31 luglio 2009

Il vodu in Benin, patromonializzazione di una religione

in: Cultura

Presentazione dell’articolo “Patrimonializzazione della ‘religione tradizionale': la festa del vodu in Benin” pubblicato sul numero 60-61 di Africa e Mediterrraneo a firma di Alessandra Brivio, Università di Milano Bicocca.

L’articolo vuole evidenziare alcuni risultati del processo di patrimonializzazione del vodu nel contesto politico e sociale beninese contemporaneo. A partire dagli anni novanta la religione vodu divenne un elemento politico portante per la costruzione di uno spazio pubblico democratico in Bénin.

Perché il vodu diventasse patrimonio utile allo sviluppo democratico del Bénin è stato necessario crearne un’immagine democratica eliminando ogni suo riferimento alla stregoneria e all’occulto. Solo in questo modo è stato possibile avviare un processo di “internazionalizzare” e patrimonializzazione della religione vodu.
Tale processo è conforme alla tendenza in atto di elevare le religioni africane al livello di quelle universali, liberandole dall’appellativo dispregiativo di “religioni primitive”.

Dovendo il vodu rispondere all’esigenza occidentale di una spiritualità positiva e rassicurante, esso è stato spogliato delle sue stratificazioni semantiche, simboliche e relazionali e depurato delle sue contraddizioni intrinseche (e non alla concretezza troppo materiale tipica del vodu).
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31 luglio 2009

Recensione – “La Madonna di Excelsior”, di Zakes Mda

zakes mda la madonna di excelsiorRiporto qui un brano del romanzo La Madonna di Excelsior, di Zakes Mda (2002, ed. it Edizioni e/o 2006, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini), uno dei migliori scrittori sudafricani. Il romanzo racconta la storia di una donna, Niki, abitante nella township Mahlatswetsa, accanto alla città di Excelsior, e del caso che nel 1971 coinvolse 19 cittadini accusati di avere avuto rapporti sessuali tra bianchi e neri e di avere quindi violato l’Immorality Act. Niki partorisce una bimba meticcia, Popi, bellissima ma sempre discriminata dai neri per il suo aspetto “misto”. Popi è in realtà il frutto di una vendetta nei confronti di una donna che aveva impietosamente umiliato Niki: è per questo che Popi accetta la relazione con il marito.

La descrizione di questi rapporti extraconiugali tra nere e bianchi, in cui le nere sono oggetto di inconfessabile desiderio – perché proibite dalle leggi dello Stato e della religione – ma anche di sopraffazione, è inserita con efficace contrasto nei quadretti dell’ambiente ipocrita, moralista e basato sulla violenza in cui erano barricati i bianchi nell’epoca dell’Apartheid.

Ma il romanzo, seguendo le vicende della protagonista, racconta anche la crisi e il crollo di questa società “ideale”, e la salita al potere della maggioranza africana nella Nazione Arcobaleno di Mandela. Questo cambio epocale viene raccontato attraverso il caso del consiglio comunale della cittadina di Excelsior, dove i vecchi consiglieri afrikaner si trovano seduti accanto a nuovi politici neri, abitanti della township, e con un sindaco nero, Viliki, il fratello maggiore di Popi in precedenza impegnato nel movimento anti-Apartheid.
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30 luglio 2009

21/10/09-31/01/10 – La mostra “Giordania, crocevia di popoli e di culture” a Roma

giordania
Evento: “Giordania, crocevia di popoli e di culture”
Dove: Palazzo del Quirinale a Roma
Quanto: 21 ottobre 2009 – 31 gennaio 2010
Interesse: La mostra, che sarà inaugurata in occasione della visita di stato del re di Giordania Abdallah, esporrà sessanta opere risalenti ai periodi più significativi della storia del Paese. I reperti, che usciranno per la prima volta dai musei di Amman e Petra, riguardano le civiltà neolitiche, l’Età del Bronzo, le testimonianze lasciate dai Fenici, dai Greci, dai Romani e Arabi.
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28 luglio 2009

Haile Gerima presidente di giuria al festival di Venezia

in: Cinema

haile gerimaSarà Haile Gerima il presidente di giuria al Premio Opera Prima alla prossima Biennale del cinema di Venezia. Il regista etiope aveva già avuto un ruolo da protagonista al festival, l’anno scorso, avendo vinto il premio speciale della giuria con il film Teza. Gerima è uno dei più noti e acclamati registi africani, famoso per la sua coraggiosa interpretazione della produzione indipendente nel cinema.

Per chi volesse saperne di più sulla figura di questo regista, sul sito Blackfilmakers si trova un buon profilo biografico, mentre su Reserch Channel si trova un’interessante intervista sui temi della produzione cinematografica indipendente e sul ruolo delle sue origini etiopi nel suo lavoro.

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28 luglio 2009

Il compleanno di Zaiko visto dal fumettista Serge Diantantu

in: Fumetto

zaikoI Zaiko Langa Langa compiono 40 anni.
E mentre il sito ufficiale è ancora aggiornato al compleanno dell’anno scorso, il fumettista Serge Diantantu ha invece appena pubblicato un bell’articolo-tributo che illustra e ripercorre la storia (con tanto di albero genealogico) di questa venerata band della Repubblica democratica del Congo.

