona di stallo in cui ogni mattina, per anni, i migranti si svegliano sperando che quel giorno possa essere quello decisivo per riuscire ad arrivare nella propria Eldorado.

A Calais quelli che cercano di arrivare in Inghilterra ripetono “Abbiamo un fratello, uno zio, un parente di là che ci aspetta”: dopo aver sentito questa frase ripetuta decine di volte la giornalista si è chiesta se anche il padre Matteo, operaio italiano, all’inizio degli anni ’30 quando varcò la frontiera alla volta di Parigi utilizzò le stesse parole. In fondo anche lui come molti altri italiani aveva deciso di lasciare un paese dove il Regime fascista aveva iniziato la sua guerra ai diritti fondamentali, alla ricerca di un futuro migliore, con la speranza di poter contare su membri della famiglia espatriati anni prima.

E così la giornalista ha iniziato a porsi delle domande: “Come è arrivato mio padre in Francia?”, “Cosa ha passato nella sua esperienza di migrante?”, “E’ stato anche lui fermato e umiliato alla frontiera?”, “E l’inserimento nel contesto francese come è avvenuto?”.

Sfortunatamente questo desiderio di scoprire le proprie radici e l’iter affrontato dal padre sono arrivati solo tardivamente, come se il processo che ha fatto dimenticare ai politici di oggi che il fenomeno migratorio è vecchio come l’uomo avesse investito anche lei. E quando ormai il padre non c’è più e come lui gran parte degli altri potenziali testimoni, all’autrice non resta che ipotizzare, basandosi sui pochi ricordi, sui dati della Storia e rimpiangendo di non aver fatto le domande quando era il momento.

La sua ricerca però ci permette di ri-aprire una pagina della storia che può indurre alla riflessione sulle politiche attuali: allora come oggi si poteva parlare di caccia all’immigrato.

Negli anni ’30, infatti, in Francia convergevano le masse rese apolidi dalla ridefinizione dei confini nell’est europeo, la maggior parte degli antifascisti italiani, i tedeschi perseguitati dal nazismo e, dopo il ’35, gli ebrei tedeschi. Nel maggio del 1938 il governo Deladier emanò un decreto che consentì di internare in centri speciali di raccolta chiunque non fosse di nazionalità francese.

Certo non è il caso di banalizzare, nè di giungere a semplificazioni attraverso similitudini tra contesti politico-temporali e storici diversi, tuttavia ritengo fondamentale partire da queste considerazioni per riformulare certi pensieri che guidano le politiche di oggi, per evitare il ripetersi di errori aberranti.

La Storia non si fa con i se e con i ma, ma dalla storia si possono imparare molte lezioni, per questo consiglio vivamente di leggere questo libro, che propone un viaggio emozionante tra il passato e il presente.

Elisabetta Degli Esposti Merli

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