01 ottobre 2015
E’ iniziato il SUQ delle culture a Milano!
Arriva per la prima volta a Milano il SUQ delle culture, un’iniziativa nata a Genova nel 1999 che comprende percorsi creativi e workshop – dedicati a Recitare, Cucinare, Abitare, Cucire, Disegnare e Suonare il Dialogo – e un grande bazar delle culture che si pone come vetrina dei temi dell’integrazione attraverso il teatro, la musica, l’arte, la cucina e l’artigianato.
Da domenica 27 settembre a domenica 4 ottobre 2015, il SUQ delle Culture, promosso dalla Fabbrica del Dialogo, regala alla città otto giorni di teatro, musica, danza, laboratori, concerti, spettacoli e incontri su ambiente e mondialità in una teatrale scenografia che ospita differenti cucine e spazi espositivi con artigianato e prodotti da tutto il mondo.
Seguendo un ricco e colorato palinsesto, ogni giorno è possibile partecipare a laboratori artigianali, approfondire le buone pratiche su temi eco-sostenibili, seguire workshop e dimostrazioni legate al cibo e alla sua storia.
Ma soprattutto al Suq delle Culture è possibile conoscere tradizioni ed esperienze diverse dalle proprie immersi nell’atmosfera conviviale del teatro-mercato, camminando, mangiando e acquistando prodotti artigianali unici tra gli stand del grande bazar, da sempre simbolo di incontri e scambi tra genti e culture, tradizioni e merci.
Il programma completo del festival è disponibile sul sito della Fabbrica del Dialogo.
Parole chiave : Fabbrica del Dialogo, laboratori artigianali, milano, SUQ delle culture, SUQ di Genova, tradizioni del mondo
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Presentazione dell’articolo “Teriya Bugu – la Capanna dell’amicizia. Un modello di turismo solidale a sostegno dello sviluppo rurale integrale”, pubblicato sul numero 69-70 di Africa e Mediterraneo a firma di Igino Schraffl, docente universitario a Roma e Reggio Calabria; senior expert volontario delle Nazioni Unite, attualmente impegnato in una missione consultiva al Ministero del turismo del Mali.
In vita, il frate francese Bernard Vanspieren (1924-2003) recatosi in Mali nel 1951, dedicò i successivi 40 anni un’attività multiforme che andava dall’agricoltura (in origine era agronomo) all’idraulica e alle energie rinnovabili, dall’igiene all’istruzione e alla promozione della donna.
La caccia era l’unico svago che Verspieren si concedeva. E durante una delle sue battute nel 1965 strinse amicizia con un pescatore dell’etnia Somono. Dai loro sogni comuni espressi nelle conversazioni nella capanna che il padre di costruì sulla riva del fiume Bani, sarebbe nato il progetto di dare vita a una fattoria modello, un’ oasi ideale che fungesse anche da laboratorio per lo sfruttamento di energie alternative. Al centro fu dato il nome della prima capanna: Capanna dell’amicizia – Teriya Bugu in lingua bambara.
Alla sua morte nel 2003, una sessantina tra i suoi collaboratori decisero di continuare l’opera, che ora è gestita da l’Association d’entraide pour le développement rural (AEDR). Nel 2005 fu deciso di aprirsi al turismo. Attualmente, il centro si presenta come una piattaforma di sviluppo sostenibile con una gamma di componenti che vanno dall’attività turistica come fonte di reddito complementare, a varie attività agricole, alla produzione di energia alternativa da fonti rinnovabili, all’erogazione di vari servizi alla comunità. La struttura turistica è costituita da una serie di casupole in muratura con bagno autonomo, aria condizionata e TV, un ristorante, un’aula seminariale, con attrezzature per manifestazioni didattiche e simili, due piscine all’aperto, attrezzature sportive.
Comprensibilmente un’iniziativa di tale complessità non poteva essere autosufficiente fin dall’inizio. Finora il centro, che ha avviato l’attività turistica solo recentemente e adattando gradualmente la struttura ricettiva, ha beneficiato di diversi tipi di sostegno o partenariato.
Teriya Bugu rappresenta, a nostro modesto avviso, un modello che andrebbe attuato ed efficacemente sostenuto non solo in Mali, ma in tutte le realtà africane in via di sviluppo e anche in altri continenti, per gli evidenti effetti positivi che ne scaturiscono in termini di attenuazione della povertà, coesione sociale, sviluppo endogeno e sostenibile, tutela dell’identità culturale, protezione dell’ambiente.