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28 luglio 2009

15-18/11/09 – Seconda conferenza internazionale sullo cultura e lo sviluppo in Africa

E’ aperto il bando per partecipare alla “Seconda conferenza internazionale sullo cultura e lo sviluppo in Africa” che si terra ad Accra, Ghana, fra 15-18 novembre 2009.

Tema di questa edizione sarà la cultura in rapporto con gli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite.
Il bando è aperto ad accademici, artisti, e in generale operatori della cultura, comprese agenzie governative. I dettagli sul bando si trovano a questo link. Per farsi un’idea sulla conferenza si può leggere il rapporto sulla prima edizione della conferenza (in Pdf).

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27 luglio 2009

Il rapporto tra turismo e architettura nel Nord-Camerun e in Ciad

in: Turismo

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Presentazione dell’articolo “Turismo e architetture (Nord-Camerun e Ciad). Preservazione, ricostruzione, patrimonializzazione”, pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.

Nel nord del Camerun e in Ciad, la ricchezza architettonica costituisce un elemento chiave dei paesaggi e della loro differenziazione. Dagli anni ’50, il turismo ha rivalutato un certo numero di luoghi architettonici tanto sui monti Mandara che lungo le sponde del Logore. In questi anni si avviano i primi circuiti turistici che combinano fauna, paesaggi e architetture. Le architetture vernacolari non scompaiono allo stesso modo, né alla stessa velocità.

La loro ritirata ha potuto accompagnarsi a ricostruzioni fedeli ai canoni dell’inizio del XX secolo, grazie al sostegno di interventi esterni poi, più recentemente, delle élite locali. La posta in gioco di tali ricostruzioni tuttavia resta sempre ambigua. Le aspirazioni di queste società non corrispondono a quelle delle fucine del turismo. La realtà del 2008 generalmente non interessa il turista mentre le comunità rurali oggi sono tutte segnate da un certo grado di urbanizzazione e considerano negativa fino a un certo punto la perdita di un tipo di architettura tradizionale.

Questa scomparsa riflette quella di uno stile di vita appartenente alle generazioni che vivevano coerentemente con tali abitazioni. Per la popolazione Mousgoum, divenuta musulmana, e per una minoranza protestante, questa epoca pagana, di genti nude, deve sparire per consentire una rimessa in conformità del passato con le aspirazioni del presente.

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22 luglio 2009

La valorizzazione dei villaggi forticati e delle feste popolari in Algeria

in: Turismo

SfissifaPresentazione dell’articolo “Costruire il patrimonio in Algeria: la valorizzazione degli ksour (qsûr) e dei wacdat (moussems) nel Sud Oranais” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Sandra Guinand – politologa e urbanista, Università di Losanna – e Yazid Ben Hounet dottore di antropologia sociale, EHESS/Paris.

Da qualche anno l’Algeria è impegnata a perseguire una politica di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale segnatamente a fini turistici.

Gli ksour, villaggi fortificati tradizionali del Sahara e della catena dell’Atlante Sahariano, situati lungo le antiche rotte commerciali transahariane, sono stati oggetto di un recente processo di restaurazione e riabilitazione su larga scala; i wacdat (sg. wacda), feste popolari che si tengono per celebrare i santi locali, si moltiplicano, attirando sempre più persone a testimoniare la loro rinascita.

Questo articolo, a partire dall’esempio degli ksour e degli wacdat del Sud Oranais, si propone di indagare le ragioni e le condizioni di una valorizzazione del patrimonio secondo i differenti attori, per capire in che modo si costruisca l’oggetto patrimoniale in Algeria.

In seguito all’indipendenza (1962), tramite un’ordinanza, il nuovo Stato algerino integra nel proprio patrimonio nazionale gli oggetti inventariati dalla Francia (siti e monumenti storici). La prima definizione ufficiale di “patrimonio culturale” del paese e delle misure assunte in sua difesa, verrà tuttavia formulata solo nel 1998 attraverso una legge che include il patrimonio culturale immateriale nell’insieme dei beni materiali da proteggere.

Al di là del suo riconoscimento politico, la questione patrimoniale partecipa di una dimensione simbolica che crea tensioni e conflitti. Infatti, il patrimonio, in quanto héritage, è necessariamente portatore di un’identità collettiva che tuttavia non si crea automaticamente.

Costruita, ricostruita o negoziata, essa è anche continuamente ridefinita. Le stesse modalità che definiscono e attribuiscono valore a ksour e wacdat sono sfruttate, tanto dagli attori locali che dalle autorità politiche, affinché veicolino alcuni aspetti della cultura e dell’identità locale e nazionale. Se il patrimonio ha un interesse turistico è perché al di là dei valori classici che lo caratterizzano, le società contemporanee gli hanno attribuito un valore economico senza precedenti.

