05 agosto 2024

Industrie creative in Tanzania: Intervista ad Ayeta Wangusa, e al gruppo di lavoro del Center for the Development of Eastern Africa (CDEA)

di Sandra Federici

In un quartiere periferico di Dar es Salaam ha sede il CDEA, organizzazione dedicata allo sviluppo di attività culturali in Tanzania. È uno spazio di co-working denominato Eco Sanaa Terrace, costituito da piccole strutture adibiti a uffici, sale riunioni e laboratori e una grande tettoia centrale in legno arredata con tavoli. Qui ci sono diversi ragazzi e ragazze, soli o in piccoli gruppi che stanno lavorando. La direttrice Ayeta Anne Wangusa ha organizzato in occasione della mia visita un incontro con lo staff direttivo: Ismael Mutanda, manager amministrativo, Angela Kilusungo, responsabile del settore creative economy, Sarah Balozi, responsabile dei progetti artistici, Magreth Bavumo, comunicatrice, e Johnny Mudolo responsabile della logistica. Prima di iniziare, mi propone di fare una foto con Aichi Masauri, appena nominata “Midundo Radio Face of the People” con un concorso su Instagram. Aichi è laureata in economia e statistica.

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S.F.: Come nasce il Center for the Development of Eastern Africa?
Ayeta Wangusa: Siamo nati come think tank creativo e poi nel 2012 abbiamo istituito formalmente una ONG, per cercare di mobilitare la società civile nel dialogare e fare pressione sulla politica affinché la cultura sia posta al centro dello sviluppo umano. Nella nostra visione, la cultura può servire a risolvere molti problemi nella regione dell’Africa orientale, per questo facciamo ricerca e advocacy sulle politiche. Alla base di questo noi poniamo la documentazione della cultura tanzaniana, affinché ci sia un legame tra passato e il presente. Per noi è molto importante documentare il passato, per dare consapevolezza di quale è la nostra origine culturale, la nostra storia, e collegarlo al presente, alle nuove tecnologie e forme espressive che oggi abbiamo a disposizione.

S.F.: Quali sono le vostre attività principali?
Ayeta Wangusa: Abbiamo quattro principali settori di intervento:
Innanzitutto, il Culture and Governance Programme, sviluppato tramite diverse ricerche sull’economia creativa e la governance della cultura [i rapporti di diverse ricerche sono disponibili in accesso libero sul sito https://www.cdea.or.tz, ndr]. In secondo luogo c’è tutta l’attività volta a favorire l’espressione culturale da parte dei giovani: incontri, laboratori di scrittura, presentazioni. Importante il “film critic lab”: proiettiamo film e poi li analizziamo, ne discutiamo, perché manca spesso nei film tanzaniani una profondità dei temi presentati.
Abbiamo poi una Web radio [Midundo] per musicisti emergenti, dove cerchiamo di promuovere i/le “conscious artists”, coloro che esprimono contenuti di riflessione, di cambiamento. Abbiamo anche organizzato nel 2016 e nel 2017 l’East African Vibes Concert, invitando artisti di altri paesi.
Infine, dal 2022 abbiamo avviato la Creative Economy Incubator & Accelerator Initiative, una piattaforma per promuovere artisti, artigiani e imprenditori creativi, selezionati tramite bando, e offrire loro un processo di “accelerazione”, affinché implementino la loro idea di business grazie a una formazione tecnica. I settori sono design di moda e accessori, industria del cinema e della musica.

S.F.: Immagino non sia facile rendere sostenibili questo tipo di attività.
Angela Kilusungo: Io sono responsabile dell’incubatore, e in effetti il lavoro difficile è l’accesso al mercato di queste produzioni. Innanzitutto, i formatori sono degli imprenditori già affermati, ad esempio stilisti del settore moda. Prima però facciamo una valutazione dei bisogni, per dare concretezza alla formazione. Abbiamo una piattaforma formativa online, in modo che possano accedere più persone.