Per aquistare on line il N. 69-70 di Africa e Mediterraneo.
Per conoscere i numeri precedenti, sottoscrivere un abbonamento o acquistare un numero precedente, vai al sito dell’editore.
Parole chiave : Energie rinnovabili, Mali, N.69-70, Turismo
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09 novembre 2009
Sviluppo, turismo e protezione del patrimonio culturale del Bénin
Presentazione dell’articolo “Sviluppo, turismo e protezione del patrimonio culturale del Bénin”, pubblicato su Africa e Mediterraneo n.67, a firma di Caroline Gaultier-Kurhan- fondatrice del dipartimento di gestione del patrimonio culturale dell’Università di Senghor e Sandrine Léontina Dossou, curatrice presso l’università di Senghor di un progetto di valorizzazione del patrimonio bati di Ouudah.
Lo sviluppo, il turismo e la preservazione del patrimonio culturale sono da sempre al centro degli interessi del Departement patrimoine culturel dell’Université Senghor d’Alexandrie. In questo spirito, dal 2006 sono stati realizzati due tipi di attività.
La prima, in collaborazione con il Ministero della Cultura e il Ministero del Turismo concerne la formazione di professionisti locali per lo sviluppo del turismo, guide e operatori turistici in Bénin.
La seconda riguarda la realizzazione di una ricerca, sponsorizzata dal AIMF (Association Internazionale des Maires Francophones – l’associazione internazionale dei sindaci francofoni) sul patrimonio architettonico e sulle possibilità di sviluppo turistico in Ouidah (città emblematica della ricchezza di patrimonio materiale ed immateriale).
Il Bénin è spesso solo un paese di transito per i turisti; tuttavia ha grande fama intellettuale di “quartiere latino dell’Africa”, ed è conosciuto per lo spirito di accoglienza che offre ai visitatori. La ricerca condotta dall’Università Senghor d’Alexandrie ha identificato i tre maggiori punti di attrazione della città di Ouidah: la storia secolare legata alla tratta degli schiavi, il patrimonio immateriale che influenza altri continenti, e l’ambiente naturale ricco e variegato.
Le autrici osservano che, benché i dati dell’OMT (Organizzazione mondiale del turismo) dimostrino un incremento del turismo, di quest’ultimo non necessariamente beneficiano le popolazioni locali. Notano, inoltre, che il patrimonio architettonico del Bénin è in pericolo a causa della mancanza di fondi per la sua preservazione e ristrutturazione e di interesse, e aggiungono la necessità di salvaguardare queste testimonianze al know-how antico e alla storia.
La ricerca propone di convertire gli elementi del patrimonio architettonico – ad esempio case storiche – in alloggi turistici e pensioni. Il progetto mira a fare di Ouidah una destinazione turistica durevole, di cui conservare e restaurare il patrimonio architettonico, conformemente ai dettami del turismo sostenibile, e quindi coinvolgendo e sostenendo le popolazioni locali dal punto di vista economico, sociale, culturale e politico. Tale tipo di turismo è inoltre rispettoso della cultura, della società e dell’ambiente e permette uno scambio culturale autentico e una comprensione reciproca tra persone e culture.
Parole chiave : Bénin, N67, preservazione patrimonio, sviluppo, Turismo
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09 settembre 2009
Podcast – Il nuovo numero di Africa e Mediterraneo alla radio
Ieri siamo stati intervistati da Radio città del capo in occasione dell’uscita del nuovo numero di Africa e Mediterraneo. Premete “play” per ascoltare l’intervento di Sandra Federici che introduce gli argomenti affrontati dal dossier sul turismo e patrimonio in Benin.
Podcast: Play in new window | Download
Parole chiave : N67, Podcast
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E’ uscito il nuovo numero di Africa e Mediterraneo con un dossier interamente dedicato al Bénin. Ilvudù e l’eredità dello schiavismo sono due elementi storico-culturali di grande impatto per l’immaginario occidentale e per la diaspora africana che il Bénin, da qualche tempo, sta valorizzando e salvaguardando per un rilancio turistico del paese.