Diversi Stati e autorità politiche hanno saputo trarne profitto. Basti pensare al caso della Tunisia che ha saputo valorizzare il proprio artigianato, l’architettura delle medine e il carattere dei propri souk per sviluppare un turismo che attualmente riveste un ruolo non trascurabile nell’economia nazionale del paese.

Tuttavia, nonostante il processo di patrimonializzazione dei siti sembri guidato prevalentemente da un interesse di sviluppo economico, vi intervengono diversi fattori, di ordine finanziario, politico e identitario.

[Foto: Sfissifa, di Sandra Guinand]

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22 luglio 2009

La questione dei musei etnografici, problemi e proposte

Presentazione dell’articolo “Il malessere dei musei etnografici” pubblicato sul numero 62 di Africa e Mediterraneo a firma di
Yaya Savané, storica e museologa, professoressa associata alla Scuola di Belle Arti di Bordeaux e alla Scuola di Studi Superiori di Scienze sociali a Parigi.

Esiste un malessere all’interno dei musei etnografici. Un malessere che coinvolge l’etimologia stessa del termine, il suo legame con l’arte, con la cultura, con il paese d’origine degli oggetti, con la globalizzazione e il mondo moderno. Il museo etnografico oggi comunica troppo spesso un’idea riduttiva e banalizzata della cultura. Si presenta a noi come una sorta di “casa dei feticci”, piena di maschere e statue, senza però essere in grado di trasmettere nulla ai suoi spettatori se non la propria immobilità.

Mentre alle sue origini ha svolto la funzione di centro di ricerca etnografico per culture minacciate, in via d’estinzione o “primitive”, oggi il museo etnografico attraversa una fase dove gli oggetti esposti in alcuni musei etnografici vengono spogliati del loro significato e della loro cultura e rappresentano soltanto pure opere d’arte, passando da una prospettiva etnografica a una prospettiva puramente estetica. Entrambi i punti di vista non fanno che imprigionare e rendere riduttiva la cultura africana.

Sono invece necessari un approccio e un rigore scientifico che portino il museo etnografico a realizzare la sua missione culturale, nel rispetto delle tradizioni e dei valori dei popoli che rappresenta. È necessario mostrare al pubblico africano ed europeo l’importanza del patrimonio culturale e artistico evidenziando i legami di interdipendenza e di interpenetrazione delle civiltà africane.

L’Africa non può e non deve essere banalizzata come terra di coccodrilli, maschere e tamburi. L’Africa e la sua cultura non possono essere e non sono né immobili né banali: sono in movimento e sono estremamente complesse. Come il mondo moderno. E questo movimento e questa complessità devono essere assolutamente evidenti nei musei etnografici, perché abbiano ancora la loro ragion d’essere. I musei devono rispondere oggi ai bisogni della società che si è evoluta.

Devono adeguarsi ai tempi e alle dinamiche moderne. Secondo le parole di Théodore Delachaux: «Il museo deve essere per il pubblico uno strumento di educazione che gli insegnerà la molteplicità, l’ingegnosità, la tenacia degli esseri umani, delle società umane in tutte le sue forme, per resistere, durare, perfezionarsi e svilupparsi attraverso le generazioni: in una parola il divenire dell’Uomo».

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21 luglio 2009

Il creolo a Capo Verde

in: Cultura

Presentazione dell’articolo “Il creolo tra autonomizzazione e decreolizzazione. Il caso di Capo Verde”, pubblicato sul numero 59 di Africa e Mediterraneo a firma di Igino Schraffl, docente di Public Choice presso l’università Lumsa di Roma e Palermo.

La decreolizzazione è un fenomeno in atto in tutti i creoli del mondo. In questo articolo viene esaminato il caso di Capo Verde e il relativo tentativo di ufficializzazione del creolo a fronte delle difficoltà incontrate nel tentativo di autonomizzazione di questa lingua rispetto a quella portoghese.

Nonostante il creolo sia stato il principale elemento identitario nazionale in opposizione alla politica coloniale e nonostante gli sforzi, durante e dopo la lotta per l’indipendenza da parte degli intellettuali per creare una grammatica, la lingua ha faticato e fatica ad ufficializzarli.

All’ufficializzazione del creolo come lingua madre di Capo Verde, da sostituire al portoghese, si affianca un lento processo di uso del medesimo da parte dei parlanti capoverdiani.
La mobilità, conseguente alla creazione di opportunità di lavoro e alla scolarizzazione, ad esempio, induce i parlanti a servirsi maggiormente del portoghese in modo da superare le difficoltà implicite nell’uso di dialetti diversi.

Va considerato, poi, che metà della popolazione ha eletto domicilio permanente all’estero e che inoltre i soggetti emigrati in Portogallo usano quotidianamente il portoghese, relegando il creolo alla comunicazione domestica. La parte istruita della popolazione, infine, tende a privilegiare il portoghese, considerato non come lingua straniera, ma come lingua alta della cultura e dell’ufficialità a fronte del creolo come strumento di comunicazione dialettale.

Sebbene il dibattito sull’istituzionalizzazione del creolo a Capo Verde sia lungi dall’essere concluso, il processo di decreolizzazione (più propriamente di rilusitanizzazione) è ormai una realtà incontrovertibile.

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