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S.F.: Sono persone con una formazione nel campo della moda?
Angela Kilusungo: Sono quasi tutti autodidatti, solo all’Università di Dodoma c’è un corso di fashion design. Noi accettiamo volentieri persone che si sono auto-formate sul campo, e che nel nostro incubatore possono acquisire competenze tecniche e di gestione. L’accompagnamento verso il mercato lo facciamo tramite partecipazione a fiere, attività di marketing e networking. Organizziamo eventi in cui possano mostrare il loro lavoro, abbiamo una collaborazione con la Swahili Fashion Week, che si svolge ogni anno in dicembre. Poi abbiamo anche una boutique in cui possono vendere, aperta all’esportazione.

S.F.: Ho visto che avete pubblicato una ricerca sulle condizioni degli artisti in Tanzania, come avete affrontato questo tema?
Sarah Balozi: Abbiamo studiato le condizioni di lavoro ed espressione degli artisti, e il loro status, come funziona l’Art & Culture Fund della Tanzania e come può essere migliorato, perché è fondamentale il finanziamento pubblico della cultura. Il rapporto tratta i problemi relativi alla tassazione, ai contratti, alla formazione, alla parità di genere. Poi c’è il tema dei diritti. La nostra idea è creare una “Legal Rights Clinic” per gli artisti, dando innanzitutto consulenza sui contratti di ingaggio.

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S.F.: Il tema della censura è abbastanza problematico in Tanzania.
Sarah Balozi: La censura c’è ed agisce sulla libertà degli artisti, che è legata alla libertà di espressione. C’è una Commissione che controlla e vieta la pubblicazione di prodotti che contengano questioni legate alla morale, in particolare è proibito ogni accenno all’omosessualità. E ovviamente sono un problema anche le critiche al governo. Anche su questo abbiamo pubblicato sul nostro sito una ricerca: Artistic freedom in Tanzania (2024), finanziata dall’ambasciata Norvegese in Tanzania.

S.F.: Fate un lavoro di promozione della cultura a tutto tondo.
Ayeta Wangusa: Noi crediamo che la cultura, se si fanno investimenti, sia una fonte di sviluppo economico, che possa offrire posti di lavoro in modo che le persone non debbano più emigrare, anzi, chi è uscito possa ritornare. Tante donne potrebbero vivere del loro lavoro, ad esempio nell’artigianato e nella sartoria per l’industria cinematografica. Cerchiamo di creare un ecosistema che favorisca il lavoro regolare. A mio parere il mercato per la creatività dell’Africa c’è, basti pensare alla fame di contenuti delle piattaforme come Netflix.

S.F.: Come gestite gli aspetti di comunicazione?
Magreth Bavumo: Io mi occupo di comunicare internamente ed esternamente. Facciamo eventi mensili, legati a progetti, ma anche eventi di networking, per fare incontrare gli artisti e le artiste. Io creo i contenuti per Instagram, TikTok e per Facebook, che però ha un pubblico più “adulto”. C’è anche la radio comunitaria Musoma, a Butiama, villaggio natale del primo presidente della Tanzania, Julius Nyerere. Abbiamo creato uno studio radiofonico e tra poco partiranno le trasmissioni in FM, anche se i fondi sono scarsi. Speriamo di creare un pubblico numeroso e che questo faciliti il reperimento di finanziamenti. Parleremo di salute, notizie, aspetti culturali che possono influire sulla vita delle persone.

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S.F.: In che modo per voi la cultura agisce sulla vita concreta?
Ayeta Wangusa: La nostra è una visione olistica, ad esempio è importantissimo il tema ambientale, l’approccio circolare. I nostri principi di base sono Environment, Social, Governance: anche i mobili della Eco Sanaa Terrace sono in materiale riciclato. Crediamo molto nella prospettiva del turismo culturale. La Tanzania è conosciuta per la natura, i parchi, gli animali selvatici, ma c’è tanto valore culturale che può essere attrattivo per una forma alternativa e sostenibile di turismo: la nostra storia, le tradizioni, la musica.

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