Il legame tra turismo e patrimonio era già stato affrontato nel numero precedente, partendo dalla considerazione che la costruzione del “patrimonio” (artistico, paesaggistico, umano) è centrale all’interno del pensiero critico contemporaneo degli studi culturali.
Questo secondo dossier analizza il caso specifico del Bénin, un paese che si autodefinisce “culla del vudù” e il cui Ministero del Turismo scrive in epigrafe al proprio sito “Bénin, terre de mystere”, mostrando in questo modo di voler concentrare i propri interventi soprattutto a vantaggio delle risorse culturali.
Pubblichiamo di seguito il Pdf dell’introduzione, che potete leggere o scaricare.
Parole chiave : Bénin, N67, patrimonio, Turismo, Vudu
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Presentazione dell’articolo “Turismo e architetture (Nord-Camerun e Ciad). Preservazione, ricostruzione, patrimonializzazione”, pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.
Nel nord del Camerun e in Ciad, la ricchezza architettonica costituisce un elemento chiave dei paesaggi e della loro differenziazione. Dagli anni ’50, il turismo ha rivalutato un certo numero di luoghi architettonici tanto sui monti Mandara che lungo le sponde del Logore. In questi anni si avviano i primi circuiti turistici che combinano fauna, paesaggi e architetture. Le architetture vernacolari non scompaiono allo stesso modo, né alla stessa velocità.
La loro ritirata ha potuto accompagnarsi a ricostruzioni fedeli ai canoni dell’inizio del XX secolo, grazie al sostegno di interventi esterni poi, più recentemente, delle élite locali. La posta in gioco di tali ricostruzioni tuttavia resta sempre ambigua. Le aspirazioni di queste società non corrispondono a quelle delle fucine del turismo. La realtà del 2008 generalmente non interessa il turista mentre le comunità rurali oggi sono tutte segnate da un certo grado di urbanizzazione e considerano negativa fino a un certo punto la perdita di un tipo di architettura tradizionale.
Questa scomparsa riflette quella di uno stile di vita appartenente alle generazioni che vivevano coerentemente con tali abitazioni. Per la popolazione Mousgoum, divenuta musulmana, e per una minoranza protestante, questa epoca pagana, di genti nude, deve sparire per consentire una rimessa in conformità del passato con le aspirazioni del presente.
Parole chiave : architettura, Camerun, Ciad, N65-66, patrimonio
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Presentazione dell’articolo “Costruire il patrimonio in Algeria: la valorizzazione degli ksour (qsûr) e dei wacdat (moussems) nel Sud Oranais” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo a firma di Sandra Guinand – politologa e urbanista, Università di Losanna – e Yazid Ben Hounet dottore di antropologia sociale, EHESS/Paris.
Da qualche anno l’Algeria è impegnata a perseguire una politica di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale segnatamente a fini turistici.
Gli ksour, villaggi fortificati tradizionali del Sahara e della catena dell’Atlante Sahariano, situati lungo le antiche rotte commerciali transahariane, sono stati oggetto di un recente processo di restaurazione e riabilitazione su larga scala; i wacdat (sg. wacda), feste popolari che si tengono per celebrare i santi locali, si moltiplicano, attirando sempre più persone a testimoniare la loro rinascita.
Questo articolo, a partire dall’esempio degli ksour e degli wacdat del Sud Oranais, si propone di indagare le ragioni e le condizioni di una valorizzazione del patrimonio secondo i differenti attori, per capire in che modo si costruisca l’oggetto patrimoniale in Algeria.
In seguito all’indipendenza (1962), tramite un’ordinanza, il nuovo Stato algerino integra nel proprio patrimonio nazionale gli oggetti inventariati dalla Francia (siti e monumenti storici). La prima definizione ufficiale di “patrimonio culturale” del paese e delle misure assunte in sua difesa, verrà tuttavia formulata solo nel 1998 attraverso una legge che include il patrimonio culturale immateriale nell’insieme dei beni materiali da proteggere.
Al di là del suo riconoscimento politico, la questione patrimoniale partecipa di una dimensione simbolica che crea tensioni e conflitti. Infatti, il patrimonio, in quanto héritage, è necessariamente portatore di un’identità collettiva che tuttavia non si crea automaticamente.
Costruita, ricostruita o negoziata, essa è anche continuamente ridefinita. Le stesse modalità che definiscono e attribuiscono valore a ksour e wacdat sono sfruttate, tanto dagli attori locali che dalle autorità politiche, affinché veicolino alcuni aspetti della cultura e dell’identità locale e nazionale. Se il patrimonio ha un interesse turistico è perché al di là dei valori classici che lo caratterizzano, le società contemporanee gli hanno attribuito un valore economico senza precedenti.
Diversi Stati e autorità politiche hanno saputo trarne profitto. Basti pensare al caso della Tunisia che ha saputo valorizzare il proprio artigianato, l’architettura delle medine e il carattere dei propri souk per sviluppare un turismo che attualmente riveste un ruolo non trascurabile nell’economia nazionale del paese.
Tuttavia, nonostante il processo di patrimonializzazione dei siti sembri guidato prevalentemente da un interesse di sviluppo economico, vi intervengono diversi fattori, di ordine finanziario, politico e identitario.
[Foto: Sfissifa, di Sandra Guinand]
Parole chiave : Algeria, ksour, moussems, N65-66, patrimonio culturale immateriale
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Presentazione dell’articolo “Arte, patrimonializzazione e prospettive turistiche: il caso delle popolazioni Nalu della Guinea” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.
I Nalu e i Baga, sono noti, sin dall’epoca coloniale, per la produzione di sculture impressionanti, caratterizzate da forme complesse e monumentali e da una ricca policromia.
Questi due gruppi sociali, stanziati lungo il litorale guineense, utilizzavano tali oggetti nel corso di pratiche di culto e rituali specifici quali i riti di passaggio, come le iniziazioni a società segrete, o ancora, in occasione di cerimonie commemorative e festività a cui partecipavano tutti i membri della comunità.
Dal XIX secolo in poi, esploratori, amministratori coloniali e commercianti hanno collezionato molti di questi oggetti che oggigiorno troviamo nei musei. Il problema che dovrebbero porsi i professionisti museali, gli addetti al turismo e alla conservazione del patrimonio culturale, è che questi oggetti inalienabili, una volta estratti dal loro contesto naturale, diventano per certi versi estranei al popolo che li ha prodotti.
La ricerca in questo ambito si rivela tanto più urgente poiché i Nalu e i loro vicini Baga, per motivi religiosi, politici e sociali, hanno abbandonato i loro antichi rituali e il supporto materiale costituito dalle sculture.
In quanto depositari della tradizione della società, gli anziani si occupano ancora di tramandarne la memoria e talvolta l’uso. Essi giocano quindi un ruolo cruciale nella trasmissione alle giovani generazioni e le loro testimonianze costituiscono una fonte insostituibile di informazione sul senso e il significato degli oggetti sia rituali che ordinari.
Un altro ruolo determinante all’interno della società nalu è quello delle donne che, oltre a partecipare alla vita economica e sociale dei villaggi, si occupano di manifestazioni culturali specificamente femminili. Tali pratiche, attraverso canti, danze, incantesimi e stati di trance sono tese a rinforzare la memoria sociale del gruppo.
Dal 1960, le maschere tradizionali non intervengono più molto nelle pratiche iniziatiche e i giovani, come accade presso tutti i gruppi etnici del paese, si sono allontanati dalle cerimonie legate ai riti di passaggio e agli oggetti rituali che li caratterizzano. Oggigiorno, i giovani nalu organizzano essenzialmente le danze del Banda, che costituiscono ancora un grande spettacolo nell’ambito di manifestazioni ludiche, feste ed eventi pubblici.
In Guinea Bissau, gli scultori, giovani e vecchi, partecipano attivamente alla promozione dell’artigianato nalu.
Un lavoro sulla memoria, individuale o collettiva, diviene oggi essenziale per poter raccogliere le reminiscenze degli anziani e trasmetterle alle nuove generazioni, nonché al mondo esterno.
Parole chiave : Baga, Guinea Bissau, N65-66, Nulu, scultura
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Presentazione dell’articolo “L’isola di Gorée, patrimonio mondiale dell’UNESCO: le contraddizioni memoriali di un sito riconosciuto e abitato” pubblicato sul numero 65-66 di Africa e Mediterraneo.
L ’isola di Gorée (Senegal), dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, costituisce un sito turistico di notevole interesse in quanto rappresenta un simbolo e un riferimento identitario strettamente legato sia ai suoi visitatori occidentali sia agli “Africani della Diaspora”. Tuttavia, oltre ad essere un luogo della memoria, Gorée è uno spazio abitato e, in virtù di tale duplice identità, costituisce l’oggetto di usi e rappresentazioni estremamente diversi. Inoltre, la popolazione locale si caratterizza per la sua costante ricomposizione, un fenomeno strettamente legato all’attrattiva turistica che il sito genera a partire dagli anni 80 del secolo scorso.
Le politiche culturali, locali e internazionali si sono interrogate troppo poco rispetto al duplice valore di questo patrimonio dell’umanità che, di fatto, si rivolge ai visitatori stranieri. Ne consegue che la popolazione dell’Isola di Gorée non ha costruito una “memoria collettiva” attorno a questo sito e ancor meno si è ancorata al ricordo di una schiavitù fortemente mediatizzata, commemorata dai turisti, dallo Stato e dall’UNESCO.
Gli studi e le ricerche condotte in Senegal mostrano che tale assenza di identificazione e di memoria collettiva locale in relazione alla tratta degli schiavi non concerne solo la popolazione dell’isola, ma anche quella di Dakar, quindi del Paese nel suo complesso. Gorée, a livello locale, rappresenta una vecchia città coloniale divenuta meta turistica, dove si va per piacere, solitamente durante il periodo estivo, a godere della tranquillità delle spiagge. Il ricordo della tratta schiavista resta qualcosa di molto teorico: il periodo storico che evoca ha radici troppo lontane per poter ravvivare qualunque tipo di investimento locale.
La società senegalese, infatti, non si è strutturata a partire dalle conseguenze socio-politiche della tratta atlantica, contrariamente a quanto si è verificato per le comunità sorte dalla schiavitù delle piantagioni, ma si è costituita principalmente at- torno all’evento storico della colonizzazione. Inoltre, la valorizzazione di tale passato non può essere il frutto di una rivendicazione locale comu- ne, in quanto non è compreso in un più ampio patrimonio culturale transgenerazionale: solo i membri delle antiche famiglie meticce dell’isola possono essere portatori di questa memoria collettiva. Il problema è che le famiglie in questione, designate dall’amministrazione come “antica anima di Gorée”, non contribuiscono all’elaborazione di una memoria locale della storia dell’isola poiché non vi abitano più.
Parole chiave : Diaspora, Gorée, memoria, N65-66, Senegal, UNESCO
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The new issue of Africa e Mediterraneo is available: Click here for English version
Che cosa si può definire patrimonio in culture altre da quella europea occidentale, l’unica ad aver elaborato la nozione universalistica di “patrimonio culturale”? Si potrebbero identificare in “patrimonio” i luoghi della memoria, i monumenti, le architetture, le feste, i segni, le immagini, insomma oggetti certamente rappresentativi, ma di quale storia?
Ed ecco il primo punto sul quale questo dossier curato da Giovanna Parodi da Passano e da Alessandra Brivio intende indagare: il significato stesso di patrimonio in contesti che non siano occidentali.
Il tema della costruzione del patrimonio (artistico, paesaggistico, umano) e dei processi che tale costruzione mette in gioco, è centrale all’interno del pensiero critico contemporaneo degli studi culturali ed è strettamente legato a quello del turismo.
E il tema del turismo rappresenta il secondo punto attorno al quale si sviluppano i contributi di questo dossier.
Il turismo, infatti, così come in genere si sviluppa nei paesi del Sud del mondo, non è soltanto l’incontro di individui appartenenti a differenti comunità e dei loro rispettivi desideri, scopi e pratiche, ma è anche, inevitabilmente, le nuove forme culturali e le scelte che scaturiscono da questi incontri.
Gli autori invitati a collaborare a questa pubblicazione non hanno trascurato nei loro scritti il ruolo della negoziazione delle identità all’interno delle dinamiche di appropriazione e di riappropriazione culturale.
Presi nell’insieme i contributi, pur partendo da angolature diverse, sono ampiamente riusciti a raggiungere il duplice obiettivo individuato in partenza, ovvero di focalizzare la ricerca sui processi di patrimonializzazione e sulle molteplici declinazioni dell’autenticità.
La rivista è acquistabile on-line su Laimomo.it.
E’ possibile leggere l’introduzione alla rivista in Pdf qui sotto, oppure in html qui.